Siamo alla dittatura giudiziaria in Italia? Non esageriamo. La dittatura c’è ma è sottaciuta. Conviene alla politica, che da vent’anni è sotto schiaffo. E conviene ai giornali, che vivono di notizie giudiziarie. Ma questa è la verità. Le chiacchiere sull’autonomia e indipendenza della magistratura se le porta il vento davanti all’accumularsi di sentenze che azzerano qualunque decisione assunta da parlamento e governo. Non c’è solo il caso Ilva che, onore al presidente Squinzi, ha indotto Confindustria a convocare la propria assemblea a Taranto in segno di protesta.
Decidono di sbatterti in galera? Ti ci sbattono. Decidono di toglierti un figlio? Te lo tolgono. Decidono di chiudere fabbriche che danno lavoro e pane a decine di migliaia di famiglie? Le chiudono. Tanto la professione del magistrato non conosce controlli e il suo stipendio non conosce scatti di merito. Va in automatico. Al massimo della carriera potrà arrivare a guadagnare soltanto 15-20 mila euro mensili (stipendi dei massimi vertici di Cassazione). E sono soldi pubblici. Recessione o non recessione, Grecia o non Grecia, al 27 del mese il magistrato incassa. A meno che il cielo gli cada sulla testa come in un fumetto di Asterix.
Dunque, con quali forme di famiglia, addizione o sottrazione di bambini, possiamo stare tranquilli? Con quali processi di “pulizia” embrionale di laboratorio e quali genitori A e B dobbiamo venire al mondo? E come dobbiamo lavorare, amare, vivere, morire, signori delle Corti? Tutte le vere emergenze di giustizia, che riguardano la sicurezza quotidiana delle persone, spesso passano in cavalleria, come si dice, e vengono seppellite dalle carte, archiviazioni, dimenticatoi, perché lo spaccio di droga, l’assassinio, le rapine, non sono cose che fanno notizia oltre la giornata.
Già. Come si fa ad acquistare visibilità, luci della ribalta, carriere, se la giustizia non diventa un potere altamente discrezionale, sostanzialmente aribitrario, capace di orientare l’opinione pubblica e condizionare la politica, se non si occupa solo di dossier “rumorosi”, che riguardano la corruzione politica e contenuti politicamente correttissimi?
L’ultima, di ieri, è la sentenza della Cassazione che dichiara “enti commerciali” le scuole pubbliche paritarie. Sì, “pubbliche”, dunque come quelle pubbliche statali esenti da Ici, perché così prevede lo spirito e la lettera della legge Berlinguer dell’anno 2000, articolo 1: «Il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali». Che c’entra con il commercio una scuola paritaria, no profit, obbligata a reinvestire eventuali utili (ma quali utili!?) nella scuola medesima?
Ne sanno qualcosa gli italiani che pagano due volte le tasse – una per pagare le scuole statali e un’altra per pagare le rette nelle scuole paritarie dove mandano i loro figli. Ne sanno qualcosa i figli dei poveri, che solo in Lombardia hanno la libertà di scelta di istruzione che esige la Costituzione italiana. E ne sa qualcosa anche lo Stato italiano, che ogni anno spende 6500 euro per il bambino scolarizzato nelle scuole statali e ne spende solo 425 per il bambino che frequenta le paritarie, e perciò risparmia il suo bel gruzzolo di circa 7 miliardi l’anno e ha solo da perderlo, il gruzzolo, se in linea con la sentenza della Corte di cassazione le scuole paritarie dovessero chiudere e i loro studenti riversarsi nelle scuole statali.
Ma che dice questo verdetto di suprema corte romana, che è stato subito ribattezzato “storico”, senz’altro aggettivo, perché il mondo dei media, quello che un tempo fu il Quarto Potere, “il cane da guardia” della democrazia, è zeppo di tappetini delle magistrature, perché dalle magistrature ricevono l’elemosina di notizie “sensibili”, utili alla propria parte politica e, soprattutto, ai propri fini di lucro editoriali invece che alla giustizia? Dice che la sovranità popolare è zero e che le leggi possono essere interpretate a piacimento.
Così, come avviene ormai di circostanza in tutti i casi di legge che non sta bene alla corte di turno, due scuole paritarie rette da religiosi vengono condannate al pagamento di 422 mila euro di Ici perché a giudizio della Corte queste due scuole sono “enti commerciali”. Dunque sono scuole condannate a chiudere dopo che due altre corti, di primo e secondo grado, hanno sentenziato il contrario – e giustamente – cioè che nulla era dovuto allo Stato di quelle tasse, così come la norma prevede per le scuole pubbliche statali.
Adesso il governo Renzi e il partito Ncd che con il sottosegretario all’istruzione Gabriele Toccafondi hanno sempre ribadito l’urgenza di completare la parità scolastica riconosciuta da una legge risalente a quindici anni fa con le logiche, conseguenti e adeguate coperture finanziarie, devono reagire con fermezza all’ennesimo attentato alla democrazia e allo stato di diritto. Convochino un Consiglio dei ministri e impugnino il verdetto della Cassazione davanti alla Corte costituzionale. Il conflitto tra prerogative e decisioni del potere esecutivo e legislativo da una parte e giudiziario dall’altra, è ormai a livelli esplosivi. Tale conflitto deve essere formalmente sollevato e si deve trovare un rimedio dirimente l’ormai ventennale supplenza della magistratura nei confronti degli organi e poteri eletti dal popolo.
A costo di riformare la Costituzione, bisogna agire perché la Costituzione non sia più calpestata perché si ha il potere giudiziario di farlo, inventandosi l’elastico giuridico di turno, ben sapendo che si hanno gli strumenti per tenere sotto scacco e sotto ricatto gli altri poteri. La sentenza liberticida della parità scolastica ne è la riprova. O il parlamento e il governo si riprendono le prerogative dell’esercizio della sovranità esercitata per conto del popolo. O tanto vale dichiarare lo stato di “emergenza” e formalizzare la “Repubblica giudiziaria”.
Se dopo questa ennesima sentenza scandalosa, Renzi e Alfano non si muoveranno, bisognerà allora trasformare la paura che ci sovrasta – la paura che ci immobilizza e ci irreggimenta nel giustizialismo la società italiana – in azioni dal basso, di dissidenza eclatante, per rompere le condizioni di questa paura e affermare il diritto di un popolo a vivere in uno stato di diritto. Quando un potere diventa insopportabile, davvero non si sopporta più. Che aspetta il nostro Quarto Potere a smettere il servizio alla mensa dell’assolutismo giudiziario e a lanciarsi in questa battaglia di democrazia e libertà?
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