La missione (impossibile?) di Blinken

Di Giancarlo Giojelli
09 Gennaio 2024
Il segretario di Stato americano prova a comporre un puzzle intricatissimo per trovare una soluzione al conflitto israelo-palestinese. Ma finora niente ha fermato le armi
Un bombardamento sulla Striscia di Gaza, 7 gennaio 2024
Un bombardamento sulla Striscia di Gaza, 7 gennaio 2024 (foto Ansa)

Il filo sempre più sottile della speranza è affidato al quarto viaggio del segretario di Stato americano Antony Blinken. Un viaggio che attraversa Grecia, Turchia, Giordania, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Israele, Cisgiordania ed Egitto. Ed è in Israele, dove è arrivato ieri sera, la tappa più delicata. Il capo della diplomazia statunitense tasta il posto del presidente turco Erdogan e dei leader arabi, vaglia la loro disponibilità, ben sapendo che ognuno di questi farà pagare caro ogni minimo contributo al dialogo.

Ma è con Benjamin Netanyahu che Blinken deve capire fin dove è possibile progettare una soluzione, conscio del fatto che ogni errore potrebbe costare ancora più caro agli Stati Uniti, considerati di gran lunga i più stretti alleati dello Stato ebraico. Blinken sa che, senza una prospettiva finale, è impossibile tracciare una strada per un processo di pace. Una strada che deve essere molto ampia, coinvolgere tutta la regione e tutti i protagonisti. Una (impossibile?) Road map di pace.

Il segretario di Stato statunitense Antony Blinken con il premier israeliano in un incontro a Tel Aviv, Israele, 12 ottobre 2023 (Ansa)
Il segretario di Stato americano Antony Blinken con il premier israeliano Benjamin Netanyahu in un incontro a Tel Aviv, Israele, 12 ottobre 2023 (foto Ansa)

Gli obiettivi di Blinken

Il primo obiettivo è bloccare l’espansione della guerra sul fronte Nord di Israele, dove si sta concentrando un terzo dell’esercito e convincere Netanyahu ad allentare la pressione sulla popolazione di Gaza. Ma il governo israeliano lo ha già detto: la guerra di Gaza non terminerà fino a quando Hamas non sarà annientata e una nuova governance si sarà installata nella Striscia. E dovrà terminare la pioggia di razzi e il diluvio di colpi di bazooka degli Hezbollah che sparano dal Libano sull’alta Galilea, che invece si sono intensificati: i giornali israeliani ogni giorno pubblicano bollettini di guerra allarmati e allarmanti.

La missione di Blinken è davvero difficile: deve bloccare la tentazione della guerra preventiva, un attacco massiccio verso il confine Nord, i bombardamenti su Beirut e scongiurare la possibilità che l’esercito israeliano varchi il confine come nel 2006 per eliminare le basi Hezbollah.

Il fronte Nord

Il Libano del Sud è controllato dal “Partito di Dio” filo iraniano ed è visto da Israele come una sorta di Gaza all’ennesima potenza. Qui, beffando l’impotente forza Onu, sono stati scavati tunnel e trincee a due passi dalla linea blu, la linea di demarcazione tra il Paese dei cedri e Israele.

Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, lo ha ripetuto in un’intervista al Wall Street Journal proprio mentre stava arrivando Blinken: «Se si dovesse arrivare al punto di rottura, Israele non ha paura di andare alla guerra con il gruppo terroristico Hezbollah sostenuto dall’Iran». Gallant ha, di nuovo, difeso la necessità della guerra a Gaza contro Hamas, aggiungendo che essa è utile per dissuadere l’Iran a lanciare altri attacchi in futuro.

L’attacco di Hamas, i massacri dei civili, la presa degli ostaggi, gli stupri di massa hanno segnato un punto di non ritorno. Israele è ferma nel non voler concedere alcuna tregua; teme che ogni pausa dei combattimenti, quand’anche fosse per far entrare gli aiuti umanitari necessari (quelli che arrivano ora sono drammaticamente insufficienti per una popolazione sempre più allo stremo, senza acqua potabile, medicine, case), possa dare modo ad Hamas di riorganizzarsi.

Ogni giorno, i giornali israeliani riportano le cifre dei civili palestinesi uccisi dalle bombe a Gaza, ma anche le storie degli ostaggi e il numero dei militari ebrei morti. E ogni giorno i media israeliani documentano le scoperte dell’esercito che si addentra nella Striscia. Dopo la rete di tunnel e gli arsenali scoperti sotto ospedali e scuole, ora sono i disegni e le foto a mostrare come anche i bambini siano stati addestrati alla guerra e a usare i kalashnikov.

Proteste contro il governo Netanyahu, Gerusalemme, 8 gennaio 2024 (Ansa)
Proteste contro il governo Netanyahu, Gerusalemme, 8 gennaio 2024 (foto Ansa)

Le difficoltà di Netanyahu

Blinken sa di avere di fronte un Netanyahu in difficoltà. Il presidente deve fare i conti con un’opinione pubblica esasperata e, per la prima volta dal 7 ottobre, ha visto di nuovo in piazza i suoi oppositori, che ne chiedono le dimissioni. Un gruppo piccolo rispetto alle folle che per mesi manifestarono tutti i sabati sera contro il suo progetto di riforma della giustizia, ma pur sempre un segnale che si sta indebolendo quella sorta di “patto di emergenza” che, finora, aveva sospeso le diatribe interne per compattare il Paese contro il nemico.

È un fatto significativo che sia diventata di pubblico dominio la tempestosa riunione del gabinetto di guerra in cui i ministri ultranazionalisti e ultrasionisti hanno attaccato i vertici dell’esercito, accusandolo di non aver difeso i civili il 7 ottobre. In piazza a Tel Aviv i familiari degli ostaggi chiedono che sia fatto di più per la liberazione dei loro cari, nonostante sia chiaro a tutti quanto arduo sia il compito dell’Idf, che nella Striscia avanza sì, ma combattendo casa per casa.

Netanyahu è indignato, e con lui i suoi alleati, per quanto ha scritto il Washington Post, che ha dato voce a chi sostiene che il premier israeliano voglia continuare la guerra anche per salvare se stesso, dopo che la Corte Suprema ha bocciato il progetto di legge che gli avrebbe permesso di varare norme a lui favorevoli per evitare ulteriori guai con la giustizia. Il ministro e membro del gabinetto di guerra Benny Gantz, ha respinto le accuse, tagliando corto: «L’unica preoccupazione è la difesa degli interessi di Israele». Ma le voci si rincorrono e vengono riprese dai media e dai social. «Spifferi che sono una piaga», ha detto Netanyahu, «bisogna fermarli».

Gaza Due

Nel colloquio con il segretario di Stato, il premier israeliano deve capire cosa è possibile ottenere dai paesi arabi e formulare un suo progetto. Anche questa non è un’operazione facile: va sempre ricordato, infatti, che nel suo governo ci sono ministri di estrema destra che vogliono esiliare i palestinesi da Gaza, o perlomeno ridurne in modo significativo il numero, e riportare gli insediamenti israeliani nella Striscia. Non a caso, nella lite con i militari, è stato rinfacciato ai capi dell’esercito, alcuni dei quali siedono nel gabinetto di guerra, di aver sostenuto nel 2005 il ritiro da Gaza, lasciando crescere il potere di Hamas.

Il piano illustrato da Gallant, e sostenuto dell’ex capo di stato maggiore Gantz su cui sembra convergere Netanyahu, si basa su due capisaldi: una “Gaza Due” affidata al governo civile palestinese (ma non certo ad Hamas o all’attuale Anp di Abu Mazen) e un controllo militare gestito da una forza da cui Israele si senta garantito. Una forza composta da Stati arabi moderati (leggasi in buoni rapporti con gli Stati Uniti) che possa essere monitorata dallo stesso Israele.

Due obiettivi difficilissimi. Il primo, il governo palestinese, deve in qualche modo avere il sostegno della popolazione araba, e i nomi che sono stati fatti circolare rischiano di essere bruciati perché, ovviamente, considerati troppo morbidi con Israele. Il secondo obiettivo deve avere l’appoggio deciso di paesi come l’Egitto, l’Arabia Saudita, gli Emirati, la Giordania e, quantomeno, un via libera di Qatar e Turchia. Esattamente i paesi tra quali sta facendo la spola Blinken.

Papa Francesco Vaticano, 5 gennaio 2024 (Ansa)
Papa Francesco, Vaticano, 5 gennaio 2024 (foto Ansa)

Forse è l’ultima volta

Sullo sfondo resta il problema libanese e l’Iran. Qualsiasi alleanza riesca a tessere l’inviato statunitense, questa sarà vista come un’alleanza contro Teheran. Blinken deve convincere Netanyahu che il confine Nord verrà garantito e che l’Agenzia atomica dell’Onu impedirà all’Iran l’arricchimento dell’uranio per scopri bellici. Non è chiaro con quali argomenti potrà convincerlo a dare un segnale di distensione e fermare così i bombardamenti, le uccisioni mirate dei capi di Hamas ed Hezbollah, e permettere il rientro ai profughi gazawi. Se non ci riuscirà, come ha detto lo stesso Blinken, «la guerra si estenderà» e diverrà ancora più grave il pericolo di un’espansione mondiale della jihad.

È quello che teme papa Francesco che, in un discorso agli ambasciatori in Vaticano, ha ricordato l’orrore del 7 ottobre e la guerra di Gaza di cui fanno le spese tanti civili e bambini indifesi. Un appello «a tutte le parti coinvolte per un cessate il fuoco su tutti i fronti, incluso il Libano e per la immediata liberazione di tutti gli ostaggi a Gaza. Chiedo«, ha detto Francesco, «che la popolazione palestinese riceva gli aiuti umanitari e che gli ospedali, le scuole e i luoghi di culto abbiano tutta la protezione necessaria». E ha indicato la via che da sempre sostiene il Vaticano, quella dei due stati, israeliano e palestinese, che possano convivere in pace con uno statuto speciale per Gerusalemme.

La via più volte imboccata e altrettante volte sbarrata dalle armi. Ora Blinken ci riprova. Forse per l’ultima volta. Netanyahu e Gallant avvertono: «La guerra continuerà per molti mesi. Abbiamo bisogno del sostegno internazionale e stiamo lavorando per ottenerlo».

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L’articolo è stato aggiornato il 12 ottobre 2023 per riportare correttamente le cariche pubbliche attualmente ricoperte in Israele da Benny Gantz.

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