Pubblichiamo la rubrica “Boris Godunov” di Renato Farina contenuta nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
I popoli vogliono vivere. Ma non a qualsiasi prezzo fissato dall’imperatore. Pagheranno la ribellione, certo. Ovvio che sto parlando del referendum greco. Boris da buon russo avrebbe votato no, avrebbe incendiato il castello a costo di finire impalato, come nelle mille rivolte contadine russe, poi annichilite dal comunismo leninista e stalinista. Ora siamo al lutero-comunismo merkeliano, ma non è detto che vincerà.
I popoli non sono le masse. I popoli somigliano alle persone. Le masse sono somme di molecole, che sono componibili e scomponibili, identiche, uguali per miliardi di volte ripetitive. Non c’è nulla di più oppressivo, di più disperante, di più affamatore dei popoli del principio dell’uguaglianza. Non c’entra nulla l’uguaglianza con il rispetto della persona, con la sua valorizzazione come irripetibile, splendida unicità. È l’unicità che rende interessanti i rapporti. Se fossimo uguali di che parliamo?
L’uguaglianza spiana i nostri nomi, li rende inutili, come scatole di pelati sugli scaffali, che si distinguono solo per la posizione. Ciascuno di noi è unico, anche quando si riuscisse a produrre i cloni, con Dna tutti uguali, ci sarebbe una cosa imprevedibile, che è la libertà. Questa i clonatori non l’hanno prevista. Infatti i popoli, nonostante siano sottoposti all’uguaglianza forzata, poi si ribellano. Il referendum in Grecia è stato una ribellione contro il principio di omogeneizzazione, per cui si infila ciascuna identità, cultura, volontà nel tritacarne di regole stabilite dal padrone, che dice: siamo uguali, la legge è uguale per tutti, se vi discostate, pretendete addirittura di scegliere il vostro destino, siete condannati a morte. Guai a rifiutare l’uguaglianza.
Solo la differenza fa innamorare
C’è una frase di Anatole France che svela l’inganno di questa uguaglianza cui ci vogliono uniformare dal Nord Europa: «Siamo uguali. Sia al ricco sia al povero è vietato dormire sotto i ponti». Questo dice oggi Bruxelles a Grecia, Italia, Portogallo. Insomma qualcuno di non uguale c’è, ed è colui che stabilisce come applicare l’uguaglianza…
Siamo uguali in dignità, come i figli per nostra madre, i quali li ama perché sono diversi da lei e tra loro: siamo uguali nella nostra irripetibile unicità, che ha diritto di affermare la sua disuguaglianza. Non per schiacciare gli altri, ma per contribuire a un mosaico di colori, dove l’indipendenza, il libero arbitrio di ciascun cittadino e ciascun popolo, deve prevalere sull’imposizione dello standard che è noioso come un deserto con una sola sfumatura di grigio. In una città dove tutto è uniforme o si ammazza o ci si ammazza. Al massimo si sopravvive. La vita è un’altra cosa, è puntare alle stelle. Non annegare insieme nella palude. Viva la disuguaglianza, allora. Viva chi si discosta dal corso uniforme dei pensieri, e rischia la solitudine pur di dire la verità. Viva i popoli che non si sottomettono, e sono piccole navi corsare che rischiano cercando vento lontano dall’ammiraglia.
Ricordiamocelo quanti orrori sono stati commessi in nome dell’uguaglianza. L’egalité ha prodotto la ghigliottina, nel momento in cui ha rinunciato alla liberté. Il regime che ha cercato nella storia di affermare l’uguaglianza assoluta è stato il comunismo. In questo senso è stato perfetto: non c’è nulla che renda uguali quanto la morte. Ne ha ammazzati centoventi milioni, resi identici. In Urss a un certo punto non si trovava più posto per i morti nei cimiteri. In Cambogia, Pol Pot, che aveva studiato alla Sorbona di Parigi, ha fatto uccidere a picconate tutti coloro che non erano uguali poiché portavano gli occhiali e dunque leggevano e dunque erano propensi a pensare con la loro testa.
Solo la differenza consente di innamorarsi. La differenza tra i sessi è feconda. L’uguaglianza è narcisistica. La disuguaglianza amorevole fiorisce in mille fiori e in mille colori.
Foto Ansa/Ap