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La giustizia civile italiana è la “lumaca” d’Europa: lo dicono i magistrati

Nel nostro paese sono 5 milioni e mezzo i processi civili pendenti, con una durata media di 7 anni.

Chiara Rizzo
30/04/2012 - 8:22
Interni
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Si può aumentare il carico di lavoro esigibile da ciascun magistrato civile? Si possono aumentare le cause discusse ogni anno, senza che ciò avvenga a discapito della qualità del processo? I magistrati ne stanno discutendo in questi giorni nelle loro mailing list. Non si tratta di una questione fumosa, e a dirlo sono i dati che ha presentato lo stesso Guardasigilli Paola Severino in apertura dell’anno giudiziario. Solo nei primi sei mesi del 2011, infatti, erano 5,5 milioni i processi civili pendenti, e la durata media delle cause è pari a 7 anni e tre mesi (2.645 giorni). Un problema che ha notevoli risvolti: secondo i dati 2011 forniti dalla Banca d’Italia, l’inefficienza della giustizia civile italiana può essere misurata in termini economici come pari all’1 per cento del Pil. Vista la crisi in corso, insomma, non si tratta di bazzecole. Il rapporto Doing Business 2010 ha classificato l’Italia al 157mo posto su 183 paesi censiti, per la durata stimata per il recupero del credito commerciale pari a 1210 giorni. In Germania ne bastano 394: anche così si spiegano le difficoltà di molti imprenditori di reagire alla crisi. È pur vero, ha ricordato il ministro Severino, che c’è stato un decremento nel 2011 rispetto al 2010 delle pendenze nel settore civile con un calo, di oltre 170.000 processi (-3 per cento).

La legge 111 dello scorso anno ha affidato al Consiglio superiore della magistratura il compito di fissare dei paletti per tutti gli uffici giudiziari, e  al Csm si discute se applicare una percentuale fissa di lavoro esigibile dai magistrati. Ciascuna delle correnti della magistratura in seno all’Associazione nazionale magistrati (il sindacato delle toghe) propone diverse soluzioni. Secondo Magistratura indipendente, ad esempio, si dovrebbe fissare un limite di 300 cause civili all’anno, con la possibilità di percentuali minori a seconda del settore; per Magistratura democratica, invece, sostanzialmente «chi di numeretto ferisce, di numeretto perisce» (parole del presidente di Md): fissare un carico è una sorta di boomerang.

Ecco quindi le mail tra le toghe. Un alto magistrato, membro del Csm, scrive spiegando quali sono le proposte sul tavolo del Consiglio: «La proposta di maggioranza (al Csm, ndr.) tende a fissare il massimo di laboriosità esigibile dai magistrati di un ufficio. Questa è una palese illegittimità che verrebbe superata se passasse un emendamento presentato, che tende a fissare una fascia di “variabilità”». La soluzione, secondo l’emendamento, potrebbe essere quella di calcolare una media di produttività di ogni ufficio, e fissare al 25 per cento in più il livello massimo di lavoro esigibile dal magistrato. «La proposta di minoranza – prosegue l’alto magistrato – si fonda invece sull’assunto che secondo la legge i carichi di lavoro esigibili hanno la funzione di un’attendibile previsione di futuro. Sommando le medie di rendimento del passato, allora, si dovrebbero formulare le previsioni per ciascun ufficio. Gli standard di rendimento tendono a stabilire il minimo di laboriosità necessaria per poter superare le valutazioni di professionalità (fatte dal Csm per ogni magistrato, per decidere gli scatti di carriera, ndr.). Hanno dunque una funzione che la proposta di maggioranza tende a trasferire illegittimamente anche ai carichi esigibili, per fissare il massimo di laboriosità». Secondo il noto magistrato, dunque, se è legittimo fissare un’asticella minima del numero di sentenze di un ufficio, è al contrario irregolare fissare anche un livello massimo a cui tendere nell’ottica di una maggiore produttività, meglio fissare una media “personalizzata” per magistrato, a cui attenersi. Non tutti la pensano così: «C’è una domanda di giustizia civile – scrive un magistrato di Napoli – che è quantitativamente molto più elevata di altri paesi dell’Ue e ci sono inefficienze che non dipendono da noi magistrati e ci penalizzano. Ma non possiamo non tener conto che la risposta di giustizia dev’essere adeguata a quella domanda in primo luogo in termini quantitativi. Per lo meno nei grandi uffici giudiziari dove una buona organizzazione consente una risposta, dobbiamo rimboccarci le maniche per contemperare qualità e quantità. Non si tratta di avere una concezione “fordista” del lavoro del giudice, si tratta più semplicemente di rendersi conto che noi rendiamo un servizio ai cittadini e che tanto più abbiamo (o vogliamo avere) autonomia e discrezionalità (ad esempio nel gestire il nostro ruolo di cause) tanto più abbiamo (o dovremmo avere) responsabilità».

Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome
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S’interroga un magistrato membro del Csm: «Ci si potrebbe domandare se un magistrato che vanti una produttività superiore alla media possa legittimamente “riallinearsi” alla media dell’ufficio, o se per aver avuto picchi di rendimento debba comunque mantenerli in futuro. In altre parole se la “previsione di rendimento” sia in qualche modo vincolante. La questione sarebbe molto seria, se la maggiore produttività sia frutto di un particolare sforzo di un certo periodo, senza che sia legittimo pretenderla sempre a parità di sacrificio e di ricompensa». Obietta una giudice pisana: «Mi chiedo spesso come si fanno a scrivere oltre 200 sentenze civili in primo grado (con tre udienze settimanali, provvedimenti collegiali, etc.etc). Ormai l’unico argomento centrale è la produttività. Ma questo come si concilia con la qualità? Oltre un certo limite la qualità finisce con lo svanire. Qual è l’obiettivo?». Le replica il magistrato napoletano, al civile da 23 anni: «Sono ormai anni che scrivo oltre 200 sentenze civili all’anno. Non me ne faccio un vanto. Non ho alcun incarico extragiudiziale. Ma quello dell’efficienza del giudice sta diventando sempre più un problema culturale e come tale va affrontato: la sentenza è solo il momento finale di un’attività assai complessa. Da alcuni anni mi sono dato una regola a tal proposito: il costo economico e di impegno di risorse umane della controversia di primo grado non dovrebbe superare il valore della controversia stessa. Oggi il giudice civile è agevolato, è sempre più diffusa una elevata specializzazione che consente di creare delle vere e proprie banche dati personali che agevolano i procedimenti. Smettiamola per favore di trincerarci dietro l’elevatissima qualità del nostro lavoro, conosco colleghi che scrivono pochi provvedimenti e non motivano a sufficienza, lo stesso vale per chi ne scrive numerosi. Credo possiamo tendere a ridurre alcune forme di narcisismo. Parliamone senza remore».

Tags: magistraturamagistratura democraticamagistratura indipendentetempi.it
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