La famiglia è sotto attacco perché rende l’uomo forte, libero e pieno di sicurezze
«La vostra vocazione non è facile da vivere, specialmente oggi, ma quella dell’amore è una realtà meravigliosa, è l’unica forza che può veramente trasformare il cosmo, il mondo. Davanti a voi avete la testimonianza di tante famiglie, che indicano le vie per crescere nell’amore». Sono le parole di papa Benedetto XVI alle famiglie radunate a Milano domenica 3 giugno per il VII Incontro mondiale delle famiglie. Nel libro Dio&famiglia (edizioni Fede & Cultura, 124 pagine, 10 euro) di Lorenzo Bertocchi non si trova solo l’analisi della dissoluzione della famiglia, ma anche la bellezza di chi vive la vocazione matrimoniale.
Come scrive l’autore nella prima parte del libro, dove la dissoluzione viene analizzata, l’individualismo materialista o lo spiritualismo, «due facce della stessa medaglia», fanno molto comodo al potere perché, al contrario della famiglia, rendono l’uomo debole. Inneggiare alla libertà assoluta di uno spirito che si compie da sé, e a cui il corpo deve essere soggiogato, fa notare l’autore, rende il corpo schiavo, mentre lo spirito si annichilisce perché non è in grado di raggiungere da solo l’infinito a cui aspira. Di fronte a tale incapacità l’uomo si dispera o si abbandona al caso delle circostanze. Un uomo così debole è utile al potere «perché un individuo isolato è molto diverso da una persona con solide radici». Al contrario, se l’uomo torna a dipendere dall’unica realtà che lo può compiere, Dio e la sua creazione, allora spirito e corpo sono pienamente esaltati. L’uomo diventa forte, pieno di legami e sicurezze che gli impediscono di essere schiavo.
Questa analisi viene esemplificata nella seconda parte del libro, dove vengono raccolti gli scritti di alcuni coniugi cristiani che si sono sposati per vivere a pieno la loro vocazione. Attraverso la vita, le lettere e le parole di questi sposi e dei loro figli, Bertocchi ha ricostruito la realtà di sei focolari domestici. Sono quelli di Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, di Ulisse e Lelia Amendolagine, dei coniugi Sergio e Domenica Bernardini, Luigi e Zelia Martin e di Settimo e Licia Manelli nel rapporto con san Pio da Pietralcina, che hanno vissuto come tutti, affrontando le problematiche che emergono anche fra i coniugi oggi. Si legge dei problemi legati al lavoro e alla festa, di che cosa significhi concretamente lavorare per costruire il regno di Dio, di come educare i figli alla preghiera e allo studio per conoscere di più la realtà e quindi il suo creatore. Si vedono uomini, come il beato Luigi Martin, capaci di dirigere aziende e di amministrare beni con enorme concretezza. Si racconta di come madri e padri hanno reagito di fronte alla ribellione dei figli: «È una delle gioie più pure e profonde vedere tutta la famiglia pregare unita, ma è una tribolazione senza fine ottenere che i figli preghino. (…) Non sempre sapevo se esigevo troppo, parlai di questo con Padre Pio: “Padre, come devo fare per far pregare i miei figli?”, “Tienili stretti! Tienili stretti!”, mi rispose subito il Padre. Non cedere quindi né lasciar correre». Emergono poi le difficoltà e le lotte per non cedere alle tentazioni. Viene affrontato il tema della sessualità. Si comprende la bellezza del sacrificio per i figli, come scrivono i coniugi Beltrame Quattrocchi: «Fummo loro vicini conversando, chiarendo dubbi, correggendo i difetti dei loro temperamenti. (…) Avremo indubbiamente sbagliato tante volte, ma una cosa è certissima: come un’anima sola aspirammo al loro miglior bene, rinunciando a tutto ciò che poteva portare qualche danno ad essi, anche se doveva costarci qualche privazione. Ma la gioia della dedizione compensò largamente tutto il resto, poiché è gioia divina».
Si leggono, infine, lettere da cui trapela un amore tale a Dio che anziché svilire quello umano lo acutizza, sia come coinvolgimento fisico che sentimentale. Luigi Beltrame scrive a Maria: «Domani compio quattro mesi dal giorno beato in cui ti aprii il cuore e tu me lo colmasti di gioia ineffabile dandomi la certezza che anche tu mi amavi… come sono grato per il tuo amore che mi incoraggia alla vita (…) perché del vivere, del lavorare, del lottare esso rappresenta per me l’unico scopo». Risponde Maria: «Pensavo al modo di esprimerti a parole il mio amore per te, e quello che tu sei per me. E non ho potuto meglio che paragonarti alle più sublimi creazioni di Dio; e pensavo: il mio Gino è per me come la luce del sole è necessaria all’uomo; mi rappresenta la più alta poesia delle cose: il profumo dei fiori, la profondità misteriosa del mare, la poesia della natura. In tutto quello che è bello, santo, divino, io vedo qualcosa di te». Ben venga questo testo, scrive il vescovo di San Marino-Montefeltro Luigi Negri nella prefazione, «che ci aiuta a riflettere – e a lottare – perché la famiglia ritrovi, nella nostra considerazione, quel posto che la rende baluardo di dignità e di bene. Famiglia, diventa ciò che sei!».
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