La Cina ha già un esercito di “assistenti civici”. «Li controlliamo uno a uno»

Di Leone Grotti
27 Maggio 2020
Migliaia di funzionari controllano ogni giorno le immagini di 567 milioni di telecamere, sguinzagliando la polizia dovunque si forma un assembramento
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Il progetto sugli assistenti civici lanciato dal ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, ha sollevato un vero e proprio vespaio. L’idea di un corpo di volontari che controlli di fatto che la popolazione rispetti il distanziamento sociale è già stato ridimensionato dal premier Giuseppe Conte. A causa della rapidità con cui il governo cambia idea su qualsiasi argomento, però, potrebbe presto tornare di moda e vale perciò la pena studiare il principale paese che ha adottato lo stesso strumento: la Cina.

«BISOGNA PENSARE COME IN GUERRA»

La pandemia ha fornito al regime comunista una scusa perfetta per aumentare la sorveglianza digitale della popolazione. Senza le app di Tencent e Alibaba, che forniscono un codice Qr sanitario che certifica la salute dei cittadini, in Cina è ormai impossibile prendere i mezzi, lavorare in ufficio o fare la spesa. Il governo ha anche colto l’occasione per installare milioni di telecamere nelle strade, al di fuori e perfino dentro le abitazioni delle persone: si calcola che alla fine dell’anno le città cinesi saranno sorvegliate da 567 milioni di telecamere.

Dietro gli obiettivi, però, davanti a migliaia di schermi, c’è un esercito di “assistenti civici” cinesi riuniti in cosiddette “war room” e incaricati di controllare la popolazione. Il nome è più che adeguato dal momento che il Partito comunista ha lanciato una vera e propria «guerra totale del popolo al coronavirus». La sorveglianza è fondamentale e anche se molti la definiscono eccessiva, secondo Wang, funzionario della megalopoli di oltre 15 milioni di abitanti Tianjin, «bisogna pensare come se fossimo in guerra».

TELECAMERE E ALTOPARLANTI

Che cosa significa? Ad esempio nel villaggio di Donghan, che si trova nella provincia più colpita dal coronavirus, quella dell’Hubei, il cui capoluogo è Wuhan, il funzionario Liu Ganhe ha visto nel suo monitor che raggruppa le immagini di decine di telecamere sei persone senza mascherina per strada. Ha subito avvertito le autorità del villaggio e i funzionari del Partito comunista «si sono precipitati sul posto a disperdere la folla e a educare la popolazione», narrano i resoconti dei media locali come riportato da Reuters esaltando «le restrizioni da tempo di guerra». Il sistema della contea costa oltre 5 milioni di euro e comprende 4.400 telecamere e migliaia di “assistenti civici”.

Allo stesso modo, He Haijun ha visto uno sparuto gruppetto di abitanti nella contea di Yongzhou (Hunan) riunirsi insieme e li ha subito redarguiti usando il sistema di altoparlanti del villaggio come ai tempi della Rivoluzione Culturale. «Nell’arco di due minuti, tutti gli abitanti sono rientrati in casa». Gli altoparlanti sono stati usati allo stesso modo in numerosi altri villaggi del Nord-est del paese, secondo Reuters.

«LI HANNO TROVATI UNO A UNO»

In un’altra occasione, un cittadino di Xiangtan, città dell’Hubei, è stato individuato grazie ai rilevatori di temperatura digitale in un centro commerciale con la febbre. Uscito dal centro commerciale in moto, è stato “inseguito” con lo sguardo dai funzionari attraverso le telecamere dislocate in tutta la città e appena si è fermato una volante della polizia è stata subito mandata sul posto per redarguirlo e ricordargli di non uscire di casa.

A Tianjin sono stati trovati alcuni dipendenti di un negozio sito in un centro commerciale contagiati dal coronavirus. Nei giorni successivi, usando le telecamere e il riconoscimento facciale, la polizia ha rintracciato casa per casa tutti colori che si sono recati nel centro commerciale nello stesso lasso di tempo. Più di 9.000 persone sono state di conseguenza messe in quarantena. «I funzionari li hanno trovati uno per uno grazie alle immagini delle telecamere», esultano i media.

Come spiega James Leibold, esperto di sistemi di tracciamento, professore associato all’università australiana La Trobe, il sistema in Cina funziona: «Ti dà la percezione che ci sia sempre qualcuno che ti sta guardando e questo modera i comportamenti delle persone e cambia il modo di pensare della gente con il tempo». Resta da capire se è quello che vogliamo anche in Italia.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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