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«Bisogna dire che con la marijuana si rischia la vita»

«Bisogna dire che con l’erba si rischia la vita». Ripubblichiamo l'intervista di Mauro Bottarelli a Jonathan Owen, autore dell’articolo dello storico strappo, che apparve su Tempi n.22/2007

Redazione
26/10/2011 - 18:29
Esteri
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In Italia si torna a parlare di legalizzazione delle droghe leggere. Riproponiamo una nostra intervista apparsa su Tempi nel 2007

Il 18 marzo di quest’anno la prima pagina del quotidiano britannico di sinistra The Independent ha fatto il giro del mondo. Quel giorno, infatti, a campeggiare sotto la testata non c’era l’ennesimo atto d’accusa verso Tony Blair per la guerra in Iraq e nemmeno una campagna contro il surriscaldamento globale del pianeta. No, quel giorno a richiamare l’attenzione dei lettori c’era una foglia di marijuana e una scritta che non ammetteva interpretazioni: «Cannabis, scusateci». Già, perché dieci anni prima il quotidiano della chattering society londinese aveva sposato una forte e netta campagna per la depenalizzazione delle droghe leggere, facendone uno dei tratti distintivi della propria linea editoriale. Cosa è cambiato, quindi? Tempi lo ha chiesto a Jonathan Owen, il giornalista che firmò l’articolo dello storico “strappo”.

Mr. Owen, come maturò la vostra scelta di cambiare radicalmente rotta su un argomento di questa delicatezza? Fu una questione medico-scientifica? 
No, e ci tengo molto a sottolinearlo. Da quel 18 marzo sono stato interpellato e intervistato decine di volte ma sono in pochi casi il mio pensiero è stato riportato in modo integrale. Quella scelta fu il frutto di una combinazione di convinzioni: certamente i dati che giungevano dalla Nhs (la sanità pubblica britannica, ndr) e dagli studiosi hanno avuto un forte impatto, ma altrettanto forte è stata la presa di coscienza etica, sociale e morale rispetto all’errore di prospettiva che avevamo compiuto. Se tutto fosse stato riconducibile a una mera questione medica avremmo corredato quella copertina con uno o più interventi di medici e specialisti ma ci saremmo trasformati in Lancet, con tutto il rispetto per questa pubblicazione. Il fatto che a firmare quel pezzo sia stato io parla la lingua di una scelta politica, esplicitamente editoriale. Non ha caso in quel pezzo, nel finale, facevo notare come anche David Cameron abbia cambiato idea sull’abbassamento della cannabis nella scala di valutazione delle droghe dopo che si era scoperto che aveva fumato al college.

Lei stesso però ha ammesso che anche i dati che giungono dall’ambiente sanitario hanno avuto un peso. Qual è la situazione in Gran Bretagna?
Disastrosa. Lo scorso anno 22 mila persone hanno dovuto ricorrere a cure ospedaliere per problemi correlati alla loro dipendenza dalla cannabis e oltre la metà di questi erano ragazzi sotto i 18 anni. In totale in ragazzi costretti a farsi aiutare a livello medico sono passati dai 5 mila del 2005 ai 9.600 del 2006 mentre gli adulti sono stati 13 mila. Sono i numeri di una guerra. Vede, sono praticamente i numeri della manifestazione che questo giornale organizzò un decennio fa ad Hyde Park per chiedere a gran voce la depenalizzazione della cannabis: allora eravamo in 16 mila. Il dottor Robin Murray dell’Istituto di Psichiatria di Londra ha reso noto che almeno 25 mila dei 250 mila schizofrenici che ci sono nel Regno Unito avrebbero potuto evitare questa malattia se non avessero fumato cannabis. La questione, inoltre, non è il crescente numero di consumatori ma la potenza della nuova cannabis, il contenuto spaventoso di principio attivo che contiene.

Nelle ultime settimane in Italia abbia avuto alcune casi di cronaca legati all’uso della cannabis. Nel sangue dell’autista di un pullman che si è rovesciato costando la vita a due bambini sono state trovate tracce di cannabis, un ragazzo è morto a scuola dopo aver fumato uno spinello. Anche in Gran Bretagna avete casi analoghi?
Mi rammarico per questi casi, di cui non ero a conoscenza ma non mi stupisco. Anche in Gran Bretagna abbiamo avuto casi di atti violenti compiuti sotto l’effetto di droghe considerate leggere. Non lo sono affatto! Dati alla mano la cannabis che si trova attualmente in circolazione è pericolosa esattamente come l’eroina, la cocaina e gli acidi. Questo ovviamente va a interessare soprattutto i teenager, maggiormente esposti ai rischi di una droga che loro ritengono poco più di una sigaretta o di una pinta di birra e che invece a lungo andare può creare danni gravi al cervello, ma soprattutto nell’immediato può causare pericolosi stati alterati di coscienza. Quei giovani non si rendono conto di cosa stanno facendo, dei rischi che corrono. Detto questo, la vicenda dell’incidente stradale che mi ha appena raccontato dimostra che non soltanto i ragazzini rischiano di pagare caro gli effetti della cannabis.

A suo avviso cosa bisogna fare a livello politico e legislativo per invertire questa tendenza? Basta la repressione?
Assolutamente no, la repressione non dico che non serve ma certamente è inefficace. Per due motivi: primo il proibizionismo tout-court non ha mai funzionato. Secondo, servirebbero tutti gli agenti del Regno Unito per tentare di bloccare il fenomeno e penso abbiano priorità più gravi e serie in questo momento storico. Occorre una grande battaglia culturale, nelle scuole come nelle famiglie e nelle comunità. Bisogna dire chiaramente a quei ragazzi che fumare cannabis fa male, mette a rischio la loro vita. Vede in Gran Bretagna, a livello legislativo, la cannabis è considerata una droga illegale nel tabellario ufficiale ma di fatto viene classificata come di serie C, ovvero pressoché legale. La politica deve dare risposte serie, eliminare questo tipo di storture e malintesi, ma, ripeto, prima di tutto occorre educare la gente, bombardarla di esempi, casi concreti, dati, ma anche valori positivi.

Non pensa che alcuni modelli come i cantanti e le star del cinema diano il cattivo esempio amplificati dalla grancassa mediatica? Penso a George Michael o a Jason Kay?
Non penso che il principale dei problemi sia questo. Vede, negli anni ’40 e ’50 in questo paese fumavano tutti. E non certo perché al cinema i grandi divi fumavano. Ora il numero di tabagisti è sceso di molto, sia per il costo delle sigarette sia per le campagne informative a tappeto riguardo i danni che il fumo causa nell’organismo. Allo stesso modo penso che il problema non sia vietare a George Michael di sproloquiare sul fatto che fumare cannabis sia meraviglioso, bensì riempire la società di messaggi positivi e opposti sui reali danni che questa abitudini ritenuta falsamente innocua in effetti porta con sé.

Tags: cannabisdrogaindependentInghilterralegalizzazionemarijuanamarjiuanaolanda
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