In Italia c’è un solo posto dove la politica e le sue correnti regnano ancora sovrane: la magistratura
Mentre lo stallo parlamentare non ha consentito l’insediamento del nuovo Consiglio superiore della magistratura, costringendo così il Quirinale a concedere la prorogatio «di diritto» all’attuale Csm proprio perché ai sedici consiglieri eletti dai magistrati il 6 e 7 luglio scorso il Parlamento non è riuscito ad affiancare gli otto consiglieri laici eletti a camere riunite, slittato l’ordine temporale non cambierà il risultato finale di un organismo politicamente lottizzato ancora alla maniera della Prima Repubblica.
Già, in attesa che il disegno di riforma Orlando diventi realtà e, se va bene, tra quattro anni, di un Csm eletto con una nuova legge elettorale e con una sezione disciplinare esterna al Consiglio, ad oggi «ci sono soltanto due posti dove le correnti hanno ancora un senso: uno è la magistratura, l’altro è dentro il Pd. In uno dei due casi non contano niente…». Aveva ragione il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, parlando alla conferenza stampa in cui annunciava che a settembre sarebbe stata incardinata in Parlamento la riforma della giustizia. In un’Italia impazzita, nella quale i partiti non esistono più e i politici sono sbertucciati sistematicamente, c’è solo un settore nel quale la politica regna sovrana. La magistratura.
A confermare questa verità non c’è solo il premier italiano e neppure la lottizzazione nelle nomine dei vertici degli uffici giudiziari (l’ultima partita importante tra le correnti si gioca per il capo della Procura di Palermo), ma anche le elezioni dell’associazione magistrati e del Consiglio superiore della magistratura, dove ad affermarsi sono sempre le correnti organizzate e mai gli “autonomi”. Non c’è spazio per liste “civiche” all’interno della magistratura. Tutto ruota intorno ai tre gruppi principali – Unità per la Costituzione, Area (raggruppa le correnti di Movimento per la giustizia e di Magistratura democratica) e Magistratura indipendente – e non c’è molto spazio fuori di questo schema. Molto, tuttavia, sta cambiando all’interno di questi gruppi organizzati.
Cambiano i rapporti di forza
All’interno del cartello Area – che è passato da 6 a 7 seggi – sono radicalmente cambiati i rapporti di forza interni. Magistratura democratica (Md) è passata da 4 a 2 seggi, mentre la corrente di cui è leader Armando Spataro, Movimento per la giustizia (e che raccoglie, sommariamente, i gruppi “laici” di sinistra), è passata 2 a 5 posti. Unità per la Costituzione (Unicost), la corrente che i giornaloni definiscono “centrista”, è in realtà da anni succube di Md e viene penalizzata ad ogni elezione (questa volta ha perso un seggio, passando da 6 a 5) dalla base togata che vorrebbe meno politica, meno interesse per gli scranni di questo o quel togato notabile e più attenzione alle condizioni di lavoro dei colleghi. Chi trova continue soddisfazioni elettorali è invece Magistratura indipendente, divisa al proprio interno tra “ferriani” (all’incirca l’80 per cento della corrente, sono i togati che si riconoscono nella linea autonomista del magistrato più votato alle elezioni per il rinnovo dell’Anm, Cosimo Ferri, attuale sottosegretario alla Giustizia) e “anti-ferriani” (più o meno il 20 per cento, capeggiati a palazzo dei Marescialli dall’ex gip del caso Fastweb-Scaglia, Aldo Morgigni). La corrente che fu di Paolo Borsellino sarà chiamata a eleggere nei prossimi mesi il nuovo segretario generale dopo l’approdo al Csm del ferriano Lorenzo Pontecorvo e sono in molti a scommettere che questa volta per la poltrona di segretario correrà l’attuale presidente dalla Corte d’appello dell’Aquila, Stefano Schirò.
Quando a settembre (o a ottobre?) il Parlamento nominerà i propri rappresentanti in seno al Csm, inizieranno i giri di valzer del potere giudiziario. All’interno di Unicost la leadership dell’attuale segretario, Marcello Matera, uscito per l’ennesima volta sconfitto alle elezioni insieme alla sua linea di “matrimonio” con Area, potrebbe per la prima volta essere messo in discussione. Magistrati di notevole peso e seguito come Giuseppina Casella e Roberto Carrelli Palombi non sono disponibili a deleghe in bianco e, di fatto, mettono in discussione la riconferma di Matera. A sostegno del patto d’acciaio con le “toghe rosse” è l’ex presidente Anm, Luca Palamara, neo eletto al consiglio superiore. Per contro si fa avanti la posizione più dialogante nei confronti di Magistratura indipendente e intenzionata a un effettivo rinnovamento interno a Unicost, rappresentata da Alberto Liguori (autorevole ex componente del Csm, destinato a riacquistare peso tra i colleghi con il rientro in ruolo come pubblico ministero a Roma). Indipendentemente dall’esito finale, è un fatto che per la prima volta dopo dieci anni è ufficialmente messa in discussione la posizione di Matera come padre padrone di Unità per la Costituzione.
Quel che resta di un’area
Se in Magistratura indipendente e in Unicost si affilano le armi, tuttavia, la situazione più seria è attraversata da Md. Le elezioni del Csm hanno rappresentato la vera sconfitta di Anna Canepa, sostituto procuratore della Direzione Nazionale Antimafia, ed evidenziano la crisi profonda di questa corrente, ancora iper ideologizzata e assai invecchiata, al punto da risultare assai più radicata all’interno della Cassazione che tra i giovani togati. Nonostante il camuffamento della débacle elettorale rappresentato dal successo di Area, la prossima consigliatura non si annuncia affatto facile per gli uomini di Md. Abituati, grazie all’accordo con Unicost, a fare man bassa nell’individuazione dei vertici degli uffici giudiziari, dovranno fare i conti con rapporti di forza radicalmente mutati e con l’indisponibilità delle altre correnti a consentirgli il mantenimento delle posizioni raggiunte.
Si annunciano insomma tempi duri per le toghe rosse. Si badi, non per tutte. Luigi Marini, attuale presidente di Magistratura democratica, fiutando probabilmente l’aria, ha ben pensato di cogliere un volo “last minute”. Con delibera del 23 luglio 2014 è stato autorizzato dal Csm a un incarico fuori ruolo, a quanto pare incredibilmente super pagato, in qualità di «esperto» presso la rappresentanza permanente d’Italia presso le Nazioni Unite. Insomma, non più le note dell’ormai démodé Internazionale ma quelle più affascinanti del grande Frank Sinatra: «New York, New York…».
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