Israele e Hamas si sono sottovalutati. La guerra è a un passo
Israele e Hamas sono a un passo dalla guerra, che potrebbe avere ripercussioni devastanti soprattutto per i palestinesi che vivono a Gaza. Dopo gli oltre mille razzi lanciati dai terroristi islamici, che hanno colpito perfino Gerusalemme e Tel Aviv, e i raid di risposta dell’esercito israeliano, il conflitto potrebbe non fermarsi come avvenuto in passato e degenerare con un intervento nella Striscia su larga scala.
L’origine del conflitto in Israele
Il braccio armato di Hamas, le Brigate Al Qassam, hanno sferrato il primo attacco lunedì dopo settimane di tensione. All’inizio di Ramadan, infatti, la polizia per ragioni sanitarie legate al Covid-19 ha alzato delle barriere a Gerusalemme attorno alla piazzetta davanti alla porta di Damasco. È il luogo dove solitamente si ritrovano i giovani palestinesi alla fine del digiuno quotidiano.
Le proteste contro le barricate si sono presto estese all’area del Monte del Tempio, sacra anche per i musulmani, che la chiamano Nobile santuario. Dopo giorni di scontri violentissimi tra palestinesi e polizia, gli agenti sono riusciti a riprendere il controllo dell’area. Nei disordini sono rimaste ferite centinaia di persone. Alla fine il premier israeliano Benjamin Netnyahu ha ordinato alla polizia di rimuovere le transenne davanti alla Città Vecchia. Ma non è bastato: Hamas ha lanciato un ultimatum a Israele, chiedendo che la polizia si ritirasse dalla Spianata delle moschee.
Allo scadere dell’ultimatum, ha lanciato i primi razzi. La situazione è ulteriormente peggiorata quando nel pomeriggio sette razzi sono stati lanciati verso Gerusalemme per la prima volta dal 2014. Uno di questi ha colpito una casa nella città santa, causando enorme sdegno tra la popolazione israeliana.
«Hamas pagherà caro l’attacco»
L’esercito di Israele ha reagito conducendo centinaia di raid aerei su Gaza, demolendo in particolare due palazzi. Hamas a quel punto ha risposto lanciando in totale oltre mille razzi non soltanto contro le aree più vicine a Gaza, ma anche contro città della zona centrale e settentrionale del paese, come Ashdod e Ashkelon. In particolare, però, centinaia di razzi hanno colpito la capitale Tel Aviv, facendole vivere un inferno sconosciuto prima di questo momento. Almeno 35 persone sono morte in tutto a Gaza e cinque in Israele.
«I miliziani pagheranno a caro prezzo questo attacco», ha dichiarato il premier Netanyahu, in difficoltà dal punto di vista politico perché incapace di trovare un accordo di coalizione per formare un nuovo governo dopo le ultime elezioni.
«I nemici si sono sottovalutati»
In un’analisi sul quotidiano israeliano Haaretz, Amos Harel ha scritto che la violenza «senza precedenti» non potrà che portare gli israeliani a «fare enormi pressioni sul governo affinché risponda in modo duro». Il conflitto su larga scala che potrebbe scatenarsi nelle prossime ore sarebbe figlio della sottovalutazione di Hamas da parte di Israele, che si è fatta «sorprendere», e della sottovalutazione di Israele da parte di Hamas:
«Anche dopo il lancio straordinario di razzi su Gerusalemme, molti in Israele pensavano che le acque si sarebbero calmate. Ma Hamas aveva altre intenzioni. Negli ultimi giorni Israele ha sottovalutato le intenzioni e le capacità operative di Hamas. Ora però è possibile che Hamas stia facendo lo stesso errore. I leader del gruppo hanno peccato di arroganza e forse pensavano che la paralisi politica di Israele avrebbe frenato il governo dall’intraprendere la strada militare. Ma sembra piuttosto vero l’opposto. Gli eventi danno al governo la legittimità politica di agire contro Gaza e il confronto militare potrebbe migliorare la situazione di Netanyahu».
A chi conviene la guerra
In un interessante commento su Repubblica Enrico Franceschini nota che la guerra potrebbe anche convenire a molte delle parti in gioco:
«La prova di forza di Hamas, che sottrae il duello ad Abu Mazen, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese con il cui beneplacito era probabilmente iniziato, ne fa una sfida frontale tra i fondamentalisti islamici della striscia e Israele. La nuova scossa che fa tremare il Medio Oriente rischia di diventare così l’inizio di un’altra grande rivolta: il “Big One” pronosticato e temuto da vent’anni. La terza Intifada. Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen, dalla sua enclave in Cisgiordania, ha incoraggiato la guerriglia nei vicoli della Città Vecchia. Una fiammata di disordini può fare comodo ad Abu Mazen per giustificare la decisione di rinviare le elezioni, promesse da quindici anni e cancellate perché l’anziano successore di Arafat, al potere dal 2008, teme di perderle. Ma una terza Intifada sarebbe più utile ad Hamas, per reclamare un ruolo centrale nella lotta per l’indipendenza. Paradossalmente gioverebbe anche a Netanyahu: non si cambia premier nel mezzo di una guerra, può dire Bibi dopo l’ennesimo voto inconcludente. Sullo sfondo, come sempre nel Grande Gioco mediorientale, si muovono varie forze: la Turchia di Erdogan, che sostiene Hamas aspirando alla parte di sultano d’Oriente, leader del mondo musulmano e autentico difensore dei movimenti islamici».
Foto Ansa
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