Iraq. Ritrovata fossa comune con cinquanta vittime dello Stato islamico
[cham_inread]
Articolo tratto dall’Osservatore romano – Ancora orrore per le crudeltà jihadiste in Iraq. Una fossa comune contenente i resti di cinquanta vittime del massacro di Camp Speicher sono state trovate ieri nei pressi del fiume Tigri vicino Tikrit, circa 170 chilometri a nord della capitale Baghdad. A dare la notizia, oggi, è stato Hussein Al Asadi, portavoce del gruppo armato Jund al Imam (Soldati dell’imam), una delle milizie di Al Hashd Al Shaabi (Unità per la mobilitazione popolare), la coalizione paramilitare a maggioranza sciita che combatte al fianco dei governativi contro il cosiddetto Stato islamico (Is). «Le forze di sicurezza hanno trovato i corpi di più di cinquanta soldati di Camp Speicher uccisi nei pressi di uno dei palazzi presidenziali e gettati vicino al fiume Tigri, a nord di Tikrit» ha detto al Asadi. «Abbiamo trovato la fossa comune in collaborazione con la polizia fluviale» che continua a lavorare alla ricerca dei resti delle altre vittime del massacro di Camp Speicher. Saadoun Ahmed, esponente dell’Alto commissariato per i diritti umani in Iraq, ha detto che l’organizzazione «intende collaborare con le autorità» per accelerare le attività di identificazione dei morti.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Sono centinaia le persone, in gran parte giovani studenti sciiti, che hanno perso la vita nell’attacco, avvenuto nel giugno 2014, alla base militare di Speicher, nei pressi della città di Tikrit, nella provincia di Salah Al Din. È stato uno dei peggiori massacri compiuti dai jihadisti sunniti dell’Is. Le immagini dei video pubblicati in rete dai jihadisti mostrano centinaia di giovani in fila l’uno accanto all’altro, in ginocchio e incappucciati, prima di essere freddati con colpi di pistola e mitragliatrice e gettati in una fossa comune. Dopo la conquista di Tikrit da parte dell’esercito iracheno e delle milizie della Mobilitazione popolare sciita avvenuta in aprile, le autorità di Baghdad hanno dato il via a una serie di indagini nei pressi del luogo del massacro per chiarire le dinamiche dei fatti e identificare tutte le vittime.
La notizia del ritrovamento della fossa comune a Tikrit è solo l’ultima di una lunga serie che documenta la gravità e l’efferatezza della guerra che si sta combattendo oggi in Iraq e in Siria. Un conflitto che ancora non sembra trovare un epilogo: dopo settimane di successi sul campo, gli eserciti siriano e iracheno stanno infatti subendo la massiccia controffensiva dell’Is. Gli annunci delle scorse settimane, che parlavano di una Falluja completamente liberata dai jihadisti, sono stati smentiti ieri dalle rivelazioni del Pentagono. In effetti, secondo la difesa statunitense, solo un terzo della città irachena sarebbe stato liberato dall’Is, mentre nelle altre parti si continuerebbe a combattere. Quasi tutte le aree liberate sono nel sud di Falluja e «operazioni di bonifica continuano dal centro verso la periferia».
Baghdad aveva annunciato la scorsa settimana di avere liberato l’ottanta per cento della città, dove restano intrappolate nei combattimenti almeno cinquantamila civili allo stremo. Proprio in queste ultime ore, l’Is avrebbe lanciato una nuova controffensiva, rallentando considerevolmente l’avanzata delle truppe di Baghdad.
Gli uomini di Al Baghdadi, dunque, perdono terreno ma resistono. Lo conferma anche la situazione siriana: i governativi di Assad, supportati dai caccia russi, e le milizie curde, sostenute dalla coalizione internazionale a guida statunitense, stanno incontrando numerose sacche di resistenza nella marcia verso Raqqa, nel centro del Paese. E nelle ultime ore fonti degli attivisti hanno segnalato intensi bombardamenti su diversi quartieri di Raqqa durante i quali sarebbero stati uccisi 25 civili, tra cui sei bambini. Le truppe di Damasco sono ancora ferme a Tabqa, città sull’Eufrate molto vicina a Raqqa. L’Is è infatti riuscito a respingere un attacco nei pressi dell’aeroporto, che controlla ancora. Intensi combattimenti sono segnalati anche nelle zone a nord della città di Aleppo, al confine con la Turchia.
Foto Ansa
[cham_piede]
Articoli correlati
1 commento
I commenti sono chiusi.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!
Dice che c’è da sminare i posti dove i daesh si sono ritirati.
Quello è un lavoro per i prigionieri vivi, anche feriti, basta che si muovono alla meno peggio.
In particolare per i foreign fighters, almeno gli facciamo fare qualcosa di utile.
Li si mette davanti alla scelta:
se vuoi avere una speranza di vita, vai a sminare, e può darsi che a sera sei ancora vivo per riprendere l’indomani; se ti rifiuti, chiudiamo la partita adesso, qui.