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Iraq. Dopo tre settimane arrivano i risultati delle elezioni in Kurdistan

Ora che la ripartizione dei seggi è finalmente stata annunciata, è possibile che si riformi la claudicante alleanza fra Pdk e Puk che dal 2003 ha sempre governato la regione

Rodolfo Casadei
22/10/2018 - 12:26
Esteri
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Ci sono volute tre settimane prima che i risultati delle elezioni del 30 settembre per il rinnovo del Parlamento regionale del Kurdistan iracheno fossero ufficializzati, a causa di 1.045 ricorsi presentati nel corso dello spoglio dei voti soprattutto da parte dei partiti di opposizione. Adesso che la ripartizione dei seggi è stata annunciata, è possibile che si riformi la claudicante alleanza fra Pdk (partito democratico del Kurdistan) e Puk (Unione patriottica del Kurdistan) che dal 2003 ha sempre governato la regione, compresi i territori contesi occupati dai peshmerga, ora molto ridotti dopo le vicende successive al fallito referendum per l’indipendenza del 25 settembre di un anno fa, che hanno visto il governo centrale riprendere il controllo di aree da molto tempo presidiate dai peshmerga curdi.

Ci sono volute tre settimane, e altri strascichi ancora ci saranno: i risultati di 96 seggi sono stati annullati, la commissione elettorale si è spaccata e ha approvato i risultati finali alla strettissima maggioranza di 5 commissari contro 4, tre partiti di opposizione rifiutano di riconoscere l’esito del voto accusando di brogli i due partiti maggiori, e uno di essi propone di boicottare il nuovo parlamento regionale. Che il Pdk di Massoud Barzani abbia conquistato più seggi e in percentuale più voti che alle elezioni del 2013 lascia effettivamente perplessi: secondo i risultati ufficiali il partito ha conquistato il 43,6 per cento dei voti contro il 37,8 per cento di cinque anni fa, passando da 38 a 45 seggi. Anche il Puk avrebbe migliorato il suo score, passando dal 17,8 al 20,3 per cento, conquistando 21 seggi contro i 18 del 2013. Eppure Pdk e Puk non hanno saputo contrastare la depressione economica che affligge la regione dall’inizio del 2014 e sono responsabili delle mosse azzardate che l’hanno peggiorata, come l’indizione del referendum per l’indipendenza che ha causato dure rappresaglie da parte di Baghdad e l’isolamento internazionale del Krg (il governo regionale del Kurdistan iracheno).

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Sull’onda delle Primavere arabe anche in Kurdistan nel 2011 sono apparsi nuovi partiti che hanno promesso agli elettori di combattere la corruzione e il clientelismo dei partiti tradizionali, e di ampliare la libertà di espressione, la democrazia reale e lo Stato di diritto. Nel 2013 Gorran, il Movimento per il Cambiamento, ha pure scavalcato il Puk diventando il secondo partito della regione col 24,2 per cento dei voti. Stavolta si sarebbe fermato al 12,1 per cento, perdendo metà dei seggi che sono passati da 24 a 12; e un nuovo partito anti-establishment, Nuova Generazione, avrebbe raccolto solo il 7,4 per cento. I due partiti islamisti presenti in parlamento hanno perso 5 seggi, scendendo da 17 a 12 seggi. Qualcuno spiega il risultato soprattutto come il prodotto della disaffezione degli elettori: nel 2013 aveva votato il 74 per cento degli aventi diritto, il 30 settembre scorso solo il 57 per cento.

Da 11 mesi il Krg, Governo regionale del Kurdistan, è privo di presidente dopo le dimissioni di Massoud Barzani il 1° novembre 2017. Lo storico leader dell’autonomismo curdo ha rimesso il suo mandato dopo il fallimento politico del referendum per l’indipendenza. In quell’occasione si recarono al voto il 72 per cento degli aventi diritto residenti nel Kurdistan iracheno e in molti comuni dei territori contesi, che votarono il “sì” all’indipendenza con una maggioranza schiacciante del 92,7 per cento. Ma per rappresaglia contro questa iniziativa che non aveva l’approvazione del governo centrale i paesi confinanti, cioè Turchia e Iran, bloccarono le frontiere alle merci e alle persone in transito per il Kurdistan iracheno, mentre Baghdad chiuse lo spazio aereo ai voli per le due principali città curde, Erbil e Suleymanya, e soprattutto attaccò militarmente le postazioni dei peshmerga nei territori contesi. In cinque giorni fra il 16 e il 20 ottobre le forze armate irachene e le milizie popolari sciite riconquistarono quasi senza colpo ferire l’intero governatorato di Kirkuk, che dall’estate del 2014 era nelle mani dei peshmerga curdi dopo la ritirata delle truppe irachene davanti all’avanzata dell’Isis.

Il fronte curdo cedette di schianto perché i peshmerga affiliati al Puk si ritirarono senza avvisare quelli del Pdk, probabilmente dopo un accordo segreto col governo di Baghdad e con l’Iran (sponsor internazionale del Puk). I curdi hanno così perso il centro della città di Kirkuk, dove erano presenti sin dalla caduta del regime di Saddam Hussein, il controllo politico del governatorato e soprattutto due terzi delle risorse petrolifere a cui avevano fino a quel momento accesso. Dopo di allora le frontiere col mondo esterno sono state riaperte, incluse quelle aeroportuali, ma la perdita dei pozzi petroliferi va ad aggiungersi ai problemi sorti all’inizio del 2014, quando Baghdad decise di interrompere i trasferimenti di risorse fiscali a Erbil, che dovevano ammontare al 17 per cento del bilancio nazionale iracheno, a causa del fatto che il Krg aveva cominciato a sviluppare e vendere sul mercato internazionale il petrolio del territorio curdo firmando contratti dai quali il governo centrale era escluso.

Nell’estate del 2014 i curdi si sono ritrovati così ad affrontare con pochi soldi e con poche armi (Baghdad non ha mai trasferito ai curdi alcuna parte degli aiuti militari americani e internazionali che riceveva) l’offensiva dell’Isis, che dopo Mosul occupò le località della Piana di Ninive che dal 2003 erano sotto controllo curdo e arrivò a 50 miglia dalla capitale regionale Erbil. Quello era forse il momento ideale per dichiarare l’indipendenza: con le forze armate irachene allo sbando e i curdi che si difendevano disperatamente potendo contare solo sui bombardamenti aerei della coalizione a guida americana contro le postazioni dell’Isis, Baghdad non avrebbe potuto reagire. Invece i curdi si sono lasciati convincere a partecipare alla campagna contro l’Isis del 2016-17 e a rinviare il negoziato sulle loro richieste indipendentiste a dopo la sconfitta dell’Isis. Peccato che nel frattempo le forze armate irachene si siano riorganizzate e oggi risultino molto meglio armate e addestrate di quelle curde. Risultato: Baghdad può mostrare la consueta intransigenza nei confronti della causa indipendentista curda, senza nessun tipo di incertezza, spalleggiata da Turchia e Iran che pure hanno ben noti problemi con le loro popolazioni curde.

Non bastassero i problemi economici e il fallimento del progetto indipendentista, il Kurdistan si è ritrovato a fare i conti con un rinnovato clima di tensione fra Pdk e Puk, i due partiti storici della regione. Il Puk è nato per scissione dal Pdk nel 1975, più per motivi personalistici che ideologici: il Pdk nasce attorno al potente clan dei Barzani, mentre il Puk si impernia sul clan dei Talabani. Negli anni Novanta i due partiti hanno dato vita a una sanguinosa guerra civile che è durata dal 1994 al 1998; dopo di allora hanno trovato un accordo che ha permesso loro di governare insieme il Kurdistan prima e dopo la caduta di Saddam Hussein. Nell’Iraq post-Saddam i due partiti si spartiscono le cariche: al leader storico del Puk Jalal Talabani tocca la presidenza dell’Iraq (che è votata dai deputati del parlamento nazionale ed è una carica secondaria rispetto a quella di primo ministro, affidata agli sciiti), ai Barzani del Pdk la presidenza del Kurdistan nella persona di Massoud Barzani e la carica di primo ministro del Krg a Nechirvan Barzani, nipote di Massoud.

Alle elezioni regionali i due partiti si sono presentati in un’unica lista fino al 2013, quando per la prima volta si sono presentati separatamente. Le divisioni si sono di nuovo recentemente mostrate in occasione dell’elezione del nuovo capo di Stato iracheno: mentre fino al 2014 il candidato era scelto con un’intesa fra Pdk e Puk, e doveva appartenere a quest’ultimo partito, dopo le elezioni nazionali del maggio scorso il Pdk ha contrapposto un suo candidato a quello del Puk, che però è stato votato dalla grande maggioranza dei deputati di tutti gli altri partiti iracheni.

Così è stato eletto presidente il 2 ottobre scorso Barham Salih, terzo presidente curdo dell’Iraq dopo il 2003. Il Pdk potrebbe ora in teoria vendicarsi formando una maggioranza di governo del Krg che escluda il Puk. Ma è più probabile che cerchi un nuovo accordo per stemperare la tensione e per dare la priorità ai problemi del governatorato di Kirkuk, dove il governo centrale sta ri-arabizzando i territori sottratti ai curdi l’anno scorso e quest’anno.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

Tags: baghdadIraqkirkukkurdistanpeshmerga
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