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Intervista – Artisti e curatori interpellati a Genova sulle Cose di Natura
La Galleria D’Arte Moderna di Genova, uno dei quattro Musei di Nervi, presenta fino al 22 giugno la mostra fotografica Cose di Natura. Luisa Menazzi Moretti e Marco Maria Zanin. Una serie di opere site specific dialogano con la collezione della sede e con il paesaggio circostante. Abbiamo chiesto ai curatori, Fortunato D’Amico e Maria Flora Giubilei, e agli artisti protagonisti, di soddisfare alcune curiosità. Ne viene fuori un interessante confronto che ci fa riflettere sulla creazione artistica e sulla sua diffusione.
In che modo si costruisce, sia da un punto di vista allestitivo che di contenuti, il dialogo tra le opere site specific di Luisa Menazzi Moretti e Marco Maria Zanin e le collezioni permanenti della Galleria d’Arte Moderna?
Fortunato D’Amico: La mostra Cose di Natura ha voluto privilegiare un serrato confronto dicotomico tra i due fotografi che, pur dibattendo sullo stesso tema, lo hanno fatto accedendovi da due distinti punti di vista, talvolta collocati in posizioni antitetiche. Il lavoro di curatela è stato quello di cogliere queste differenze, liberarle dall’individualità intimista ed elevarle al rango di valori e sentimenti universali da condividere con i contemporanei, ma anche con le idee di oltre trecento artisti, presenti con le loro tele nei padiglioni espositivi del GAM, che hanno operato nell’ultimo secolo e mezzo per costruire la storia dell’arte. Un dialogo, questo, che solo Maria Flora Giubilei, direttrice della Galleria d’Arte Moderna di Genova Nervi, è capace di istruire con la dovizia dei particolari e il rigore assoluto dettato dall’esperienza e dalla perfetta conoscenza di tutte le opere e degli artisti.
Maria Flora Giubilei: Il dialogo si articola su tre livelli: dialogo con le collezioni artistiche permanenti (indagando aspetti della riproduzione del paesaggio naturale nel corso degli ultimi due secoli, e aspetti legati alla condizione della natura umana), dialogo sulla natura con il contesto paesaggistico esterno, dialogo spazio-formale-cromatico con il contesto museale e con le singole opere. Questi tre filoni di dialogo si possono costruire conoscendo perfettamente non solo le collezioni storiche, il loro contenuto e il loro messaggio, ma anche l’articolazione del paesaggio esterno e le sue specificità. E avendo, non ultima, una perfetta percezione dello spazio museale.
Luisa Menazzi Moretti: Ho cercato di studiare i temi e gli stili delle diverse epoche e delle molte opere esposte alla Galleria d’arte Moderna di Genova. Mi sono concentrata sul tema dominante delle singole sale, per poi lavorare sulle assonanze di senso e le dissonanze di stile. La fotografia contemporanea può apparire distante dai linguaggi e dalle tecniche dell’arte moderna; chi cerca una continuità impossibile, potrebbe rimanere spiazzato. Ma chi invece nell’arte cerca l’intuizione di un punto di vista diverso attraverso cui guardare alla realtà, può trovare molte corrispondenze e rimandi. Ho selezionato e prodotto fotografie che avessero la natura come soggetto, ma cercassero attraverso quella di riprendere il discorso interrotto di quelle opere del museo che più mi avevano colpito.
Se l’obiettivo di Luisa è catturare quel dettaglio che normalmente ci sfugge, e quello di Marco è dare una visione di insieme, quali sono le opere che meglio raccontano le loro poetiche?
Fortunato D’Amico: Ognuna delle opere esposte è come un frattale, rappresenta la totalità dell’insieme poetico espresso da entrambi i fotografi. Di fatto la lettura di molte delle fotografie di Luisa Menazzi Moretti e Marco Maria Zanin è elaborata, in questo caso, attraverso il confronto immediato con le opere dei pittori che gli stanno accanto o lambiscono con i loro quadri le pareti circostanti; opportunità che il pubblico può cogliere mettendole in relazione tra di loro. Personalmente non credo nella rappresentatività assoluta di un opera per comprendere un artista; ritengo invece sia necessario verificare ogni lavoro con il resto della produzione creativa; questo per comprendere e ad apprezzare meglio la profondità di pensiero e l’ispirazione che guida urgenza della produzione artistica. Mi piace ricordare che buona parte di questi lavori provengono da progetti differenti e in questo caso sottomessi alla verifica storica, in una situazione espositiva molto speciale rispetto alla fruizione abitudinaria delle mostre dedicate agli artisti del contemporaneo.
Maria Flora Giubilei: Una delle immagini più forti scattate da Luisa è quella della scala a precipizio sulla scogliera di Nervi: ricca di dettagli, riesce, tuttavia, a restituire in quello scatto, tutta la suggestione e la potenza drammatica del dato di natura in una visione che pare affiorare da un tempo lontano eppur sempre nuovo e rinnovato. Per ciò che attiene Zanin, l’opera che sfonda i limiti oggettivi imposti dall’immagine per restituire – in due metri quadrati di carta cotone e partendo pure lui da dettagli combinati in un mosaico di ampio respiro – tutta l’essenza della Galleria d’Arte Moderna avvolta, per di più, in una riflessione globale sulla contemporaneità e sui nuovi valori da perseguire, è Giona o l’appeso, vera e propria grandiosa allegoria dell’esistenza umana, tra la storia passata e l’attualità.
Luisa Menazzi Moretti: I dettagli per me sono importanti perché contribuiscono a dare valore o a sottrarlo ad ogni cosa; spesso il dettaglio consente di vedere “altro”. E’ uno scavo, una ricerca. Nelle mie immagini, i dettagli non vengono riprodotti per essere evidenziati, ma per ciò che di diverso possono raccontare: attraverso il particolare cerco di descrivere un paesaggio interiore, un riflesso di uno sguardo personale sul mondo. La mia è una visione legata alle esperienze, ai ricordi e alle emozioni; è una tra tante possibili visioni, che ritorna a galla nell’immagine per essere condivisa nel tentativo di un possibile dialogo o, almeno, di un’emozione. E’ difficile per me indicare tra le mie fotografie un’immagine che meglio può raccontare la mia poetica, forse risulta più evidente in Alberi e specchio e Fieno.
Marco Maria Zanin: Posto che l’unico mio lavoro che restituisce una “visione d’insieme” è quello su São Paulo, credo che la mia opera in questo senso più rappresentativa sia Il Centro dall’Edificio Italia. E’ la fotografia che apre la serie, dove la metropoli si manifesta sotto un cielo bianco, come fosse una visione onirica. L’uso del colore e la scelta di fotografare la città nella foschia, dall’alto, mi aiutano a restituire un’immagine neutra, silenziosa, distaccata della grande distesa di cemento. Essa nella realtà divora l’uomo, e lo annienta con i rumori, il traffico, le infinite attività in cui egli è immerso. Il distacco è il primo approccio per comprenderla; il bianco è il colore che allenta le emozioni detonanti che salgono quando ci si immerge. La visione dall’alto aiuta ad osservarne il volto, l’espressione, i segni attraverso cui è descritta la sua storia e la sua anima.
Ci sono delle opere che raccontano in modo particolare il paesaggio italiano?
Fortunato D’Amico: Buona parte delle fotografie presentate sono state scattate in Italia, tranne le panoramiche di San Paolo del Brasile realizzate da Marco Maria Zanin. Stranamente i paesaggi urbani in esse rappresentati evocano certe prospettive di Genova che in alcune zone, con le sue architetture, cresce verso l’alto. La città ligure è comunque stata immortalata dall’alto dalla macchina fotografica di Marco Maria Zanin e la foto è ora esposta, insieme alle altre opere che ritraggono la campagna venete immersa nel candore delle nebbie, nei locali della GAM. Zanin ha inoltre voluto omaggiare Genova, elaborando la fotografia di una scultura presente nella collezione permanente della Galleria realizzata da Edoardo De Albertis, dal titolo L’Uomo di Amper. Luisa Menazzi Moretti ha invece proposto immagini particolari nei frame fotografici di Nervi e del suo Parco, presentate con altre dedicate invece alla natura di paesaggi Italiani e stranieri. I caratteri trasbordanti ed espressivi e la drammaticità del suo stile tendono a cancellare le impronte identitarie del luogo, trasformandosi in segni e codici di un linguaggio personale che sollecita l’artista a rileggere la realtà che lo circonda e a riappropriarsene secondo le modalità proprie dell’ispirazione artistica.
Maria Flora Giubilei: Luisa ha fatto un percorso su molti luoghi italiani – e stranieri – e ha dedicato cinque scatti al paesaggio di Nervi, colti tra cielo e terra. Marco, oltra al lavoro site-specific del Giona, in cui ha inserito il mare e l’orizzonte di Nervi insieme ai 200 scatti di dettagli tratti dalla collezioni esposte, ha fissato, in una veduta dall’alto (il suo dichiarato “benvenuto” alla nuova città visitata) – parte del Levante genovese. Gli altri cinque scatti esposti in museo sono relativi alle “Cattedrali rurali” che si conservano, come silenziose memorie e testimonianze di un passato antico, nel paesaggio veneto.
Luisa Menazzi Moretti: Campo l’ho scattata nella pianura agricola veneta, una mattina all’alba, quando la nebbia ancora non era salita del tutto. Serre è una fotografia dei biscioni di coltivazione industriale in Sicilia. Mare, Tramonto, Discesa a mare, Laguna sono frammenti dei molti mari italiani. Sono prospettive che non descrivono i luoghi, ma cercano di trasmettere la loro involontaria poetica.
Marco Maria Zanin: Tutte le mie cinque immagini tratte dalla serie Cattedrali rurali, sull’architettura e il paesaggio rurale della Bassa Padovana raccontano il paesaggio italiano. Il lavoro è circoscritto nelle campagne a sud di Padova, ma racconta la condizione di un patrimonio presente nell’intera penisola, quello rurale, che dagli anni del boom economico in poi è stato in gran parte abbandonato per passare alla civiltà industriale, con il suo diverso modo di trasformare il territorio e la comunità umana. Le ho chiamate Cattedrali perché quegli edifici e quei segni sono la testimonianza del sacro rapporto tra l’uomo e la natura, di quella relazione ancestrale che esiste tra i figli e la propria madre. Sono l’espressione del genius loci, la manifestazione degli spiriti della terra e dell’uomo che si incontrano, capaci di ascoltarsi, di dialogare rispettando l’uno le leggi dell’altro. Oltre al loro valore storico, esse hanno la forza del simbolo: ci aprono la visione verso un orizzonte di valori che è profondamente radicato in noi, nella nostra natura, anche se, proprio come i soggetti delle mie immagini, in questo momento si trova lontano dalla nostra attenzione e dalla nostra cura. Le mie immagini della campagna veneta non sono una visione nostalgica. Sono la chiamata a tornare ad appoggiare lo sguardo verso quel mondo, e verso quell’importante fetta della nostra identità dove si trova nascosto il seme del legame con la nostra madre terra. Compaiono nella nebbia, come in un sogno, perché oggi anche dentro di noi sono avvolte dalla nebbia, sono lontane, sommerse nel nostro inconscio. Vanno risvegliate con delicatezza, parlando a bassa voce, sussurrando vicino al cuore, per una lenta operazione che risvegli il ricordo di chi siamo, e di quello che, nell’impulsiva corsa al benessere, abbiamo lasciato alle nostre spalle.
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