Perché grandi aziende come Indesit e Whirlpool, veri e propri colossi del bianco, vogliono chiudere gli stabilimenti rispettivamente di Fabriano (Marche) e Trento, e lasciare il nostro per trasferirsi in Polonia o in Turchia, con il rischio di causare esuberi tra i lavoratori che difficilmente verranno ricollocati? Tempi.it l’ha chiesto a Martin Miszerak, presidente di Miszerak & Associati, società di consulenza polacca che si occupa di accesso al credito e finanziamenti ed elabora studi di fattibilità e piani industriali anche per chi vuole sbarcare con la sua azienda in Polonia.
Miszerak, come giudica la decisione di Indesit e Whirlpool di trasferirsi?
Indesit ha già cinque stabilimenti in Polonia, dove il gruppo è radicato da tempo; francamente non sarei così stupito se decidesse di trasferirvi tutta la produzione. Per Whirlpool, invece, il discorso è diverso, perché non si tratta di un’azienda italiana bensì statunitense, abituata a operare secondo le logiche del mercato internazionale.
La delocalizzazione è la strada che seguirà anche Indesit?
Non conosco i piani dell’azienda, ma certo è che la Polonia negli ultimi 10-15 anni è diventata il centro della produzione di grandi elettrodomestici come frigoriferi, freezer, lavatrici e lavastoviglie, un po’ come la Cina lo è diventata per quelli più piccoli come ferri da stiro e microonde. Ormai non c’è più la possibilità che questo tipo di elettrodomestici vengano prodotti in Europa occidentale: è un problema di costi, bisogna capirlo. Io penso che in Italia potrà continuare ad esistere soltanto la produzione di alta gamma o di nicchia, dove i margini di guadagno sono molto maggiori di quelli garantiti dagli elettrodomestici destinati al mercato di massa. Del resto è un po’ la stessa cosa che sta accadendo nel comparto auto con le piccole prodotte all’estero e quelle di lusso che restano in patria.
È per via del minor costo del lavoro che sempre più aziende scelgono l’estero?
Non solo. Diciamo che è un problema di costi in generale, alla luce anche della concorrenza cinese e da parte di altri mercati: si va dal costo della manodopera, che in Polonia è decisamente inferiore all’Italia, al costo dell’energia, anch’esso penalizzante da voi, passando per l’elevatissimo livello di tassazione che patite. Pensi che in Polonia, per esempio, la tassazione sulle imprese è pari al 19 per cento e non ci sono ulteriori balzelli indesiderati che invece in Italia le aziende devono pagare, come quella strana tassa che è l’Irap.
In Polonia c’è disoccupazione?
La disoccupazione c’è, ma in Polonia è un fenomeno diverso da quello che state conoscendo in questo periodo in Italia: qui riguarda in prevalenza alcune aree poco sviluppate del paese, per esempio le regioni più a est, e coinvolge soprattutto persone che non sono disposte a spostarsi e viaggiare.
Quali sono i pregi del mercato del lavoro polacco?
È la struttura del mercato ad essere diversa, perché è decisamente più flessibile e ciò permette lo sviluppo dell’economia. Se il mercato del lavoro, infatti, è eccessivamente rigido, come in Italia, le imprese non investono. Le dirò di più: le aziende straniere non investono nel vostro paese perché sanno che, una volta dentro, non potrebbero più ristrutturarsi e licenziare. Cose che invece possono fare in Polonia. Il mercato del lavoro polacco, insomma, favorisce lo sviluppo e l’occupazione della gente; quello italiano, invece, li uccide. Sono due mentalità completamente diverse a confronto, come testimoniato anche da un altro fatto particolare.
Quale?
La Polonia è uno dei paesi più capaci di aggiudicarsi l’accesso ai fondi europei, mentre l’Italia è uno degli ultimi. E la maggior parte di questi fondi è destinata proprio alle imprese. Anche un grande gruppo come la Fiat, in Polonia, è stato capace di aggiudicarsi questi fondi.