In vino veritas. In familia vita!
C’è un nonno che scrive per Tempi e una giovanissima nipote – che dal progenitore ha ereditato il talento per la cesellatura delle parole – che reagisce al suo articolo. Piccolo caso editoriale che diventa tema di discussione familiare e che merita di essere conosciuto oltre la cerchia parentale. Al lettore basterà sapere che il “nonno” è Emiliano Ronzoni che su Tempi di marzo ha scritto un articolo intitolato “Ma che ne sa Bruxelles di quanta vita c’è in un calice” in cui si lamentava della pochezza di spirito dei burocrati di Bruxelles che volevano etichettare il vino come nocivo. “Non sia mai”, scriveva il nostro imbottigliatore per passione: “il vino è vita”, cioè ha a che fare con l’amore, gli amici, la Luna e, appunto, i nipoti (battaglione Brianza Alcolica che, dalla bocca di fuoco di una Bonarda frizzantina opportunamente agitata, bombardava di tappi il giardino dell’incolpevole vicino di casa).
***
Ma cosa ne sa un nonno delle opinioni dei nipoti?
Facile credere a tutto quello che un vecchio un po’ brillo scrive sul giornale, ma quest’uomo
ha effettivamente solo dato aria alla bocca oppure nella bottiglia c’è un fondo di verità?
Beh, ci sono sempre stati svariati (e con svariati intendo molti) momenti in cui mio nonno
era meglio non ascoltarlo, ma questo, stranamente, non è uno di quelli.
Non è strano che in un articolo per un importante giornale qualcuno scriva in maniera così
informale? Non è strano definire una cosa inanimata viva? Non è strano sentire di essersi
commossi leggendo ciò che qualcuno ha scritto sul vino? No, non è strano.
Non è strano perché la persona che ha scritto l’articolo ha veramente questo argomento nel
cuore.
È commovente perché lo scrittore non parla da una posizione di superiorità, come quelli
dell’Europa che sanno tutto, ma è lì, di fianco a te, a tavola, con una bella bottiglia di vino
davanti. Lo scrittore vuole farti capire ciò che lui ama del vino, non vuole farti amare il
vino.
Non credo di riuscire a spiegare perché il vino sia “vivo”, perché non lo conosco bene, ma
posso spiegarvi cosa pensa mio nonno, perché lui sì che lo conosco bene.
Qualche volta mi è capitato di domandargli perché facesse la fatica (perché è una grande
fatica) di imbottigliare il vino invece che comprarlo. Lui mi ha sempre risposto: «Faccio
questo lavoro perché, così, ogni volta che un amico viene a pranzo, posso offrirgli un po’ di
vino».
Mah!, continuavo a pensare che facesse prima a comprarlo, finché, leggendo questo articolo,
ho capito. LUI ha preso quel vino, lo ha scelto e lo ha imbottigliato. LUI ha faticato per
portare un po’ di piacere ai suoi amici a tavola. LUI può vedere i frutti del suo lavoro.
Non definirei il vino come “vivo”, anche perché vorrei evitare un 3 in scienze, ma di
sicuro penso che il vino porti vita a tavola. A pranzo con i miei nonni il vino è sempre
argomento di conversazione, non perché siamo grandi esperti o grandi ubriaconi, ma perché
ha sempre coinvolto ricordi divertenti.
Mio nonno può dare voce a noi nipoti e farvi credere che ci divertiamo con il vino ma lui
realmente cosa ne sa? Per questo voglio dire la mia.
Quando mi dicono “vino” la prima cosa a cui penso è un calice di cristallo con dentro un
liquido rosso, come più o meno tutti. La seconda, però, è mio cugino Gabriele che mi
guarda e dice: «Oh ma hai visto la mia bomba? Ho preso la persiana del secondo piano, non
mi batti». Un ricordo che penso di non poter dimenticare.
In quel momento tutta la mia competitività si faceva avanti e imploravo mio nonno di essere
la prossima ad aprire il vino. Eravamo così invaghiti di quella specie di gioco che avevamo
addirittura messo un segnapunti sul frigorifero dei nonni. E non era solo Gabriele, anche
Tommaso e Luca partecipavano cercando sinceramente di vincere. Per non parlare poi di
quando mio nonno scordava che il vino fosse mosso e apriva la bottiglia in casa. Non vi
dico le imprecazioni della mia povera nonna costretta a pulire ovunque (il soffitto e qualche
mia maglietta ne portano ancora i segni).
Ovviamente c’è da parlare anche dell’imbottigliare. Dividiamo la questione in fasi. Primo:
chiamare zio Ben, era fondamentale avere qualcuno in forma per mettere i tappi e spostare
le damigiane. Secondo: sistemare la cantina con il giornale per non sporca… ah no mio
nonno non lo ha mai fatto. Terzo: chiedere l’approvazione di nonna Liviana, essendo lei la
vera padrona della casa. Quarto: chiamare l’indiscussa veterana del mestiere, la sottoscritta
Beatrice Non-giustamente-retribuita Gatto. Quinto: chiedere agli altri nipoti se volessero
venire e iniziare il complicato mestiere.
Complicato, sì, ma veramente divertente e sicuramente un mestiere.
Puoi scherzare con il nonno, ascoltare la nonna, fare a gara con lo zio per vedere chi è più
veloce e lamentarti per la stanchezza senza, però, smettere di lavorare. A parer mio non
esiste momento migliore per legare con la famiglia e assicurarsi l’eredità.
Se quelli che sanno tutto dell’Europa credono che il vino sia nocivo è perché lo hanno visto
nelle mani sbagliate. Se avessero guardato meglio avrebbero notato che, forse, quelle mani
erano sporche già prima di aver bevuto il vino. Forse erano le persone il problema e non il
vino.
Forse mio nonno l’aveva capita la mia opinione di nipote: il vino porta vita nella nostra
famiglia.
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