L’Ilva di Taranto riparte dalla nuova Aia, l’autorizzazione integrata ambientale che il governo ha imposto con decreto all’industria dei Riva di adottare per il risanamento degli impianti e la bonifica dell’area, contro la sentenza della Procura della città, poi bocciata dalla Corte costituzionale, che avrebbe ostacolato il percorso di messa in sicurezza e messo a repentaglio decine di migliaia di posti di lavoro. A suggerire questa strada è l’arcivescovo di Taranto Filippo Santoro, in un’intervista oggi a Avvenire. Santoro, infatti, invita l’Ilva «ad una attuazione rigorosa dell’Aia. È necessario ripartire e farlo ambientalizzando gli impianti». Poi ha aggiunto: «I vertici dello stabilimento e del gruppo non possono esimersi dal confronto con i tarantini. Ilva non è il signorotto che comanda su salute ed ambiente. Deve farsi carico di Taranto, dei più poveri, della salute e della vita degli abitanti. E la questione ambientale non può essere accantonata».
BOCCIATO IL REFERENDUM. L’arcivescovo di Taranto, poi, commentando l’esito del referendum sulle sorti dell’Ilva e la vittoria schiacciante dell’astensione (l’80 per cento dei cittadini del Comune ha deciso di non votarlo), ha detto: «Basta contrapposizioni tra salute e lavoro. I tarantini hanno ignorato il referendum per ribadirlo». «Mi sembra una scelta chiara, motivata dal desiderio di tenere presente sia il grande tema della salute che quello del lavoro. La soluzione che li metteva uno contro l’altro è stata sconfitta».
Secondo Santoro, «il flop di questo referendum ha dimostrato che il rumore di certi talk show, che descrivono una città paralizzata, non ha fratto presa sulla gente. I tarantini hanno risposto con prudenza, comprendendo che nelle domande mancava totalmente il riferimento al lavoro». I quesiti del referendum, infatti, si riferivano «soltanto alla chiusura totale o parziale dell’Ilva. Non proponevano nulla».
TARANTO NON È SOLO L’ILVA. «L’ho detto nel discorso del venerdì santo alla comunità diocesana e lo ribadisco – ha aggiunto l’Arcivescovo -: non dobbiamo formalizzarci sulla siderurgia ma occorre ripartire dalla piccola e media industria», dall’agricoltura, con la produzione del vino ad esempio, dall’attenzione al mare ed ai suoi prodotti, al momento in grande difficoltà, dal commercio.
Una speranza «certo che c’è», ha concluso Santoro, rinnovando il suo personale «invito costante all’unità. Smettiamo di essere uno contro l’altro. I problemi si risolvono non eliminandoli ma cercando percorsi di condivisione».