Ilva di Taranto, Filippo Santoro: «Basta contrapporre salute e lavoro. Partire da attuazione rigorosa Aia»

Di Redazione
18 Aprile 2013
Per l'arcivescovo di Taranto il «flop del referendum ha dimostrato che il rumore di certi talk show non ha fratto presa sulla gente», che ha risposto «con prudenza, comprendendo che nelle domande mancava il riferimento al lavoro»

L’Ilva di Taranto riparte dalla nuova Aia, l’autorizzazione integrata ambientale che il governo ha imposto con decreto all’industria dei Riva di adottare per il risanamento degli impianti e la bonifica dell’area, contro la sentenza della Procura della città, poi bocciata dalla Corte costituzionale, che avrebbe ostacolato il percorso di messa in sicurezza e messo a repentaglio decine di migliaia di posti di lavoro. A suggerire questa strada è l’arcivescovo di Taranto Filippo Santoro, in un’intervista oggi a Avvenire. Santoro, infatti, invita l’Ilva «ad una attuazione rigorosa dell’Aia. È necessario ripartire e farlo ambientalizzando gli impianti». Poi ha aggiunto: «I vertici dello stabilimento e del gruppo non possono esimersi dal confronto con i tarantini. Ilva non è il signorotto che comanda su salute ed ambiente. Deve farsi carico di Taranto, dei più poveri, della salute e della vita degli abitanti. E la questione ambientale non può essere accantonata».

BOCCIATO IL REFERENDUM. L’arcivescovo di Taranto, poi, commentando l’esito del referendum sulle sorti dell’Ilva e la vittoria schiacciante dell’astensione (l’80 per cento dei cittadini del Comune ha deciso di non votarlo), ha detto: «Basta contrapposizioni tra salute e lavoro. I tarantini hanno ignorato il referendum per ribadirlo». «Mi sembra una scelta chiara, motivata dal desiderio di tenere presente sia il grande tema della salute che quello del lavoro. La soluzione che li metteva uno contro l’altro è stata sconfitta».
Secondo Santoro, «il flop di questo referendum ha dimostrato che il rumore di certi talk show, che descrivono una città paralizzata, non ha fratto presa sulla gente. I tarantini hanno risposto con prudenza, comprendendo che nelle domande mancava totalmente il riferimento al lavoro». I quesiti del referendum, infatti, si riferivano «soltanto alla chiusura totale o parziale dell’Ilva. Non proponevano nulla».

TARANTO NON È SOLO L’ILVA. «L’ho detto nel discorso del venerdì santo alla comunità diocesana e lo ribadisco – ha aggiunto l’Arcivescovo -: non dobbiamo formalizzarci sulla siderurgia ma occorre ripartire dalla piccola e media industria», dall’agricoltura, con la produzione del vino ad esempio, dall’attenzione al mare ed ai suoi prodotti, al momento in grande difficoltà, dal commercio.
Una speranza «certo che c’è», ha concluso Santoro, rinnovando il suo personale «invito costante all’unità. Smettiamo di essere uno contro l’altro. I problemi si risolvono non eliminandoli ma cercando percorsi di condivisione».

Articoli correlati

1 commento

  1. Maria Villani

    E vero che l’Arcivescovo di Taranto deve portare acqua al suo mulino e salvare capre e cavoli, ma è doveroso non dimenticare che “salvaguardare l’ambiente” vuol dire salute e benessere per l’uomo e in questo caso sopratutto per i cittadini di Taranto.
    Ci si augura che i tarantini non nascondano la testa sotto la sabbia e usino l’intelligenza e la coscienza per risolvere questa annosa incresciosità a vantaggio di se stessi e del futuro dei propri figli.
    E’ pura illusione credere che la produttivita e l’economia del territorio e del mare di Taranto possano essere tutelate dall’Aia che ha comunque a cuore gli interessi di quelli stessi che di Taranto hanno fatto terra di nessuno; non dimentichiamo che SOLO la completa CHIUSURA dell’Ilva (costi quel che costi a chi di dovere) e rapida attuazione di una bonifica per ridare lavoro, puo soddisfare e ripagare i tarantini non solo dall’essere stati danneggiati cosi a lungo, ma anche cosi vilmente privati della salute e della stima.

I commenti sono chiusi.