
Il terrorismo islamico torna a colpire Israele. E stavolta viene “dall’interno”

Concentrato sul tessere l’alleanza contro l’Iran insieme ai partner arabi e a porsi come mediatore nella guerra in corso in Ucraina, Israele ritorna a fare i conti con il suo problema esistenziale: il conflitto con i palestinesi. In una settimana ben tre attacchi terroristici, di cui uno rivendicato dallo Stato islamico, hanno provocato la morte di 11 persone e riportato nel paese lo spettro di una nuova “Intifada”, direttamente nel cuore dello Stato di Israele. Gli attacchi hanno colpito le località di Beersheba, Hadera e Bnei Brak, quest’ultimo l’unico condotto da un palestinese della Cisgiordania.
L’ondata di violenza preoccupa sia per le modalità che per la cittadinanza israeliana di almeno tre dei quattro attentatori. Il primo ministro palestinese, Naftali Bennett, ha affermato che «Israele sta affrontando una nuova ondata di terrorismo», mentre il ministro della Difesa Benny Gantz ha stabilito il dislocamento a sostegno della polizia di mille militari di leva delle Forze di difesa israeliane (Idf), per rafforzare la sicurezza, in seguito alla serie di attacchi terroristici avvenuti negli ultimi dieci giorni nel paese.
Gli attentati di Beersheba e Hadera
Il primo attacco della serie è avvenuto a Beersheba, il capoluogo della regione del Negev, dove un beduino cittadino israeliano, già condannato per appartenenza allo Stato islamico, ha assaltato un centro commerciale armato di coltello e ha ferito mortalmente quattro persone. Se il primo attacco rientra in quelli all’arma bianca ormai divenuti tristemente tipici del modus operandi di molti attentatori in Israele, quelli di Hadera e Bnei Brak hanno visto modalità da commando terroristico con l’impiego di armi da fuoco e più attentatori.
L’attacco di Hadera, cittadina a metà strada tra Tel Aviv e Haifa, è stato condotto da due arabi israeliani che hanno sparato sulla folla, uccidendo due poliziotti, prima di essere freddati da agenti sotto copertura di un’unità antiterrorismo che si trovava in un ristorante nelle vicinanze. Prima di compiere l’azione i due avevano postato un video su Facebook in cui rivendicavano la loro fedeltà allo Stato islamico. L’attacco di Hadera è avvenuto mentre nel Negev prendeva il via lo storico vertice tra i ministri degli Esteri di Israele, Stati Uniti, Bahrein, Egitto ed Emirati Arabi Uniti.
La strage a Bnei Brak
L’ultimo attentato in ordine di tempo, e il più grave per numero di morti, è stato quello avvenuto nella notte tra martedì e mercoledì a Bnei Brak, sobborgo di Tel Aviv, sede della più numerosa comunità ultraortodossa di Israele. Qui un palestinese originario di Jenin, probabilmente con l’appoggio di altre persone, ha fatto irruzione in una delle vie del quartiere sparando con un fucile automatico e inseguendo i passanti fino a che non è stato ucciso dalle forze di sicurezza. Il bilancio è stato di cinque morti, tra cui due ebrei ucraini, e diversi feriti.
Gli attacchi di questa settimana stanno facendo emergere una situazione potenzialmente esplosiva per Israele, concentrato in questi anni sulle sue divisioni politiche interne e sulle minacce esterne come l’Iran, e meno su quanto sta accadendo sia nella comunità palestinese che in quella arabo-israeliana e beduina. L’ultimo attentato è avvenuto alla vigilia del 46esimo anniversario del primo Land Day, celebrato dai palestinesi e dagli arabo-israeliani dal 1976 per ricordare gli espropri subìti da parte del governo israeliano. Si avvicina inoltre il primo anniversario delle grandi rivolte del 2021 durante il mese del Ramadan, esplose a causa dei tentativi di espulsione delle famiglie palestinesi dal quartiere occupato di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est e poi cavalcate da Hamas, i cui attacchi missilistici portarono le forze di sicurezza israeliane a lanciare una nuova operazione militare su larga nella Striscia di Gaza.
L’estremizzazione della società israeliana
Come sottolineato da diversi analisti, l’origine degli attentatori deve far riflettere sul fatto che ormai la questione palestinese è divenuta un problema interno allo Stato ebraico, che ha visto la componente arabo-isrealiana, tendenzialmente moderata, estremizzarsi, al pari di quanto sta accadendo con i palestinesi della Cisgiordania. Ma anche la società ebraica appare sempre più polarizzata. Poco dopo l’attacco di Bnei Brak, decine di israeliani si sono radunati sulla scena dove hanno scandito slogan antipalestinesi tra cui «morte agli arabi», con molti che avrebbero invocato le dimissioni del premier Bennett.
A pesare sulla situazione di violenza è anche la sfiducia della popolazione della Cisgiordania nei confronti dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) e del suo leader Mahmoud Abbas, che da 15 anni non consente di fatto vere elezioni e che non starebbe sfruttando le potenziali opportunità, anche economiche, derivanti dagli Accordi di Abramo, con il risultato che molti moderati guardano ormai alla dottrina della lotta armata di Hamas e della Jihad islamica.
Tensioni anche nell’Anp
Un campanello di allarme che conferma come anche la società palestinese si stia sempre di più estremizzando, e non per colpe israeliane, è dato dalle recenti elezioni locali organizzate lo scorso 26 marzo che però non hanno interessato la Striscia di Gaza, dove dal 2006 governa stabilmente il movimento estremista Hamas. I candidati indipendenti, in gran parte vicini ad Hamas, hanno dominato il voto, conquistando il 64 per cento dei seggi, rispetto al solo 37 per cento di cinque anni fa, demolendo letteralmente il partito Al Fatah, per decenni spina dorsale dell’Anp.
Il voto si è tenuto dopo che il presidente palestinese Mahmud Abbas ha annullato le elezioni presidenziali e legislative previste lo scorso anno. A causa di quel rinvio, Hamas, che governa la Striscia di Gaza, ha ufficialmente boicottato le elezioni municipali, ma ha comunque schierato gli indipendenti. Al Fatah ha fatto ricorso alla stessa tattica, ma in realtà per limitare i danni. Domenica Abbas ha comunque rivendicato la vittoria, dicendo che i risultati hanno dimostrato «una rinnovata fiducia» in Al Fatah, nonostante l’evidenza dei fatti.
Emblematico il caso della città di Gerico, tradizionale roccaforte di Al Fatah, dove tutte e cinque le liste in competizione erano formate da indipendenti. La Commissione elettorale centrale ha certificato un’affluenza finale del 53,7 per cento, con il voto che si è svolto in 50 tra villaggi e città, in quella che è stata la seconda fase delle elezioni municipali dopo un primo turno di votazioni a dicembre in 154 villaggi della Cisgiordania.
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