Talebani, crisi, terremoto. In Afghanistan è piena emergenza

Di Agnese Costa
26 Giugno 2022
Almeno 1.500 persone sono morte nel violento sisma che ha colpito il paese. Ma è solo l'ultima delle tante calamità che hanno funestato la popolazione dal ritorno al potere dei terroristi islamici dieci mesi fa
Le conseguenze del terremoto in Afghanistan

Le conseguenze del terremoto in Afghanistan

Scavano da ore, febbrilmente. Non ci sono vigili del fuoco, funi, mezzi d’ultima generazione. Nell’Afghanistan di oggi – dopo l’addio delle forze internazionali («di occupazione» direbbero i talebani) – per cercare i sopravvissuti al devastante terremoto che ha colpito il paese si scava a mani nude o con qualche mezzo di fortuna. Millecinquecento le vittime accertate finora, e chissà quante altre che non avranno nome né un posto nei registri dei deceduti. Del resto in quell’area – poco distante dal confine pakistano – anagrafe e uffici pubblici sono un miraggio, qualcosa che resta relegato ai fortunati che abitano nelle grandi città: Kabul, Kandahar, Herat, Jalalabad.

Nel remoto distretto di Galayan, il più colpito, il 70 per cento delle abitazioni è stato distrutto; centinaia di corpi sono stati sepolti in fosse comuni mentre la popolazione si arrangia con barelle improvvisate per trasportare i feriti.

A complicare tutto ci si è messa la pioggia, mentre le telecomunicazioni sono praticamente impossibili perché il sisma ha devastato ogni cosa. Case, pali elettrici, strade. Le poche agenzie internazionali ancora presenti su suolo afghano, come quelle legate all’Onu, si sono subito prodigate per portare aiuto e partecipare nelle ricerche ma tutto è rallentato e reso difficile dalla geografia del luogo (zone montagnose difficilmente raggiungibili già in condizioni normali) e dalla scarsità di infrastrutture agibili.

La terra trema, in Afghanistan. Si piangono i morti (tantissimi i bambini), si cercano i corpi vivi o meno che siano, ma in questo angolo di mondo la gente ha smesso di sperare da ben prima del terremoto.

Nelle ultime ore il nuovo regime talebano ha lanciato un appello al mondo perché «il nostro governo purtroppo è colpito da sanzioni internazionali e non è finanziariamente in grado di assistere la popolazione come sarebbe necessario», come ha dichiarato Abdul Qahar Balkhi, uno dei più alti funzionari dell’esecutivo islamico. Dall’agosto scorso, infatti, il flusso di valuta estera che finiva nelle casse dello Stato afghano si è arrestato: gli aiuti internazionali rappresentavano quasi l’80% del budget nazionale e la loro sospensione è legata al mancato rispetto dei diritti umani e ad alcune importanti riforme di cui non si vede nemmeno l’ombra.

Con le casse dello Stato vuote e l’entrata in vigore di regole sempre più dure e stringenti, gli ultimi dieci mesi sono stati un vero inferno per i civili. Il disastroso ritiro della missione internazionale a trazione americana nell’agosto scorso ha lasciato un vuoto incolmabile. Il regime talebano non è riuscito a governare il paese come credeva ed è tornato a imporre la legge islamica con brutalità: le donne non possono più lavorare negli uffici pubblici o uscire di casa se non accompagnate. Ascoltare la radio e la musica? Vietato. Leggere libri non conformi ai “nuovi” diktat religiosi? Follia, si rischia il carcere se non peggio. A tutto questo si deve aggiungere la mancanza di cibo, la siccità, la contaminazione della rete idrica e il divieto per le bambine e adolescenti di andare a scuola (ve ne avevamo parlato qui e qui).

I numeri ci aiutano a inquadrare la situazione: quattro milioni di minori afghani hanno smesso di studiare, e mentre le femmine si ritrovano sempre più spesso soggette a matrimoni forzati, i maschi sono obbligati a lavorare nei campi o a seguire il bestiame. Moltissimi tra loro sono impiegati non solo nella raccolta del grano, ma anche in quella del papavero da oppio (l’Afghanistan rimane il più grosso esportatore al mondo). Due mesi fa i talebani hanno annunciato una legge che ne vieta la coltivazione (la norma ricalca una decisione che presero anche negli anni Novanta, ma che non venne di fatto mai rispettata) anche se difficilmente troverà applicazione. Per moltissimi ragazzi e per le loro famiglie questo impiego rappresenta l’unica possibilità di sopravvivere.

I dati forniti dalle Nazioni Unite e dalle ong internazionali sono impressionanti: 20 milioni di afghani oggi vivono al di sotto della soglia di povertà, sono 900 mila gli sfollati interni e quasi 5 milioni coloro che hanno abbandonato il paese in questi mesi per non dover vivere sotto il regime. E tra questi ultimi, migliaia sono ancora in viaggio, a piedi, per cercare di raggiungere un domani l’Europa.

Non tutti arriveranno, perché la strada è irta di pericoli: trafficanti di esseri umani, briganti, milizie armate, fondamentalisti, polizia iraniana e turca, le incognite delle traversate in mare aperto. Ma è sempre meglio, dicono, che rimanere e crepare di fame. Sempre meglio che morire sepolti sotto le macerie di uno Stato neanche lontanamente in grado di prendersi cura della sua gente.

Foto Ansa

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