Il Portogallo falciato dal Covid approva l’eutanasia
Confini chiusi, lockdown esteso fino al 14 febbraio, record giornalieri di morti e contagi, terapie intensive al collasso: venerdì pomeriggio, mentre a Lisbona decine e decine di ambulanze si accalcano davanti all’ospedale Santa Maria (i sanitari parlano di situazione fuori controllo e 60 pazienti in attesa di ricovero), il parlamento portoghese approva un disegno di legge per depenalizzare l’eutanasia. Il testo – che riunisce in un unico provvedimento cinque diversi disegni di legge approvati lo scorso febbraio – era in discussione da circa un anno all’Assemblea della Repubblica e nemmeno la richiesta della Chiesa di indire un referendum era riuscita a bloccarne l’iter: nonostante la “Federazione per la vita” avesse raccolto oltre 95 mila firme per portare i cittadini a rispondere al quesito «siete d’accordo che uccidere un’altra persona su vostra richiesta o aiutarla a suicidarsi dovrebbe continuare ad essere punibile penalmente in qualsiasi circostanza?», il 23 ottobre il parlamento aveva respinto l’opzione referendaria proseguendo verso il voto in aula. Sul disegno di legge, approvato con 136 voti a favore, 78 contrari e 4 astenuti, si attende ora la decisione di Marcelo Rebelo de Sousa: rieletto una settimana fa, il presidente della Repubblica (cattolico, che tuttavia sul tema si è espresso solo per affermare che avrebbe rispettato la decisione del parlamento) ha venti giorni per decidere se emanarlo, porvi il veto o deferirlo alla Corte Costituzionale.
L’IRA DEI VESCOVI
Proprio alla Corte Costituzionale i vescovi invitano De Sousa ad appellarsi: «Sottolineiamo che la legge approvata può ancora essere soggetta a controllo di costituzionalità, in quanto offende il principio di inviolabilità della vita», diritto umano «sancito dalla Legge fondamentale (Articolo 24. 1), che afferma: “La vita umana è inviolabile”». La conferenza episcopale portoghese ha diffuso un durissimo comunicato spiegando che «tristezza e indignazione» sono aggravate dal fatto che la morte assistita viene legalizzata durante una tremenda crisi sanitaria, «nel corso della quale tutti noi stiamo cercando di salvare il maggior numero di vite, accettando restrizioni alla libertà e sacrifici economici senza pari. È assurdo legalizzare la morte assistita in questo contesto, rifiutando gli insegnamenti che questa pandemia ci ha dato sul prezioso valore della vita umana, che la comunità in generale e gli operatori sanitari in particolare si battono per salvare compiendo sforzi sovrumani».
LA TRAPPOLA DELLA SOFFERENZA SOGGETTIVA
Come nota l’Institut Européen de Bioéthique, il termine eutanasia non è esplicitamente menzionato nel titolo della legge (anche se compare nell’articolo 1): a sottolineare l’atto di causare intenzionalmente la morte di una persona su richiesta il testo parla di «anticipazione medicalmente assistita della morte», depenalizzata in caso risponda alla richiesta di una persona maggiorenne, portoghese o residente in Portogallo, «la cui volontà è attuale e ribadita, seria, libera e illuminata». Questa persona deve trovarsi in «una situazione di intollerabile sofferenza con lesioni definitive di estrema gravità o di malattia incurabile e mortale» e la richiesta di eutanasia deve essere presentata per iscritto.
Va notato, scrive l’Ieb, che in nessuna parte la legge specifica che la sofferenza “intollerabile” del paziente debba derivare da tali lesioni o malattie (sofferenza che in questo caso potrebbe quindi essere alleviata), basta che siano concomitanti, «percepiamo qui la soggettività inerente a tali condizioni mediche di sofferenza, la cui valutazione spetta essenzialmente e in ultima analisi al paziente. Va notato, inoltre, che tra le sofferenze citate compare anche quella psichica».
NESSUNA CONDIZIONE DI FINE VITA
La richiesta di eutanasia, inoltre, non è vincolata alla prossimità o meno della morte del paziente: la circostanza della malattia terminale infatti non è una “conditio sine qua non” della legge, che appunto consente l’eutanasia anche per le persone con «lesioni permanenti di gravità estrema», ovvero le persone gravemente disabili. Ci sono altri passaggi significativi: la legge tutela la richiesta di accesso del malato alle cure palliative ma il 70 per cento dei pazienti che potrebbero beneficiarne non può a causa della mancanza di professionisti del settore. Accanto al parere del medico curante è previsto il consenso di un secondo specialista e, a differenza della normativa prevista nei Paesi Bassi, una Commissione di verifica e valutazione istituita per legge verificherà il rispetto dei requisiti legali nei cinque giorni successivi il parere dei medici (nessun controllo a posteriori): in caso fossero negativi il paziente potrà rivolgersi ad altri professionisti. È prevista inoltre, quando non praticata o agevolata da operatori sanitari, l’autosomministrazione del farmaco letale: il paziente stesso potrà darsi l’eutanasia.
LE NAZIONI UNITE: «NESSUNA LEGGE UCCIDA DISABILI E ANZIANI»
L’eutanasia potrà essere dispensata in strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale o private. Se da un lato è riconosciuta l’obiezione di coscienza a medici e operatori sanitari, non c’è alcuna disposizione «che prevede la possibilità per un istituto di cura di escludere la pratica dell’eutanasia: la legge, viceversa, prevede eventuali sanzioni per gli istituti che non applicano le disposizioni (art. 22) – nota ancora l’Ieb -. L’applicazione di tale disposizione pregiudicherebbe in questo caso la libertà di associazione delle istituzioni interessate, nonché, per estensione, la libertà di coscienza dei loro membri».
Con un voto in aula e in spregio al referendum invocato a più riprese dalla Chiesa in un paese a maggioranza cattolica, si parla già sui giornali del Portogallo come del quarto paese in Europa a legalizzare l’eutanasia per i più fragili, anziani più esposti a malattie incurabili e disabili. E questo nella stessa settimana in cui le Nazioni Unite hanno diffuso una nota durissima per condannare «la crescente tendenza a emanare leggi che consentano l’accesso alla morte assistita basate in gran parte sulla disabilità o condizioni invalidanti, inclusa la vecchiaia».
LA MORTE PROCURATA IN PIENA PANDEMIA
«La disabilità non dovrebbe mai essere un motivo o una giustificazione per porre fine alla vita di qualcuno direttamente o indirettamente»: non lo scrive un vescovo ma il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, il relatore speciale sulla povertà estrema e i diritti umani, nonché l’esperto indipendente sui diritti delle persone anziane. Secondo la dichiarazione congiunta dei tre esperti nessuna legge può giustificare la richiesta di una persona malata o in condizioni invalidanti, ma che non sta morendo, specie se in condizioni di estrema povertà a ricevere l’eutanasia dallo Stato. E anche quando è ammessa in fin di vita, anziani e disabili si sentiranno sotto pressione per porre fine prematuramente alla propria, come se vecchiaia e disabilità fossero un peso e non «un aspetto universale della condizione umana». «Non possiamo accettare che la morte procurata sia una risposta alla malattia e alla sofferenza», hanno ribadito i vescovi portoghesi a poche ore dal voto in aula, denunciando una «battuta d’arresto culturale senza precedenti caratterizzata dall’assolutizzazione dell’autonomia e dell’autodeterminazione della persona». L’eutanasia altro non è che «rinunciare a combattere e ad alleviare la sofferenza. E trasmette l’idea sbagliata che la vita segnata dalla malattia e dalla sofferenza cessa di meritare protezione e diventa un peso per la persona, per chi la circonda, per i servizi sanitari e per la società nel suo insieme». Questo mentre dozzine e dozzine di ambulanze assediano gli ospedali del paese e i malati pregano per un ricovero.
Foto Ansa
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