Il populismo grillino è in un vicolo cieco
«I 5 stelle si sono trovati di fronte alla parabola comune a tutti i movimenti anti sistema: terminata la forza propulsiva originaria, o si esauriscono o si trasformano». Damiano Palano è professore ordinario di Filosofia politica e direttore del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e ai cosiddetti “populismi” ha dedicato i suoi studi (da venerdì è in libreria con il suo ultimo saggio, Le forme della realtà. Una mappa dei realismi politici). Accetta di parlare con Tempi del “caso M5s”, il partito fondato da Beppe Grillo che oggi è nelle mani dell’avvocato Giuseppe Conte. La vicenda tra ex leader e leader non è ancora terminata e, dopo il voto all’Assemblea costituente con cui l’ex presidente del Consiglio ha messo ai margini il comico, altri voti sono in calendario dal 5 all’8 dicembre.
Al di là di cosa accadrà, «il M5s di oggi è molto diverso da quello delle origini, che intercettò il desiderio, misto alla recriminazione, di una fetta della popolazione di poter controllare in modo più diretto il ceto politico, senza alcuna intermediazione. Ma si tratta di una scommessa che è doppiamente fallita. Sia perché il movimento stesso si è trasformato in partito sia perché, di fatto, si è rinunciato a dare spazio alla base degli elettori/partecipanti. La cosiddetta “democrazia diretta” si è rivelata una “democrazia plebiscitaria”.
Del M5s delle origini c’è ben poco
Grillo apparve sulla scena politica come un tornado. Piazze piene, parole d’ordine mai udite, linguaggio aggressivo con promesse mirabolanti tipo «aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno». A ripensarci oggi, che fine hanno fatto lo streaming, i meet-up, le restituzioni, parole d’ordine come “uno vale uno”? «Quel movimento radicale – risponde Palano – oggi non esiste più. Ha decisamente cambiato pelle dopo i due governi Conte. È diventato “istituzionale” o sarebbe meglio dire che ha “ambizioni istituzionali”, visto come si comporta in taluni casi. Ad ogni modo, una volta andati al governo i grillini hanno dovuto abbandonare i loro principi fondativi. L’idea originaria della partecipazione dal basso è stata velocemente abbandonata. Non c’è stato alcun radicamento territoriale e tutto si è risolto in un partito fortemente incentrato sulla politica romana e parlamentare».
Sono diventati il contrario di quel che Grillo aveva promesso. «Non so se parlerei di “tradimento”, che è una categoria che applicata alla politica ha poco senso, ma di certo possiamo dire che del movimento delle origini è rimasto ben poco».
Una nuova identità
Oggi Conte dice che i 5 stelle sono «progressisti». Che significa? «È una parola passepartout – risponde Palano -, che richiama l’idea di una forza di sinistra non schiacciata sulle posizioni della sinistra classica. Fu usata anche nel 1994 quando ci si confrontò alle urne con il neonato centrodestra a guida berlusconiana e si sa come andò. Non è un’etichetta fortunata, ma che consente di essere sufficientemente generici per collocarsi in un certo campo senza dettagliare troppo le proprie intenzioni. Ma, anche in questo caso, siamo di fronte a una trasformazione rispetto alle origini perché il M5s nacque contrapponendosi sia alla destra sia alla sinistra, ammiccando tutt’al più a certi movimenti anti-industriali (pensiamo solo alla retorica della decrescita felice o all’opposizione al Tav e alle grandi opere)».
Che spazi di manovra e di consenso può avere un M5s a guida Conte privo di Grillo? «Difficile rispondere – ammette Palano – perché bisogna vedere come finirà lo scontro e se il partito cambierà nome. Ci sono molte incognite. Quel che possiamo osservare è che, nella ricerca di una nuova identità e collocazione, il bagaglio identitario delle origini servirà a poco. Come dicevamo, la fortuna del M5s è stata quella di porsi come alternativa alla destra e alla sinistra, ma oggi tutto questo è venuto meno. Conte è stato abile, alle ultime elezioni politiche, a giocare l'”arma” del reddito di cittadinanza, ma anche questa, oggi, non è più spendibile». E dunque? «E dunque ha un bel problema. Deve costruire un progetto che stia nel campo del centrosinistra, ma distinguersi da Pd e Avs non è semplice. Gli spazi di manovra sono stretti ed è difficile inventare delle identità politiche ex novo».
Populismo camaleonte
Alcuni osservatori hanno voluto vedere nella parabola dei 5 stelle la parabola stessa del populismo. «”Populismo” è una parola che ha molteplici significati – nota il professore -. Non è un’ideologia, ma una strategia di mobilitazione, uno stile che si fonda sull’idea che, siccome al popolo è stato sottratto il potere di decidere, occorre mobilitarsi per riconsegnarglielo. In epoca recente, in Italia, abbiamo vissuto due diverse stagioni populiste. La prima tra gli anni Ottanta e Novanta con una forte connotazione anti statalista e anti burocratica, incarnata soprattutto dalla Lega, ma anche dalla prima Forza Italia. La seconda stagione è esplosa dopo la crisi economica del 2011-2012 che ha portato nel paese una forte sfiducia nei confronti della classe politica, non a caso identificata come una “casta”. È su questa sfiducia che è esploso il successo dei 5 stelle, mentre destra e sinistra venivano abbandonate da 10 milioni di elettori».
Tuttavia, oggi, spiega Palano, la situazione è molto diversa. «Il tripolarismo è tramontato e abbiamo un bipolarismo asimmetrico. Gli elettori hanno abbandonato il criterio della contrapposizione élite/popolo e sono ritornati a dividersi tra destra/sinistra. Ciò non significa che il populismo è scomparso perché il populismo è camaleonte e si adatta a ideologie e famiglie politiche diverse».
Corpi intermedi e solitudine politica
Se il populismo oggi si ripresenta sotto altre forme è anche perché, come dice Palano, viviamo in un momento di profonda sfiducia nei confronti della politica, testimoniato anche dalle crescenti percentuali di astensionismo al momento del voto. Perché? Forse perché sono venuti meno quei corpi intermedi, quelle comunità che, fino a poco tempo fa, aiutavano il comune cittadino a far sentire le proprie istanze e a tramutare le proprie esigenze in domande alla politica?
«Penso – risponde Palano – che questa non sia una questione che riguarda solo la politica, che è in crisi dopo la scomparsa dei partiti cosiddetti di massa e il loro radicamento territoriale. Esistono diversi studi che documentano come, soprattutto negli ultimi quattro decenni, le persone facciano meno attività civiche all’interno di strutture associative e questo, certamente, indebolisce un loro coinvolgimento e impegno nell’ambito politico. Da questo punto di vista, oggi l’individuo è sempre più “solo” e privo di quei legami che orientavano e stabilizzavano il suo giudizio. C’è anche l’altra faccia della medaglia, ovviamente: non sempre questo, in passato, aveva effetti positivi, perché poteva portare a posizioni ideologiche e indiscutibili. Sta di fatto che oggi la società è cambiata e il cittadino vive in una condizione di “solitudine politica”».
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