
Il perimetro del centrodestra, il pasticcio del centrosinistra e le “genialate” di Renzi

Ho letto le vostre ultime considerazioni sulle elezioni politiche del 25 settembre. In particolare condivido la necessità di votare la coalizione di centrodestra che è l’unica che ha una visione antropologica quantomeno compatibile con la dottrina sociale della Chiesa. Detto ciò, voglio condividere con voi un’ulteriore considerazioni sul quadro geopolitico: con la guerra in Ucraina l’Occidente è di nuovo contrapposto alla Russia che ha trovato nella Cina un valido alleato. In questo contesto non sono ammesse ambiguità sull’atlantismo e sull’europeismo. Ambiguità a cui Salvini e Meloni ci hanno abituato: Salvini con i suoi pericolosi rapporti con la Russia e la Meloni con i suoi amici sovranisti sparsi per l’Europa tra cui Vox. Abbiamo bisogno più che mai di un Occidente forte per fronteggiare le due enormi minacce che sono la Russia e la Cina. Per questo penso che a queste elezioni sia più importante che mai votare quella componente moderata del centrodestra che da sempre è atlantista ed europeista. Per intenderci tutte quelle forze che si riconoscono nel Partito popolare europeo: Forza Italia, Udc, Noi con l’Italia.
Vi chiedo se anche voi condividete questa considerazione sul quadro internazionale.
Un caro saluto,
Tommaso Ridolfi
Lei dice quel che scrive anche il professore Giovanni Orsina: il centrodestra se vuole essere credibile deve rientrare in quel «perimetro della serietà» delimitato da tre condizioni: atlantismo, europeismo e «determinazione a non destabilizzare l’euro». Condivido tutto, ovviamente, e faccio solo qualche chiosa a margine.
La prima è sulla Meloni che mi pare da tempo aver iniziato un percorso serio di ricollocazione del suo partito. Non lo dico tanto per le dichiarazioni dell’altro giorno sul fascismo, quanto per la sottolineatura sulla tenuta dei conti pubblici (no promesse roboanti in campagna elettorale), le alleanze in Europa coi conservatori (quello che sta coi sovranisti è Salvini), lo schieramento senza tentennamenti con gli Usa sul conflitto in Ucraina (una lezione al Pd, che sta con gli Stati Uniti solo se sono a presidenza democratica). Anche Salvini, con qualche importante titubanza in più, qualche passettino per rientrare in questo perimetro l’ha fatto. Fi, Udc, Nci – si sa – sono da sempre nel Ppe, filoatlantici ed europeisti senza paraocchi. Le posizioni politiche di Tempi, come è noto, hanno sempre coinciso con quest’area di voto. Anche stavolta? Dipenderà, come abbiamo già scritto, se le persone candidate da ciascun partito incarneranno quelle istanze che abbiamo identificato come nostre stelle polari.
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Ma non eravate voi quelli che dicevano che l’unità in politica è un valore e che dunque occorre privilegiare questo aspetto rispetto all’affidabilità dei singoli candidati?
Marcello Ersetti
Sì, eravamo noi, e lo siamo ancora. Nel senso che abbiamo sempre sostenuto che è un bene che tutti coloro che la pensano allo stesso modo – diciamolo meglio: tutti coloro che hanno gli stessi ideali – è meglio che militino nello stesso partito. In primo luogo perché anche l’unità fra loro è un segno che è più importante ciò che “portano” come esperienza in politica piuttosto che le loro singole carriere. In secondo luogo perché, se vuoi incidere nella vita pubblica, hai più possibilità di farlo all’interno di un gruppo in un grande partito che non da solo o con un piccolo partito personale.
Purtroppo (il “purtroppo” è importante) questa volta ci si deve arrendere a una situazione che questo non lo permette (a meno di voler disperdere il voto, ma non è il nostro caso). Questa volta si deciderà in base alle persone, alla loro storia, alla agibilità di manovra che hanno all’interno di ogni partito – voglio dire: se il mio miglior amico si candida nei 5 stelle, io non lo voto.
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Caro direttore, che cosa possiamo aspettarci da una accozzaglia di sigle che caratterizza la “banda larga” propiziata da Letta? La grande ammucchiata sembra essere un’insalata senza condimento. Lo slogan che le unisce è “battere la destra”, ma il regista Letta non sa che la destra la si può battere solo se si hanno idee chiare e condivise circa programmi e obiettivi per il futuro. Ma tutto ciò sembra essere in alto mare: con un’ammucchiata eterogenea sorgono soltanto diatribe, personalismi e, da parte di ciascun gruppo, autonomia di giudizio, non concordia e amalgama. A meno che per battere la destra non si abbia altra soluzione plausibile.
Giancarlo Tettamanti
Il centrodestra non mi pare meno litigioso del centrosinistra, però è vero che Enrico Letta in vista del 25 settembre ha usato molto più il cacciavite dell’anima, avvitando insieme ciò che insieme non può stare. Ieri sul Corriere della Sera il professore Ernesto Galli della Loggia l’ha detta giusta: il Pd è il partito dell’establishment che vive una subalternità psicologica verso l’estrema sinistra con la quale finisce con l’allearsi ad ogni tornata elettorale. Il risultato come dice il politologo è «un pasticcio».
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Ho letto la vostra intervista a Guzzetta, ritengo che non aver sostenuto il referendum di Renzi sia stato una semplice idiozia. Ritengo altresì che vada sostenuto l’unico che con coraggio e determinazione ha interrotto l’era dei cialtroni al governo (perfino a capi-governo). E penso che non sarebbe male porsi anche questo punto.
A. Amadori
Guardi, chieda a Renzi se è ancora convinto che aver tramutato un referendum così importante in un plebiscito sul suo nome sia stata una genialata. Quella volta il reginetto degli scacchi si fece scacco da solo.
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Che dite del neonato terzo polo di Calenda, lo votereste?
Amedeo Pascucci
Troppo libertario per i nostri gusti.
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