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Il passato ha un sapore, Severgnini no

Lodare la Cina del futuro per dimenticare cosa ha fatto nel passato. Contante, Tienanmen e gli odori

Rodolfo Casadei
30/10/2019 - 12:43
Società
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severgnini

«È cosa vana distogliersi dal passato per pensare soltanto all’avvenire. È un’illusione pericolosa persino credere che sia possibile. L’opposizione fra passato e avvenire è assurda. Il futuro non ci porta nulla, non ci dà nulla; siamo noi che, per costruirlo, dobbiamo dargli tutto, dargli persino la nostra vita. Ma per dare, bisogna possedere, e noi non possediamo altra vita, altra linfa che i tesori ereditati dal passato e digeriti, assimilati, ricreati da noi. Fra tutte le esigenze dell’anima umana nessuna è più vitale di quella del passato». Così scriveva Simone Weil nel 1943, in polemica coi totalitarismi che pretendevano il sacrificio delle generazioni presenti per l’edificazione dei regni perfetti di domani e condannavano il passato alla “damnatio memoriae” in quanto casa di un’umanità ancora primitiva e inconsapevole del suo destino a venire. Ma il suo monito resta attualissimo, in un’epoca come quella di oggi ripiegata sul culto del presente e del futuro, che ha già dimenticato Simone Weil come aveva dimenticato quel che sul tempo aveva scritto Agostino.

Via il denaro, nel nome del futuro

Il “futurismo” oggi tocca vette insuperabili, che non si ricordavano dai giorni gloriosi delle grandi ideologie del Novecento. Non ha incontrato praticamente nessuna reazione di incredulità o di scandalo il recente intervento di Beppe Severgnini sul Corriere della Sera nel quale il noto giornalista invitava gli italiani ad accettare la progressiva scomparsa del denaro contante in nome del “futuro”, che nel frattempo ha già preso residenza in Cina, dove anche i mendicanti (così sostiene l’autore di Italians – Il giro del mondo in 80 pizze) chiedono l’elemosina avvicinandosi allo smartphone dei potenziali benefattori tenendo in mano un codice QR.

I progressi cinesi

Nessuna moneta, nessun biglietto passa dalle mani del ricco a quelle del povero: solo un lieve ronzio che da qualche parte si tradurrà in cifra su di un conto. Il progresso tecnologico la fa da padrone. «Un democratico europeo non può approvare i metodi autoritari», mette avanti le mani Severgnini, «ma tra la dirigenza politica di Pechino e quella di Washington, oggi, s’è scavato un abisso di competenza». Ancora più severo e senza scampo il giudizio sull’Italia alla luce dei progressi cinesi: «Banconote e monete sono prodotti del millennio che si è chiuso: goffi, sottraibili, deperibili. L’infuocata discussione nazionale sull’uso del contante è antropologicamente interessante, ma praticamente ridicola. Il futuro non si ferma. In Cina sono antichi, e lo sanno».

Le colpe del passato

Un democratico europeo dissente dalle pratiche autoritarie, ma si inchina davanti alla Cina perché essa cavalca il futuro: il democratico europeo si inchina davanti al futuro. Il futuro redime la Cina, che sintetizza in sé il peggio del comunismo e del capitalismo, da tutti i suoi peccati: pena di morte per molti reati, sistema a partito unico, detenzione per delitti d’opinione, repressione della libertà religiosa, demolizioni di chiese, sacerdoti e vescovi arrestati, divieto di ingresso in chiesa ai minorenni, deportazioni di minoranze etniche, ecc. E naturalmente il futuro cancella le colpe del passato: le decine di milioni di morti del Grande Balzo in avanti e della Rivoluzione culturale, i 10 mila uccisi di piazza Tienanmen 30 anni fa.

I giovani di Hong Kong

Severgnini racconta che l’unica volta in cui ha dovuto usare denaro contante è quando ha attraversato il confine fra la Cina tanto irregimentata quanto proiettata nel futuro degli scambi immateriali e la rivoltosa Hong Kong, che in nome della libertà politica da mesi sfida l’autoritarismo del gigante di Pechino nel mentre che protesta contro il governo locale. Ma il giornalista che in passato non ha mancato di dare parole alla sua commozione per la morte di Steve Jobs o per quella di Sergio Marchionne, di fronte ai sacrifici dei giovani di Hong Kong che rischiano di rimanere schiacciati sotto il tallone comunista cinese resta completamente insensibile: fra l’amore per la libertà circonfuso di sgualcite banconote e la stabilità dell’autoritarismo intriso di pagamenti virtuali e contactless, sceglie il secondo per poter scegliere il futuro.

Marxisti e severgniniani

Severgnini e quelli che vedono le cose come lui assomigliano ai teorici e ai politici marxisti del Novecento: entrambi credono nell’ineluttabilità e nell’inevitabilità di cose che accadranno nel futuro. Per i secondi erano ineluttabili la dittatura del proletariato e poi la società socialista senza classi, per i primi è inevitabile il mondo degli scambi virtualizzati. La sostanziale differenza fra i severgniniani e i marxisti sta nell’assiologia del futuro: per i marxisti il futuro portava con sé una pienezza di valore, la realizzazione del senso della storia, per i servergniniani non è necessariamente così; forse il futuro è un po’ squallido, anonimo e autoritario, ma non ha senso tirarsi indietro, perché è l’unico futuro possibile.

Il futuro è segnato

Cos’è che alimenta questa convinzione, trapassata dal XX al XXI secolo, che il nostro futuro è segnato, che non ha senso opporsi al corso della storia? Non sono più le avanguardie politiche o filosofiche marxiste, con la specialissima eccezione della Cina, a condurre la guerra contro il passato e il “passatismo” in nome del futuro ineluttabile: il sogno comunista è morto nel 1989. Certo, il numero di intellettuali e leader veri o presunti di ogni tendenza politica e religiosa che demonizzano il passato ma soprattutto il riferirsi al passato da parte delle persone è in costante aumento, ma non è questo genere di attacco diretto e frontale che compromette la memoria: le fa male, ma non la indebolisce mortalmente.

Il mondo divenuto favola

Oggi in prima linea nella guerra contro il passato e la memoria ci sono le tecnologie informatiche digitali della comunicazione, e il loro attacco, assolutamente indiretto, è più efficace di quelli diretti. S’è realizzata la profezia del “mondo divenuto favola” di Nietzsche: fotografia e cinema, radio, televisione, reti informatiche e Pc, tecnologie della realtà virtuale e della realtà aumentata hanno potentemente operato in direzione della derealizzazione della realtà, ridotta a immagine, segno, suono. Nel solo 2017 abbiamo generato tanti dati quanti ne erano stati prodotti nell’intera storia dell’umanità fino all’anno precedente. E tra 10 anni la quantità totale dei dati diffusi raddoppierà ogni 12 ore. Che conseguenze ha questo sul nostro modo di pensare, di vivere, di avere coscienza di noi stessi?

Il senso dell’odorato

Le tecnologie visuali, digitali e virtuali esaltano al massimo i due sensi della vista e dell’udito; hanno impoverito al massimo quello del tatto, ridotto alla pressione di una o due dita su di una superficie liscia; hanno annientato completamente i sensi del gusto e dell’odorato, che sono quelli più legati alla memoria soggettiva e all’evocazione del passato. Non c’è bisogno di aver letto Proust o Baudelaire per sapere che sapori e odori ci permettono di riandare al nostro passato e, se il loro impatto su di noi è abbastanza intenso, di ricostruirlo dettagliatamente e di apprezzarlo: è una cosa che fa parte delle nostre esperienze di vita e che ognuno si ricorda bene. E tuttavia vale la pena ricordare che Marcel Proust scrive le 3.724 pagine del suo Alla ricerca del tempo perduto a partire dal sapore delle madeleine imbevute nel tè che risvegliano in lui i ricordi e rendono il passato di nuovo presente. E che le sinestesie di Baudelaire non sono semplicemente accostamenti fra parole appartenenti a sfere sensoriali diverse, come invece ci hanno insegnato a scuola. Andate a rileggervi la famosa poesia “Corrispondenze”, e vedrete che un senso domina sugli altri e li unifica: quello dell’odorato.

Il senso unificante

Infatti troviamo: «Esistono profumi freschi come carni di bimbo,/ Dolci come gli oboi e verdi come praterie;/ E degli altri corrotti, ricchi, trionfanti,/ Che hanno l’espansione propria alle infinite cose,/ (…) E cantano dei sensi e dell’anima i lunghi rapimenti». Come scrive Olivier Rey, «L’odorato è, alleato al gusto, il senso unificante, e un mondo che lo marginalizza o lo ripudia è un mondo disarticolato». Purtroppo oggi gusto e odorato sono marginalizzati perché le loro informazioni, diversamente da quelle contenute nella luce e nel suono, non possono essere matematizzate. Così il passato è fottuto e noi con lui, perché il soggetto che siamo, schiacciato e appiattito dai miliardi di miliardi di dati digitalizzati che ci piovono sulla testa, resta disarticolato. E si mette a ragionare come Severgnini.

Foto Ansa

Tags: beppe severgniniCinacontantedenaro
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