La preghiera del mattino (2011-2017)
«Il martirio è il carisma della Chiesa irachena. La fede è il nostro Dna»
Riportiamo una parte della lettera pastorale che Mar Louis Raphael I Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei e presidente della Conferenza episcopale irakena, ha inviato alla Chiesa caldea in occasione del Giubileo della Misericordia, che inizierà l’8 dicembre. Domenica, papa Francesco ha aperto la Porta santa a Bangui, in Centrafrica.
Per noi cristiani dell’Iraq il martirio è il carisma della nostra Chiesa. In quanto minoranza, siamo di fronte a difficoltà e sacrifici, ma siamo coscienti di essere testimoni di Cristo e ciò può significare anche arrivare al martirio” come hanno agito i nostri martiri lungo la storia, ma anche oggi: l’arcivescovo di Mosul Paolo Faraj Rahho, i padri Raghid Ganni, Wassim e Thair, e tanti fedeli. La fede e il martirio nella lingua araba hanno la stessa radice: “Shahid wa shahad”.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Per noi la fede non è questione ideologica, o speculazione teologica, ma una realtà mistica di amore, è il Dna della nostra esistenza. La fede è un incontro personale con Cristo che ci conosce, ci ama e a cui ci doniamo totalmente. Per lui bisogna andare sempre oltre, fino al sacrificio come hanno fatto i cristiani di Mosul e dei villaggi della piana di Ninive un anno fa, nell’estate 2014. Sono per noi un onore e un segno di generosità.
Non vogliamo abbandonare la nostra patria svuotandola della presenza cristiana. L’Iraq è la nostra identità. Abbiamo una vocazione, dobbiamo testimoniare la gioia del Vangelo. Come Abramo figlio di questa terra che sperò, contro ogni speranza. Abramo era per tutti e noi siamo per tutti. Come patriarca, vescovi e preti siamo per tutti, per servire cristiani e musulmani, anche questa è la nostra missione che è un impegno assoluto. Nelle circostanze in cui viviamo dobbiamo essere più attenti ai nostri fratelli e sorelle sofferenti, sfollati, emigrati, ai poveri, orfani e alle vedove, metterci accanto a loro, essere presenti e vicini e accompagnarli con tutto quello che abbiamo, come forza e denaro, e dare loro segni di speranza.
Che bello condividere ciò che abbiamo con gli altri, con gioia, come testimoni della nostra fede in Gesù Cristo. Quanto è bello mostrare amicizia, solidarietà e sostegno ai nostri fratelli musulmani. Dobbiamo collaborare con loro per una vita comune, in pace e in armonia. La nostra sofferenza comune diventa allora una forza, affinché passi la tempesta! La misericordia deve essere per noi la maniera di testimoniare la presenza di Dio e di Gesù nel nostro mondo. La porta della misericordia deve essere sempre aperta: “Beati i misericordiosi, perché essi vedranno Dio” (Mat. 5-7). Ecco il nostro vangelo!
Foto Ansa
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3 commenti
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se fossi un parente delle vittime preferirei un nipote, un cugino o un fratello musulmano ma VIVO.
il senso primo della vita è che va difesa. in giappone tre secoli fa per poter vivere i cristiani hanno vissuto in clandestinità la loro fede. clandestini ma VIVI.
Ma che senso hanno tutti questi martiri?!
Non potevano abiurare e far tutti un passo indietro per il quieto vivere……………….?!!!!
certo il patriarca spiega il senso delle sofferenze ai suoi confratelli. ma sembra proprio una resa alla morte. una volta che la tempesta isis sarà passata non resterà più nessun cristiano. Sako ha più volte chiesto aiuto, anche con l’intervento armato. i nostri capi politici e religiosi si affrettano a dire no alla guerra a chi massacra i civili, sia cristiani che musulmani. mah…ce l’avranno questi poveretti il diritto a difendere la propria vita?