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Il «grido disperato» per Aleppo: «Dobbiamo salvare anche i siriani»

L'imprenditore musulmano Radwan Khawatmi, parmigiano d'adozione, consigliere della fondazione Aga Khan, parla a Tempi: «Abbiamo gli aiuti pronti, ma per le sanzioni non possiamo inviarli. La politica deve fare un passo indietro»

Leone Grotti
11/02/2023 - 5:40
Esteri
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Le conseguenze del terremoto ad Aleppo, in Siria
Si scava tra le macerie ad Aleppo, in Siria (foto Ansa)

«Migliaia di persone si trovano ancora sotto le macerie in Siria, specialmente ad Aleppo, dove i soccorritori sono costretti a scavare a mani nude. Abbiamo gli aiuti pronti, ma non possiamo inviarli a causa delle sanzioni: come può la politica essere così cieca?». È un grido di dolore per il suo paese quello che rivolge a Tempi Radwan Khawatmi.

«Come possono Usa e Ue non togliere le sanzioni?»

L’imprenditore siriano, parmigiano d’adozione, è nato ad Aleppo nel 1952 ma dal 1970 risiede a Parma, dove si è laureato. Nel 1978 ha fondato a Milano la Hirux International, che produce e distribuisce nel Medio Oriente elettrodomestici, con un fatturato di oltre 60 milioni di euro all’anno. Nel 2009 è stato nominato da Confindustria imprenditore dell’anno.

Khawatmi è anche membro del Board of Directors della Fondazione Aga Khan, che l’anno scorso ha completato la ricostruzione del suk più grande del mondo, quello di Aleppo, che era stato distrutto durante la guerra. «Avendo usato materiali antisismici, ha subito pochi danni ma in città sono crollati almeno 76 edifici e quattro ospedali, per non parlare delle scuole. La situazione è drammatica, migliaia di persone si trovano ancora sotto le macerie ma la Siria non ha i mezzi per estrarle. Davanti a un dramma del genere, com’è possibile che Stati Uniti e Unione Europea non tolgano le sanzioni? Come possono i responsabili politici non sentire il grido della propria coscienza?».

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L'imprenditore siriano, parmigiano d'adozione, Radwan Khawatmi
Radwan Khawatmi

Una nave italiana a Latakia

L’imprenditore spiega a Tempi di aver parlato con diversi esponenti del governo italiano per sensibilizzarli di fronte a questa situazione. «Ho trovato persone disposte ad ascoltare ed empatiche, ma mi hanno spiegato che a causa delle sanzioni non possono fare niente».

In realtà qualcosa l’Italia farà. Sarebbe in partenza da Brindisi una nave carica di aiuti che dopo aver fatto tappa in Turchia dovrebbe attraccare anche nel porto siriano di Latakia. «Gli aiuti non possono essere consegnati al governo, ma ci sono la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa che sarebbero felici di distribuirli».

«Abbiamo gli aiuti, ma non possiamo inviarli»

Gli ostacoli però sono enormi, servono decine di autorizzazioni. «Sono stato contattato pochi giorni fa dalla Croce gialla, un’organizzazione cattolica», continua Khawatmi. «Hanno dieci ambulatori che si possono montare in 24 ore e che potrebbero arrivare in Siria immediatamente. Ma anche per noi della fondazione Aga Khan portarli in Siria è impossibile perché la Commissione europea blocca tutto».

La situazione della Siria è drammatica, soprattutto se si considera che in Turchia, a soli 80 km di distanza, stanno arrivando tonnellate di aiuti e squadre di soccorritori da tutto il mondo. In Siria invece non arriva nulla. «Io sono cittadino italiano», prosegue l’imprenditore musulmano, «e mi aspettavo di più dal mio paese di adozione. L’Italia sa bene cos’è il dramma di un terremoto, sa quanto è fondamentale intervenire immediatamente dopo le scosse per salvare vite e che gli aiuti devono arrivare repentinamente. Eppure è tutto fermo: è come se vedessimo un uomo che sta annegando e prima di salvarlo gli chiedessimo la carta di identità per capire da che parte politica sta. Le vittime sono vittime: la politica deve fare un passo indietro».

«Il mio è un grido disperato per Aleppo»

Khawatmi sta ricevendo dalla sua Aleppo richieste di aiuti di ogni tipo. Manca tutto: acqua, cibo, coperte. Non ci sono macchinari e ruspe per estrarre le persone dalle macerie. «Come si possono fare morire bambini e anziani solo per punire il presidente Bashar al Assad? Perché la Commissione europea non dice niente? Non ha speso neanche poche parole di condoglianze».

«È un grido di disperazione il mio e so già che cadrà nel vuoto, ma bisognare tentare ogni strada. Bisogna salvare Aleppo, bisogna salvare la Siria. Noi della fondazione Aga Khan faremo di tutto, se la politica non ce lo impedirà».

@LeoneGrotti

Tags: aleppofondazione aga khanRadwan KhawatmisanzioniSiriaterremoto
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