
Il giudice Trifuoggi va in pensione (senza la «valanga di prove schiaccianti» contro Del Turco)
Bisogna stare attenti agli scherzi del destino. A volte sembra di essere vincitori agli occhi di tutti, poi il tempo passa, la fortuna gira e si capovolge come un boomerang. In questa metà di luglio 2012, a Pescara, Francesco De Siervo è stato nominato procuratore capo, prendendo il posto di Nicola Trifuoggi, che va in pensione. Curiosità del destino, esattamente quattro anni fa (era il 15 luglio 2008) la carriera di Nicola Trifuoggi toccò il suo vertice. Fu il giorno in cui il procuratore capo abruzzese apparve in una affollatissima conferenza stampa, dopo l’arresto dell’ex governatore d’Abruzzo Ottaviano Del Turco. Quel 15 luglio, Trifuoggi con grande sicurezza certificò l’indagine che conduceva: aveva trovato «una valanga di prove schiaccianti» per accusare Del Turco di essersi intascato circa 6 milioni di euro in tangenti dall’imprenditore della sanità privata Vincenzo Angelini, il grande accusatore dell’inchiesta. Fu talmente fermo e deciso, Trifuoggi, che gli credettero tutti. L’inchiesta azzoppò il centrosinistra, Del Turco rimase in carcerazione preventiva per 28 giorni, poi fece ancora tre mesi ai domiciliari, alle successive elezioni stravinse il centrodestra, eppure del processo non se ne è mai fatto niente. E la «valanga di prove schiaccianti»?
Trifuoggi dovette chiedere ben due proroghe, prima di giungere al rinvio a giudizio. Tuttavia, dopo un anno e mezzo di indagini e centinaia di rogatorie internazionali, dopo tre anni di processo e una caccia accurata a conti off-shore e cassette all’estero, e dopo che la vita di Del Turco è stata passata ai raggi x, della «valanga di prove schiaccianti» non risultava quella più importante. Una traccia, seppur minima, delle mazzette che Del Turco avrebbe intascato secondo la procura guidata da Trifuoggi. Niente di niente, non si è trovato nemmeno un cent: così dopo oltre 50 udienze, il processo arranca tra un rinvio e l’altro. In compenso, però, sono emerse ben altre prove. Nel 2010 si è appreso di un rapporto dei Carabinieri del Nas, che fin dal 16 giugno 2008 (un mese prima dell’arresto di Del Turco) denunciava una serie di truffe ai danni della Regione Abruzzo messe in atto da Angelini. I carabinieri segnalavano anche che la giunta guidata da Del Turco aveva chiuso i rubinetti ad Angelini, tagliando 43 milioni di euro di fondi. Sono emersi anche due rapporti della Banca d’Italia nel 2008 e uno della Finanza che parlavano di movimenti sospetti di denaro di Angelini e nello specifico di un movimento da 3 milioni di euro. Ciliegina sulla torta: nel 2010 è stata resa pubblica una relazione tecnica firmata dall’Agenzia sanitaria della Regione, che segnalava il contenimento delle spese sanitarie sotto l’amministrazione Del Turco. E non è finita qui.
Nel dicembre 2011– dopo mesi in cui non versava più stipendi e contributi ai dipendenti – è stato rinviato a giudizio a Chieti per bancarotta fraudolenta il superteste di Sanitopoli, Vincenzo Angelini: accusato di un crac del valore di 220 milioni di euro. Angelini continua a dire che la colpa è di Del Turco ma gli investigatori di Chieti non gli credeono. Non solo perché fino al 2009 le cliniche ricevevano comunque i rimborsi della Regione, ma perché secondo la procura di Chieti l’imprenditore avrebbe prelevato dai conti correnti della società Villa Pini (la sua mega-clininica privata) almeno 63 milioni di euro, falsificato la contabilità, ingannato le banche. Per dire: tra le undici parti offese riconosciute dai pm, al processo iniziato a marzo 2012 (e finora sempre rinviato), si è costituita parte civile Unicredit Roma. Durante le indagini, nel marzo 2010, la procura ha anzi dovuto chiedere gli arresti domiciliari di Angelini per evitare l’inquinamento di prove, dato che la Guardia di Finanza aveva bloccato alcuni camion che trasferivano opere d’arte di valore da Chieti a Roma: la collezione del re delle cliniche private, che comprendeva quadri di Guttuso, De Chirico, Tiziano. Una parola certa su queste vicende la si attende dai processi in corso. Ma è indubbio che la catena dei fatti ha appesantito l’immagine del sicuro procuratore Nicola Trifuoggi, così nitida solo quattro anni fa.
La carriera di Trifuoggi non è decollata. Nell’autunno 2009 è stato in pole position per la nomina a presidente della Corte d’appello di Roma, uno degli incarichi più prestigiosi: il Csm lo ha bocciato, preferendogli Luigi Ciampoli. Nel 2010 Trifuoggi ha vinto però il ricorso al Tar, che ha annullato la nomina di Ciampoli. Il ping pong per la poltrona di Roma è proseguito sino al luglio 2011, quando il Consiglio di Stato ha definitivamente dato ragione a Ciampoli, annullando la decisione del Tar. Trifuoggi è rimasto in carica sino a fine mandato a Pescara (3 novembre 2011). Poi, non si sa bene perché, non è andato via per altri otto mesi: il Csm ha deliberato il nome del suo successore solo adesso. Trifuoggi ha annunciato che se ne andrà in pensione. Intanto si cerca ancora «la valanga di prove schiaccianti».
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la valanga di prove schiaccianti è dalla 6 potenza mondiale alla 56 esima ti basta
la sanità abruzzese e uguale al Burundi,
se poi non hai occhi ne orecchie allora si
del turco è un signore trifuoggi un delinquente, e la gente gira armata e si fa giustizia da se