Ddl Zan, Ius soli e dote ai diciottenni, il segretario del Pd non ne ha azzeccata una. Unica costante: l'attacco a testa bassa a Salvini, che però non ha pagato in termini di consensi
Anima e cacciavite. Era questo il binomio con cui Enrico Letta avrebbe dovuto rilanciare il Partito democratico. Dopo quattro mesi e mezzo dalla sua elezione a segretario dei dem, si può dire che la sua missione sta fallendo. Il Pd non ha guadagnato centralità nello scacchiere politico, non è riuscito a imporre la propria linea ed è rimasto ostaggio dell’antisalvinismo.
La strategia di posizionamento scelta dall’ex premier non ha pagato. I temi identitari su cui ha insistito non si sono trasformati in provvedimenti ma, al contrario, hanno polarizzato il dibattito senza recare vantaggi sostanziali. Tanto che i sondaggi non hanno registrato miglioramenti rispetto alla segreteria Zingaretti.
Il ddl Zan cruciale
La vicenda del ddl Zan è emblematica. Il disegno di legge, ritenuto cruciale nella narrazione democrat, è rimasto incagliato nei veti di Lega e Italia Viva e molto probabilmente slitterà a settembre. Peraltro non è da escludere che possa essere affossato dai franchi tiratori. La scelta di non aprire agli emendamenti e il massimalismo di Letta sui diritti potrebbero quindi far saltare uno dei provvedimenti più sbandierati dal Pd. Un danno reputazionale notevole che metterebbe in luce l’inconcludenza del neo segretario.
La dote ai 18enni
Un discorso simile vale anche per la dote ai diciottenni che per qualche settimana ha occupato il dibattito pubblico per poi sparire. Con questa proposta Letta aveva cercato di avvicinare il Pd ai giovani. Tuttavia, a causa delle modalità di comunicazione utilizzate, l’attenzione si è spostata sull’aumento della tassa di successione e non sui giovani. Memorabile la grafica pubblicata sui social di Brando Benifei – Capodelegazione Pd al Parlamento Europeo – che recitava: l’1% più ricco restituisca al 99% dei giovani.
Uno slogan fallimentare che ha inverato il tradizionale frame berlusconiano che considerava la sinistra come lo schieramento delle tasse. Un errore clamoroso che, non a caso, ha portato all’abbandono della dote ai diciottenni.
Stesse percentuali di Zingaretti
L’ultimo tema identitario, quello dello Ius soli, introdotto durante i primi giorni della segreteria Letta, è uscito rapidamente dal dibattito, probabilmente per la feroce opposizione di Salvini e per una certa pavidità. L’unico impegno che è stato sviluppato coerentemente dall’ex premier è quello dell’opposizione alle destre e, in particolare, al leader leghista. In questo ambito Letta ha dato il meglio di sé, individuando fin da subito la Lega come il principale avversario e ha fatto di tutto per segmentare il campo identificando così nemici e amici.
Il risultato non è stato un granché. Se è vero che la Lega sta vivendo una fase di difficoltà (i consensi sono scesi sotto il 22%) è pur vero che il Partito democratico è rimasto tra il 19/20%. Le stesse percentuali del Pd di Zingaretti. Peraltro, molti dei voti persi da Salvini sono finiti a Giorgia Meloni, restando all’interno della coalizione avversaria.
Senza anima e cacciavite
La cura Letta, insomma, non ha inciso. Guardando anche alle alleanze, il centrodestra rimane largamente avanti e il fronte largo proposto dal leader dem è staccato di parecchi punti percentuali. Secondo l’ultima rilevazione di Ipsos il centrodestra sarebbe al 47,1% e il centrosinistra al 31,8%. Cifre che dimostrano che il campo largo ipotizzato da Letta è tutto da costruire. Ma senza anima e con un cacciavite che non avvita, la missione è al limite dell’impossibile.
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