Il diritto alla libertà religiosa vale per tutti? Lo strabismo dei giudici di Bruxelles

Di Leone Grotti
19 Dicembre 2018
Nel 2018 la Corte europea dei diritti umani ha condannato un professore in Austria per avere criticato l'islam e assolto gli attivisti e i pubblicitari che in Russia e Lituania hanno insultato il cristianesimo
epa05709374 (FILE) - The assembly hall in the European Court of Human Rights in Strasbourg, France, 28 January 2016 (reissued 10 January 2017). The European Court of Human Rights (ECHR) in Strasbourg, France on 10 January 2017 ruled that parents of a Muslim girl living in Switzerland are obliged to send her to mixed swimming lessons, according to reports. EPA/PATRICK SEEGER

Quando si tratta di trovare il giusto mezzo tra la difesa del diritto alla libertà di espressione e di quello alla libertà religiosa, la Corte europea dei diritti umani (Cedu) pecca spesso di incoerenza. Non è una novità. Il problema però è che i giudici di Strasburgo hanno una particolare tendenza a proteggere l’islam e a lasciare invece il cristianesimo in balia delle peggiori blasfemie. È la conclusione di un seminario organizzato il 13 dicembre presso il Consiglio d’Europa dal Centro europeo per la legge e la giustizia (Ecjl). I partecipanti al convegno hanno analizzato dapprima tre casi concreti del 2018, evidenziando lo strabismo della Cedu, per poi concentrarsi su un ultimo che deve ancora essere giudicato.

VIETATO CRITICARE MAOMETTO

Il primo caso riguarda la condanna di un conferenziere austriaco, E.S., per avere pubblicamente «denigrato una persona oggetto di venerazione», e cioè Maometto, il profeta dell’islam. Durante un convegno intitolato “Conoscenze base sull’islam”. E.S. affermò che Maometto, avendo sposato una bambina di sei anni, Aisha, e avendo consumato il matrimonio quando lei aveva nove anni, era affetto da tendenze pedofile. Il conferenziere ha aggiunto che questo atteggiamento costituisce un problema dal momento che «il più alto comandamento per un musulmano è imitare Maometto», aggiungendo di conseguenza che c’è un conflitto tra l’islam e i «valori democratici».

E.S. è stato perseguito dalla procura di Vienna e condannato in base all’articolo 188 del codice penale poiché c’è differenza tra sposare una bambina e la pedofilia. La sentenza aveva come obiettivo quello di proteggere la sensibilità religiosa dei musulmani e mantenere «la pace religiosa in Austria». La Corte di Appello e la Corte Suprema hanno confermato la condanna nel 2011, accusando E.S. di volere soltanto «diffamare l’islam». Il conferenziere è stato pertanto condannato a pagare 480 euro di multa e la Cedu il 25 ottobre 2018 ha confermato la condanna nel nome della protezione dei sentimenti religiosi della popolazione musulmana e dell’oggetto del loro credo. Questo, nota il Centro europeo per la legge e la giustizia, nonostante «i commenti in questione fossero basati sui fatti storici».

CONDANNATA LA LITUANIA

Diversamente, la Corte Europea dei diritti umani ha condannato il 30 gennaio 2018 la Lituania per avere sanzionato «ingiustamente» l’agenzia pubblicitaria “Sekmadienis Ltd”. L’agenzia aveva utilizzato per pubblicizzare i vestiti della collezione del designer Kalinkinas le figure di Gesù (a petto nudo) e Maria, con gli slogan: “Gesù che pantaloni”, “Madre di dio, che vestito” e “Gesù Maria, che stile”. Per questo, nel 2012, il Tribunale amministrativo supremo lituano aveva condannato l’agenzia a pagare 579 euro di multa affermando che i simboli religiosi sono stati usati in modo improprio e che la pubblicità non era conforme alla morale e violava il rispetto della fede cristiana.

Secondo la Corte di Strasburgo, in questo caso si tratta invece di violazione della libertà di espressione dell’agenzia, dal momento che «non è chiaro» perché ciò che offende i sentimenti di una persona cristiano-cattolica dovrebbe essere in automatico considerato contrario alla morale pubblica. In Lituania il 77 per cento della popolazione si dice cattolica. Non è stato neanche chiarito, hanno aggiunto i giudici, che cosa ci fosse di così offensivo nella pubblicità.

LA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE DELLE PUSSY RIOT

In un terzo caso, la Cedu ha condannato il 17 luglio 2018 la Russia a risarcire tre attiviste del collettivo Pussy Riot, che erano state condannate a due anni di carcere per «teppismo aggravato dall’odio religioso» in seguito alla manifestazione all’interno della chiesa del Cristo Salvatore a Mosca del febbraio 2012. Le tre attiviste sono salite sull’altare, mimando canti e balli, e pregando: «Madonna, liberaci da Vladimir Putin». Tutti i giornali hanno sottolineato come la punizione sia stata eccessiva e la Corte ha condannato la Russia per violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per quanto riguarda il divieto della tortura e il diritto alla libertà e alla sicurezza della persona. Il convegno ha sottolineato, però, come la Corte abbia ravvisato anche una violazione della libertà di espressione delle attiviste. Per questo Mosca è stata condannata a risarcirle rispettivamente con 16 mila, 5 mila e 11.700 euro.

«SACRILEGIO BLASFEMO» IN SPAGNA

Ora il Centro europeo per la legge e la giustizia si è concentrato sul caso “Associazione spagnola degli avvocati cristiani v. Spagna” (n° 22604/18), introdotto davanti alla Corte il 26 aprile 2018. Il caso riguarda la performance dell’artista Abel Azcona, che nel 2015 ha rubato 242 ostie consacrate da diverse chiese cattoliche, fingendosi un fedele, e le ha utilizzate per scrivere la parola “pederastia”, sedendosi poi nudo tra le ostie. L’esibizione è avvenuta in una sala comunale di Pamplona, che l’ha concessa all’artista nonostante fosse a conoscenza del contenuto dell’esposizione.

L’Associazione spagnola degli avvocati cristiani ha chiesto al Comune di bloccare la mostra per «dissacrazione esplicita» e per «attacco contro i sentimenti religiosi» dei cristiani, crimine che in Spagna comporta una pena da 12 a 18 mesi di carcere. L’arcivescovo di Pamplona, monsignor Francisco Perez, ha definito la mostra «un sacrilegio blasfemo». Nel 2016 la Corte di Pamplona ha rigettato la causa intentata dagli avvocati cristiani perché, secondo i giudici, l’ostia consacrata «è solo un piccolo oggetto bianco rotondo» che l’artista ha «trattato in modo rispettoso senza che ci fosse niente di irrispettoso od offensivo». L’appello è stato invece rigettato il 7 novembre 2017 perché la protezione dei sentimenti religiosi dei cristiani «non può giustificare» la restrizione della libertà di espressione. La “creazione” dell’artista è stata poi venduta per 300 mila euro.

La Cedu dovrà esprimersi su quest’ultimo caso ma, fa notare Ecjl, i precedenti del 2018 non fanno presagire niente di buono, dal momento che la discrepanza di giudizio quando la religione insultata è il cristianesimo, rispetto all’islam, è abbastanza evidente. Se Strasburgo non ribalterà il giudizio dell’autorità giudiziaria spagnola, è la conclusione, sempre più governi potrebbero sentirsi liberi di «autorizzare» nuove forme di odio e intolleranza verso i cristiani, sempre meno protetti in Europa.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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