«Il cristianesimo non è un’opera di persuasione, ma di grandezza»

Di Peppino Zola
30 Novembre 2021
Una frase del grande vescovo e martire Sant’Ignazio di Antiochia ci ricorda l'essenza e la missione del cristianesimo

Caro direttore, in questi giorni, mi è capitato di reincontrare, dopo molti anni, un caro amico greco e convintamente ortodosso, che ora vive a Parigi. Fortunatamente, il tempo trascorso non ci ha impedito di tornare a discorrere delle cose essenziali. L’amico, con riferimento a quanto causato dal Covid, ha notato che in questo ultimo anno ha visto ritornare alla santa Messa persone che prima del Covid non si vedevano più ed ha aggiunto che ha visto rifiorire una domanda “religiosa” che prima si stava lentamente spegnendo. A questo punto, ci siamo detti che, allora, i cristiani hanno la grande responsabilità di annunciare e testimoniare la risposta a tale domanda, risposta che sta direttamente nella persona di Gesù Cristo. Tale dialogo fraterno mi ha chiarito alcune cose.

Le Chiese, in questo periodo, non sembrano avere la preoccupazione di cui sopra, occupate, come sono e quasi esclusivamente, a confermare la bontà e la necessità delle misure assunte dai vari governi in tema di pandemia. Ciò può anche andar bene, anche se il compito essenziale della Chiesa, in tutte le sue forme e dislocazioni, è quello di annunciare che nel mondo è arrivata carnalmente la risposta vera e definitiva alla domanda “religiosa” e che tale risposta ha un nome preciso ed un indirizzo preciso: Gesù, nato a Betlemme, vissuto a Nazaret, ucciso e risorto a Gerusalemme. Come fecero gli apostoli, compito dei singoli cristiani e delle Chiese a cui appartengono è proprio quello di annunciare, senza paura, che Cristo è risorto e che, quindi, la salvezza è sempre con noi.

Non so se mi sbaglio, ma mi sembra, invece, di vedere una certa “timidezza” dei cristiani nello svolgimento di questo compito. Il giorno dedicato a Cristo Re che, non ha caso, conclude l’anno liturgico, mi è capitato di leggere un brano del libro Lucerna pedibus meis dedicato al grande teologo morale Livio Melina, che per anni ha diretto il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II, su matrimonio e famiglia. In tale brano viene riportata una frase del grande vescovo e martire Sant’Ignazio di Antiochia, che mi ha molto colpito: «Il cristianesimo non è un’opera di persuasione, ma di grandezza». I curatori del libro (Perez-Soba e Kampowski) così commentano tali parole: «Questa frase contiene un principio essenziale per l’evangelizzazione cristiana. È utile per tutti i tempi, ma soprattutto per un mondo che si vanta di avere superato il cristianesimo. […] Per il santo vescovo di Antiochia, il riferimento alla grandezza ha a che fare con la ragione del vivere, che si riferisce sempre al dono di Dio per eccellenza, l’agape, e che è la causa del suo essere discepolo di Cristo, che lo porta sino al martirio, seguendo il Maestro. Si tratta di una grandezza di vita che si manifesta nell’azione cristiana come lo splendore di una luce. […] Questa grandezza è un principio dell’azione cristiana, ed è ciò che rende questa azione una fonte di luce».

Questo commento mi trova totalmente d’accordo. La “grandezza” del cristianesimo sta nel fatto che crediamo fermamente nella resurrezione di Cristo, cioè in un fatto di una grandezza senza pari nella storia umana. Nei momenti tragici e veramente seri della vita, possiamo già vedere questa grandezza, cioè la grandezza della Chiesa quando è grande. Personalmente, ho visto questa “grandezza” quando don Luigi Giussani ci parlava di Cristo e di ciò che deriva da Lui, l’ho vista al funerale dello stesso don Giussani quando un intero popolo ha manifestato la meraviglia silenziosa di una appartenenza a Cristo, l’avevo vista qualche anno prima al funerale di Enzo Piccinini quando il grande cardinale Giacomo Biffi affidava alla terra emiliana il corpo di un futuro “servo di Dio”. Come è grande il cristianesimo quando non lo imprigioniamo nelle nostra misure.

Ma allora mi chiedo. Perché tanti cristiani di oggi non vivono la loro avventura umana a partire dalla contemplazione di questa grandezza? Perché la Chiesa italiana non annuncia questa grandezza invece di soffermarsi solo su richiami che, se svincolati da tale grandezza, appaiono solo effimeri suggerimenti moralistici? Come si può dimenticare la “grandezza” della resurrezione di Cristo? Come può un cristiano vivere con il complesso di inferiorità rispetto al “mondo”? Un amico di tanti noi, una volta disse, a proposito di tanti cattolici, “sono come gli altri, ma un po’ meno”. Come è potuto succedere tutto questo? Come il “mondo” ha potuto convincere i cristiani che anche la loro esperienza di Cristo è “relativa”?

La circostanza che il Covid ha fatto rinascere una certa domanda di senso della vita e della morte dovrebbe spingere noi cristiani ad uscire da questo complesso di inferiorità e non perché noi saremmo più bravi degli altri, ma perché Cristo è più grande di tutto e di tutti. L’incontro con Cristo ci spinga a riprendere con vigore la presenza nei campi vasti della cultura, della carità e della missione. E che anche Sant’Ignazio di Antiochia ci aiuti, facendoci memoria della “grandezza” del cristianesimo.

Peppino Zola

Foto Ansa

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