In Inghilterra ora anche i bambini possono decidere di cambiare sesso grazie ad un intervento di manipolazione. L’Istituto Tavistock ha messo a punto da poco un esperimento a cui sono stati sottoposti trentadue bambini: gli è stato somministrato un farmaco che inibisce la pubertà, in modo che sia più facile intervenire con le terapie ormonali volte al mutamento dei caratteri di appartenenza. Dopodiché è stato domandato loro se volessero effettivamente passare “dall’altra parte”. Ovviamente i genitori devono essere d’accordo sulla svolta e – poiché il sabato normalmente un bambino chiede di essere portato a vedere Spiderman o Zoo-land e non una clinica psichiatrica – possiamo ipotizzare che i due siano i primi a incoraggiare il ribaltamento. Se è vero che non si può entrare nello specifico dei singoli casi, almeno qualche osservazione la si può fare.
Primo. L’idea che un genitore prenda in considerazione l’idea di cambiare sesso al figlio mi ha parecchio inquietato. E non solo perché il rampollo rischia di diventare la proiezione del genitore: tanto che se la vita è una fatica, l’adulto cerca di eliminare il disagio per tempo. Sarò all’antica, ma non mi par vero che a un certo punto si possa far installare un sesso diverso al figlio, un po’ come quando si fa montare l’impianto a metano sulla Golf di famiglia. Il compito di un genitore dovrebbe essere quello di garantire le migliori condizioni per la realizzazione del proprio figlio: che vuol dire amarlo durante tutta la crescita così com’è, perché lui un giorno possa amare chi è. Il fatto che in un certo momento il genitore neghi al giovane l’opportunità di approfondire la sua profonda identità di genere, non può che creare una confusione complessiva da cui uscire diventa drammatico per tutti.
Secondo. La decisione – ci mancherebbe – è anche in mano ai diretti interessati. Ragazzini di dieci anni. Ora: ignoro il grado di maturità dei children inglesi a quest’età; so solo che anche i miei (al momento di nove e undici anni) ogni tanto esprimono giudizi e prendono decisioni di cambiamento: si spostano da un canale Sky all’altro ogni otto minuti; transitano dalla bacchetta magica al revolver con la destrezza di giocolieri in un batter di ciglia; variano il gusto di gelato sedici secondi dopo l’ordinazione; tolgono e rimettono un altro paio di ballerine ogni volta che si esce (di solito, un doppio giro di dubbi fa ricadere la scelta sul primo paio); cambiano amichetto del cuore all’inizio di ogni campionato; e poi scalzano, rimpiazzano, rivalutano-effetto-vintage il cantante preferito ogni tre mesi, il piatto favorito ogni volta che faccio la spesa-maxi, e da un po’ di tempo – con l’adolescenza in agguato – anche il genitore prediletto. Insomma, almeno a casa nostra, quest’anno l’affidabilità decisionale non supererà l’esame di quinta elementare.
C’è da sperare che il sistema anglosassone sia più efficiente del nostro, nel tenere conto di quei “piccoli” margini di volubilità. Come può del resto un ragazzino farsi carico di una decisione così importante? Altro che zaini pesanti di libri. Il fatto che la scienza oggi fornisca all’umanità una siffatta opportunità non significa necessariamente che questo giovi al bene del singolo individuo.
Ultimo. La decisione di mutare il sesso di appartenenza viene chiesta di essere presa a pubertà non ancora iniziata. Prima insomma che l’esplosione di ormoni possa fare la sua parte nel fortificare in maniera strutturale l’appartenenza di genere. Il che pare una contraddizione in termini. A mio avviso, un vignaiolo che giudica la riuscita maturazione della propria uva a metà giugno è un visionario, più che un esperto viticoltore.
Adesso: io da madre di famiglia, alla vigilia degli impietosi “anta”, auspico una virata degli obiettivi. Chirurghi, psicologi e filosofi progressisti: se proprio volete interrompere il corso dell’inesorabile natura – piuttosto che inibire la pubertà – trovate il modo per fermare l’avanzare delle rughe, la crescita della peluria sopra le labbra, invertire l’ingrossamento delle occhiaie, la sopracciglia a diffusione libera… Questi sì che sarebbero interventi da promuovere, per di più a maturità comprovata!
Divagazioni a parte, c’è una chicca su di una torta già alquanto pasticciata: in Italia è il sistema sanitario nazionale a sovvenzionare gli interventi di cambio di sesso. Ventimila mila euro a carico dello Stato per ogni transessuale che desidera diventare donna (o uomo), in tutto e per tutto. In buona sostanza, si spendono fior di quattrini per ricostruire socialmente un’identità psicologica e fisiologica che in realtà ci viene già donata gratis dalla Natura. In tutto questo, migliaia di individui arrancano per tirare fine mese, la libertà di educazione resta per molti una chimera, e il bonus fiscale alle famiglie numerose (e “normali”) è saltato.
Se questo è progresso, c’è qualcosa che non mi quadra.