I figli del protocollo (basta una firmetta per diventare "mamma dalla nascita")

Di Caterina Giojelli
07 Luglio 2018
Non serve più fare figli per dirsi "madre". Basta aver «condiviso il progetto». Così il consenso è diventato il grimaldello per scardinare l'esperienza della maternità fin dal concepimento

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Per la prima volta un giudice a Pistoia, manipolando la legge 40/2004, ha ordinato la creazione di un atto di nascita con il riconoscimento di due madri: una è quella biologica, l’altra ha semplicemente “prestato il consenso” alla procreazione assistita eterologa fatta dalla compagna all’estero. Una sentenza gemella è stata depositata anche a Bologna.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”] LA NUOVA “MAMMA DALLA NASCITA”. Entrambi i verdetti seguono di poche ore un’altra sentenza, quella della Corte d’appello di Napoli, che ha accolto la richiesta di stepchild adoption avanzata da una “mamma non biologica” (come la definisce Repubblica) di un bimbo nato dalla compagna che si è sottoposta a procreazione medicalmente assistita. Ebbene questa “mamma non biologica” ha ottenuto lo status di “mamma dalla nascita” e non solo di madre adottiva, e perché? Perché «accettò e condivise il progetto».
E IL PADRE? Ora, potremmo ricordare che il piano è ancora una volta quello dell’eversione con mezzi legali, attraverso giusta sentenza, dalla realtà, che ancora una volta viene negata l’esistenza di un padre a due bambini per via giurisprudenziale, viene legittimato tutto quello che è tecnicamente possibile e desiderabile, e viene delegittimato il diniego dell’ufficiale civile chiamato per legge a tutelare l’interesse fondamentale del minore, ovvero la veridicità del rapporto di filiazione.
SCARDINARE LA LEGGE. Potremmo anche ribadire che la legge vieta in Italia l’accesso alla procreazione medicalmente assistita alle coppie omosessuali: non si può fare, tant’è che sempre in questi giorni il Tribunale di Pordenone ha accolto la richiesta di una coppia di donne omosessuali di sollevare la prima questione di legittimità costituzionale sul divieto di accesso a tali tecniche per le coppie dello stesso sesso previsto all’articolo 5 della legge 40 del 2004 (che ad oggi è stata riformata solo tramite l’intervento della Corte Costituzionale). Quindi la corte interpreta ciò che la legge vieta, e c’è da chiedersi dove stanno i politici deputati a dare indirizzo al legislatore.
COMMI E BIMBI IN CARNE ED OSSA. Potremmo, eppure oggi non serve avere una laurea in legge per soffermarci sulla parola “consenso”. Consenso a cosa? A un progetto. In questa nuova contea amministrata da burocrati delle approvazioni e popolata da adulti consapevoli (dove la possibilità dell’amore diventa comma e l’avvento di bimbi in carne e ossa un’operazione scientifica quando non il prodotto di un contratto tra parti) il consenso è diventato il grimaldello per scardinare l’esperienza nel punto in cui è più radicalmente, rigurgitante, evidente e forte: inizio vita, fine vita, procreazione, perfino affettività (a titolo esemplificativo ricordiamo che in Svezia è stata approvata una nuova legge che qualifica ogni rapporto sessuale senza consenso esplicito, fisico o a parole, come stupro). Tutto è ora finalmente protocollabile, ridotto a contenuto scientifico e a nuovo alfabeto, recisa l’origine ciò che conta è il diritto individuale di pianificare la propria meta personale e disbrigarla come una formalità: “mamma dalla nascita”, cioè colei che non diede alla luce ma approvò l’intera operazione.
Foto Shutterstock Gay Stepchild Adoption

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