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Evviva, ora Hollywood ci dà dentro con l’aborto. Ma non è abbastanza woke

Pro-choice in estasi, la tv non ha mai mostrato così tante interruzioni di gravidanza come dalla caduta della Roe v. Wade. Ma le protagoniste sono troppo bianche, ricche e cisgender. E spesso ne fanno un dramma

Caterina Giojelli
26/12/2022 - 5:56
Salute e bioetica
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La consegna della pillola per l'aborto in una puntata di Grey's Anatomy
La consegna della pillola per l’aborto in una puntata di Grey’s Anatomy

Vogliono vedere più aborto, più pillole per abortire, più minoranze che abortiscono e meno donne bianche, ricche e cisgender che lo fanno. Proprio così.

Se fino all’anno scorso a Hollywood e dintorni dovevi «essere pazzo per non avere in mente in primis tutte le vari questioni razziali, di genere e trans quando scrivi qualcosa», «cercando di rendere ogni film il più woke possibile, rendere ogni relazione un mix razziale, ogni personaggio sessualmente fluido», con l’avvicinarsi della sentenza della Corte Suprema sul caso Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization che avrebbe cancellato a giugno il diritto costituzionale all’aborto, showrunner, sceneggiatori, scrittori e produttori hanno dovuto aggiornare le priorità. Ingaggiare un responsabile del funzionamento degli impianti elettrici samoano o un capo attrezzista non binario dalla piattaforma Array Crew non sarebbe bastato a risvegliare gli americani, l’aborto doveva diventare il primo e il più difeso dei diritti nelle serie tv.

Pro-choice esultano: ora in tv c’è tanto aborto

E così l’anno 2022 verrà ricordato come quello dell’aborto più visto e infilato nelle produzioni e nei palinsesti, più di qualunque altro anno degli ultimi cinque anni. Su 52 diversi format televisivi, da gennaio a dicembre, si è parlato o inscenato un aborto 60 volte (il rapporto nel 2021 era di 42 a 47), un terzo delle quali per denunciare le difficoltà ad accedervi, la copertura più imponente registrata dal 2016, esulta “a denti stretti” l’organizzazione pro-aborto Advancing New Standards in Reproductive Salute.

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Sì perché se da un lato c’è da festeggiare l’attenzione dedicata all’aborto di Grey’s Anatomy della ABC, New Amsterdam della NBC, Law & Order della NBC, Teen Mom di MTV, The Hookup Plan di Netflix e P-Valley di Starz, dall’altro Hollywood fatica a liberarsi delle sue rappresentazioni: la maggior parte dei personaggi che abortisce in tv è infatti costituita da donne bianche, etero e benestanti, mentre la maggioranza delle donne che ricorre all’aborto negli Stati Uniti non lo è.

Psicodramma Roe: 10 mila aborti in meno

La discriminazione delle minoranze sotto rappresentate sullo schermo è palese secondo il rapporto Abortion Onscreen dell’organizzazione, tanto più se stiamo parlando dell’«anno più catastrofico» per l’aborto: a ottobre, lamentano numerose associazioni prochoice, si registravano già 10 mila aborti in meno. Una «crisi» che ha portato 66 cliniche a interromperli: nei sei mesi successivi all’annullamento di Roe v. Wade – denuncia il rapporto – c’è stata la corsa alla restrizione, al divieto e alla criminalizzazione delle interruzioni di gravidanza, «lasciando almeno 33 milioni di residenti negli Stati Uniti in età riproduttiva senza accesso alle cure (sic, ndr) per l’aborto», cosa che «avrà senza dubbio ripercussioni devastanti (sic, ndr) per i decenni a venire».

Eppure i colossi come Netflix, Disney e Warner Bros. Discovery si sono fatti in quattro per proclamare urbi et orbi che avrebbero pagato le spese di viaggio per permettere alle dipendenti che vivono in Stati dove l’aborto sarebbe stato fortemente ristretto di interrompere una gravidanza. E con loro Condé Nast, BuzzFeed, Vox Media, Goldman Sachs, Snap, Macy’s, Intuit e Dick’s Sporting Good. Misure annunciate ancor prima della sentenza da Starbucks, Amazon, Tesla, Yelp, Airbnb, Netflix, Patagonia, DoorDash, JPMorgan Chase, Levi Strauss & Co., PayPal, OKCupid, Citigroup, Kroger, Google, Microsoft, Paramount, Nike, Chobani, Lyft e Reddit. Dove non ha funzionato l’equazione aborto, ossia la soppressione di un bambino nel ventre di sua madre, uguale benefit aziendale?

Applausi per gli aborti a ostacoli

E al di là dei proclami che sempre portano fama e profitto, i creatori di contenuti per l’intrattenimento degli americani come si sono comportati? Il rapporto dell’Advancing New Standards in Reproductive Salute sottolinea che prima del 2022 le donne che abortivano sullo schermo non incappavano in particolari ostacoli legali, finanziari o logistici. Quest’anno invece, ben un terzo delle trame li metteva tutti in pista, enfatizzandone l’impatto negativo sulle donne costrette a lunghi viaggi per poter abortire (P-Valley, FBI: Most Wanted, Grey’s Anatomy, New Amsterdam, Law & Order, Life After Lockup) e aggirare le restrizioni sui limiti gestazionali (Pretty Little Liars, FBI: Most Wanted, Law & Order, Life After Lockup, Grey’s Anatomy) e la presenza di anomalie fetali (il reality Life after Lockup segue Amber nel suo viaggio dalla Georgia al North Carolina per liberarsi di un bambino malformato).

Il rapporto si compiace in particolare degli episodi che hanno saputo mixare il tutto, protagoniste donne in viaggio per oltrepassare i confini di uno stato repubblicano e al contempo trovare i soldi per abortire e gestire lavoro e famiglia a casa. O dei reality come Teen Mom, dove Leah parla alle figlie avute a 16 anni dell’importanza del diritto all’aborto e di come possono difendere se stesse in un mondo post Roe.

Troppe donne bianche, ricche e cisgender

Più problematici sono invece gli episodi di FBI: Most Wanted e Law & Order, nei quali le persone che cercano di abortire muoiono o uccidono altri cercando di farlo. «Che sia intenzionale o meno, ciò equipara l’aborto sia alla morte che al comportamento criminale». Non passa la selezione nemmeno Grey’s Anatomy che continua «a perpetuare i luoghi comuni sui medici come salvatori e a mostrare casi “eccezionali” in cui possono verificarsi aborti, come gravidanze ectopiche e anomalie fetali, invece di circostanze più tipiche dell’aborto».

Ma il punto dolente è un altro: «Dei personaggi che hanno ottenuto l’aborto, la maggioranza (58 per cento) erano donne bianche cisgender». Certo, il 10 per cento in meno del 2021, ma sempre troppe visto che nella realtà rappresentano solo poco più di un terzo di chi abortisce: un terzo bianco, un terzo nero e un terzo formato da latini, asiatici e biraziali. Ma «la cosa più deludente è che, nonostante l’aumento delle rappresentazioni degli ostacoli alla cura dell’aborto, queste sbaglino a identificare chi è maggiormente colpito dalle restrizioni. In televisione, la stragrande maggioranza (80 per cento) dei personaggi che hanno affrontato ostacoli alla cura dell’aborto erano bianchi e appartenenti alla classe media (45 per cento) o ricchi (35 per cento), un netto allontanamento dalla vita reale in cui la maggior parte dei pazienti che affrontano ostacoli sono persone di colore e vivono al di sotto della soglia federale di povertà». Non solo, «l’aborto farmacologico costituisce più della metà di tutti gli aborti negli Stati Uniti, ma solo 4 volte (6 per cento) si è visto specificamente un personaggio che abortisce con la pillola». Anche questa sottorappresentazione è per i pro-choice pericolosa: dare spazio a metodologie di interruzione di gravidanza più drammatiche (o inscenando circostanze drammatiche) contribuirebbe alla “disinformazione” sull’aborto su co giocano i conservatori.

Fate l’aborto ma non fatene un drama

Riassunto: vogliono vedere più aborti, più pillole per abortire, più minoranze e meno donne bianche, ricche e cisgender che lo fanno, e vogliono vederlo fare senza problemi o rischi per la salute, che al contrario deve essere messa a repentaglio da chi o cosa si mette in mezzo tra protagonista e aborto. Protagonista, non ruolo comprimario (altro tema dolente per l’organizzazione). Un film già visto, iniziato a Hollywood, non più la Hollywood dell’amoralità ma quella dell’impegno politico, dell’inclusion rider, delle regole dell’Academy e del terrore di scontrarsi con tutti i dogmi che ne derivano.

«Devi essere pazzo per non avere in mente in primis tutte queste questioni razziali, di genere e trans quando scrivi qualcosa. Devi preoccuparti dell’impatto che tutto ciò che fai avrà sulla tua carriera. E questo ha un evidente effetto agghiacciante sulla creatività», denunciavano showrunner e produttori costretti a limitare gli ingaggi a persone nere, native americane, donne o Lgbt e concentrare i loro lavori sulla difesa dei diritti, della rivoluzione green, della lotta al razzismo, della guerra al suprematismo bianco e alle discriminazioni di genere. Ora a introdurre restrizioni super woke sono i pretoriani dell’aborto libero. Per cui l’aborto deve essere sempre uno spettacolo vero, verissimo e guai a farne un drama.

 

Tags: AbortoRoe vs WadeStati Unitiwoke
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