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L’Oscar dell’inclusione è una cacchiata pazzesca

Dalla Notte del 2016 si apprende che i bianchi, gli eterosessuali e i ricchi sono tutti cattivi e inquinano. E che la statuetta dell'Oscar è la rappresentazione dell'uomo perfetto (con le mani a posto e senza pene)

Caterina Giojelli
06/03/2018 - 3:00
Spettacolo
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Ci aspettavamo gli immancabili pippotti dell’élite liberal che con l’Oscar in mano e i vestiti neri da 20 mila petroldollari avrebbe dato del branco di miserabili suini trumpisti, razzisti, maschilisti, omofobi e sessisti a tutto il genere maschile. Invece hanno vinto il sindacato e l’uomo nudo senza cacchio.
Assodata l’equazione “discorso più applaudito agli Oscar” uguale “manifestazione di coraggioso dissenso”, al Dolby Theatre di Hollywood una Frances McDormand salita sul palco per ritirare la statuetta come migliore attrice di Tre Manifesti a Ebbing, Missouri – dopo aver ringraziato il marito Joel Coen e il figlio adottivo Pedro seduti in platea, «due maschi cresciuti da veri femministi» – ha infatti esordito: «Posso avere l’onore di vedere tutte le donne che hanno ricevuto una nomination alzarsi insieme a me? Meryl (Streep, ndr), se lo fai tu lo faranno tutte. Guardatevi attorno tutti, guardatevi attorno signore e signori. Tutte abbiamo storie da raccontare e progetti da finanziare. Non parlateci di questa cosa alle feste di stasera. Invitateci nel vostro ufficio tra un paio di giorni o venite al nostro, come credete meglio, e vi diremo tutto. Ho solo due parole per voi stanotte, signore e signori: inclusion rider». I-n-c-l-u-s-i-o-n r-i-d-e-r: il riferimento è a una clausola nota agli addetti ai lavori del cinema che gli attori possono inserire nei loro contratti per garantire la presenza di donne, neri, Lgbt, disabili e tutte le categoria sottorappresentate tra gli attori e il personale che lavora a un film. Tre Manifesti a Ebbing, Missouri è un film eccezionale, cosa ci sia di eccezionale da meritare “ovazione”, “bridivi”, “applausi” dalla stampa è presto detto: nell’era del #metoo, di Time’s Up, del dopo Weinstein, per intenderci, l’uguaglianza è diventata un esercizio di serietà che abbisogna delle sue Camusso per evitare il rinculo.
Appurato dalla Notte del 2016 (ribattezzata “gli Oscar dell’impegno politico”) che i bianchi sono tutti cattivi («non protestavamo per i White People’s Choice Awards perché avevamo cose più importanti per cui protestare, eravamo troppo impegnati a essere stuprati e linciati per occuparci di chi vinceva per la miglior fotografia», Chris Rock), che gli eterosessuali sono tutti cattivi («Sto qui davanti a voi stanotte orgogliosamente da uomo gay e spero che potremo essere tutti uguali un giorno», Sam Smith), che i ricchi sono tutti cattivi («non votate per candidati che prendono soldi dalle grandi banche, dal petrolio o da strani miliardari», Adam McKay) e che i cattivi inquinano («non diamo il pianeta per scontato», Leonardo di Caprio), ora il terremoto molestie sembra celebrare ed esortare alla rappresentanza e all’inclusione. Sì, non c’era quel molestatore di Casey Affleck, sì ci sono state le accusatrici di Weinstein Ashley Judd, Salma Hayek e Annabella Sciorra insieme sul palco per il movimento Time’s Up, sì i giornali hanno titolato che Daniela Vega, prima trans a salire sul palco come presenter «ha fatto la storia degli Academy Awards», e sì, ci sono stati i cineasti definiti «spiriti inarrestabili che hanno preso a calci in culo e hanno rotto le percezioni distorte contro il loro genere, razza ed etnia, per raccontare le loro storie», ci sono state perfino le bag con gli eleganti spray al peperoncino antiaggressione. E c’è stato anche il manifesto, La forma dell’acqua, quattro riconoscimenti tra cui l’Oscar come miglior film con quella sua trama alla Bella e la Bestia, dove però la bella è muta, la bestia è una bestia, gli amici buoni della buona bella e buona bestia sono un omosessuale e una donna nera e obesa e i cattivi sono tutti bianchi e quindi ontologicamente cattivi perché non sia mai che la favola oggi resti un esercizio di frivolezza morale e non di serietà (vedi sopra).
Ma soprattutto c’è stato Jimmy Kimmel, conduttore della serata, che non solo nel suo discorso introduttivo ha avuto parole per il nostro italianissimo film di Luca Guadagnino Chiamami col tuo nome: «Non facciamo film come questo per i soldi, ma per indisporre Mike Pence», ma che avvicinandosi alla scultura a misura naturale della statuetta più agognata ha spiegato che «Oscar è l’uomo più amato e rispettato di Hollywood. E c’è una buona ragione. Guardatelo. Tiene le mani là dove si possono vedere. Non dice mai una parola rude. E, soprattutto, cosa molto importante: lui non ha un pene». Oscar non ha un pene! Per dirla alla Jodi Foster: «È un nuovo giorno a Hollywood».
Sarà anche un giorno nuovo a Hollywood ma permetteteci di dire che almeno quello su Oscar è un film che abbiamo già visto. Noi, donne pallose ma virtuose che nel 1999, quando cioè l’èlite liberal riservava i suoi “omg” a Weinstein stravincitore col suo romanticissimo Shakespeare in Love, già cantavamo grazie a quel profeta di speranza chiamato Elio e le storie tese:
«Venisse un uomo tutto nudo e senza cacchio
/ che si fermasse a casa mia tutta la vita,/ tutta la vita con lui nudo e senza cacchio/ senza l’assillo di un contatto che ti fa sudare.
/ Perché anche un uomo ricco, bello e intelligente
/ non ha bisogno a tutti costi del suo cacchio.
/ Non sarò campana per il suo batacchio,/ perché egli è nudo e senza cacchio». L’Oscar dell’inclusione è una cacchiata pazzesca.
Foto Ansa

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