Di fonte al potere “moralizzatore” delle multinazionali non c’è decisione democratica che tenga. Lunedì scorso, il governatore repubblicano della Georgia Nathan Deal, ha posto il veto su una norma approvata dal parlamento del suo Stato per proteggere almeno parzialmente la libertà religiosa delle istituzioni religiose e degli esercizi commerciali contrari alla celebrazione dei matrimoni fra persone dello stesso sesso. Prima di Deal, anche il suo omologo (democratico) del Minnesota Mark Dayton aveva preso la stessa decisione nell’ottobre scorso.
IL RICATTI. In entrambi i casi, la legge era passata attraverso l’approvazione del Congresso, e in entrambi i casi sono stati i colossi del business a “convincere” i capi dei governi locali a mettersi di traverso, minacciando il boicottaggio economico dello Stato. A spaventare Deal sono state le pressioni di 300 compagnie fra cui Apple, Coca-Cola e Nfl, ma soprattutto Disney, Marvel e Netflix, insieme a una lettera firmata da numerosi attori, registi e produttori di Hollywood. Se Deal non si fosse adoperato per fermare la norma, mezzo mondo del cinema lo avrebbe ripagato «spostando la nostra attività lavorativa altrove». «Chiediamo il veto alla “legge H.B. 757″», si legge nella lettera, «e che sia mandato un messaggio forte sul fatto che la Georgia non tollererà le discriminazioni».
IL RISCHIO MILIARDARIO. Perdere gli introiti garantiti da Hollywood non è un danno economico da poco per uno stato come la Georgia, il “Peach State” che ha fatto da sfondo a film come Via col vento, Forrest Gump e A spasso con Daisy. Il governatore Deal ha tremato di fronte alla possibilità di perdere i miliardi di dollari (1,7 nel 2015) incassati ogni anno grazie all’industria cinematografica. Così ha deciso di cestinare la legge (per altro considerata fin troppo “debole” da alcuni conservatori) che specificava soltanto che nessuno in Georgia sarebbe stato costretto a officiare matrimoni gay o a parteciparvi, a condizione che il rifiuto non configurasse una chiara discriminazione. In virtù della norma, per esempio, lo stato avrebbe garantito libertà ai pastori cristiani che si fossero rifiutati di sancire unioni same-sex in chiesa, le altre proprietà però sarebbero state escluse dalla protezione statale.
QUALE EQUILIBRIO? Stretto fra la pressione delle aziende militanti e quella dei suoi cittadini (rappresentati non solo dal Congresso della Georgia che aveva approvato la legge, ma anche da sondaggi che attestano la contrarietà degli americani, atei inclusi, alle restrizioni della libertà religiosa), il governatore ha deciso di ignorare la seconda. «Respingerò ogni misura che permette la discriminazione nel nostro Stato», ha dichiarato per rivendicare la sua scelta. Deal, che nel 1993 aveva combattuto da senatore per l’approvazione della legge federale Religious Freedom Restoration Act, durante la polemica che ha preceduto l’adozione della norma da parte del parlamento della Georgia aveva spiegato che era necessario equilibrare il diritto alla libertà religiosa e il principio dell’uguaglianza utilizzato dalla Corte suprema per introdurre le nozze omosessuali. Adesso un compromesso è ancora possibile?
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