La storia è fatta di corsi e ricorsi, alcuni particolarmente curiosi se, come sostiene l’economista Carmen Reinhart (Il Foglio, 27 giugno), la Grecia «è stata in situazione di default per oltre il 50 per cento del tempo passato dalla sua indipendenza nazionale nel 1830». Nulla di nuovo sotto al sole, verrebbe da dire.
Centoottantacinque anni dopo la Grecia è prossima ad una nuova stagione di difficoltà, alle prese con un braccio di ferro che vede contrapposti il primo ministro greco Alexis Tsipras e il suo appariscente ministro delle finanze Yanis Varoufakis alla troika composta da Fondo monetario, Banca Centrale Europea e Commissione europea. Tra casse vuote, spesa pubblica impazzita, proposte irricevibili e disoccupazione galoppante, per vederci più chiaro nell’affaire grexit ne abbiamo parlato con il giornalista ellenico Dimitri Deliolanes.
Deliolanes, domenica in Grecia si vota un referendum sugli accordi proposti dalla Troika. Come siamo arrivati a questo punto?
L’ipotesi di un referendum era tra le carte sul tavolo già all’inizio della trattativa ed è stata giocata da Tsipras quando ha ritenuto inaccettabile l’ultimatum della Troika: o fai quello che dico o te ne vai. Tsipras ha lasciato che a decidere sia il popolo greco.
Le malelingue dicono però che Tsipras sarebbe sceso a più miti consigli ma, all’ultimo momento, s’è reso conto di doversi scontrare con una fronda interna al suo movimento.
La minoranza interna è un’idiozia bella e buona inventata da chi fa l’analista da Berlino e Bruxelles ma che la Grecia non l’ha mai vista. Ci sono stati dei mal di pancia, ma non ci sono mai state autentiche divergenze all’interno del partito di maggioranza Syriza.
Syriza sarà anche una falange, ma per quattro mesi di trattativa non ha ottenuto altro che rinvii.
Le trattative sono andate avanti a zig zag, venivano fatte delle proposte che poi scomparivano e, dopo qualche tempo, venivano rimesse sul piatto. L’assurdità finale è stata la riproposizione integrale di misure già bocciate dal governo greco, che sono riemerse un paio di giorni prima della scadenza. Tsipras voleva un compromesso, ha cercato di prolungare il dialogo alla ricerca di una mediazione, ma la riproposizione di queste misure inaccettabili gliel’ha impedito.
E così ora andrete alle urne, ma per resistere fino a domenica avete bisogno di una mano dalla Troika attraverso una garanzia di liquidità. Non lo trova un po’ incongruente?
Chiedere una proroga di qualche giorno per celebrare un referendum sarebbe incongruente? Assolutamente no, il problema della liquidità non si risolve negando i referendum.
Però intanto le casse restano vuote.
Infatti il governo ha chiuso le banche per questa settimana. La Grecia ha un avanzo primario, vuol dire che entrano nelle casse più soldi di quanti ne escano, il problema della liquidità non si pone se il governo smette di pagare i debiti.
Il popolo greco si è fatto un’idea di come vivano questa crisi chi ha prestato loro il debito che ora non vogliono più pagare? Ogni italiano, dagli infanti ai moribondi, ha un credito verso la Grecia superiore ai 600 euro.
Questa dei 40 miliardi di euro di credito dell’Italia verso la Grecia è una cosa che ha tirato fuori il Corriere della Sera. L’Italia è un paese indebitato per quanti, 2000 miliardi di euro? Ha il secondo debito pubblico al mondo dopo il Giappone, quando parla del debito greco risulta poco credibile nelle vesti del creditore. Se la Grecia rinegoziasse il debito sarebbe l’economia europea più agevolata.
Quei soldi italiani nelle casse greche sono arrivati, tra garanzie e liquidità, non credo di capire come ci agevolerebbe il fatto di non vederli restituiti.
Tsipras sostiene, a ragione, che i paesi indebitati dovrebbero chiedere una revisione del loro debito. E se si parla di ridiscutere i prestiti nessuno più dell’Italia ne trarrebbe vantaggio.
L’Italia, ad oggi, risulta essere un paese solvibile, e non credo sia fattibile una simile revisione generale dei debiti pubblici.
Lo vedremo in Grecia se è fattibile.
Ma i greci che idea si sono fatti di questa situazione?
I greci ritengono d’essere vittime di un’ingiustizia da parte dell’Unione Europea che li ha vessati con una politica sbagliata, e vogliono che gli europei accettino una soluzione di compromesso che agevoli entrambi.
Non è che questo senso di ingiustizia funga anche da alibi per le colpe di un paese che viene accusato da più parti di non sapersi fare un esame di coscienza?
Votare un partito come Syriza che aveva il 4 per cento prima della crisi e che non ha mai governato la Grecia vuol dire non dare spazio a chi aveva le mani in pasta. Il partito socialista, che di questa situazione è stato uno dei principali artefici, è ridotto al lumicino. L’autocritica c’è, c’è stata ed è radicale.
La troika avrà oppresso la Grecia, ma non è che ora facciate troppo affidamento sui rubli di Putin?
Pochi sperano nell’aiuto della Russia, che di per sé ha i suoi problemi. Con Putin c’è stato un dialogo commerciale visto di buon occhio da tutti, ma in Grecia non si vedono all’orizzonte cambi di alleanza.
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