Giustizia, Di Federico: «Riforma Renzi è troppo timida. Il pm resta un poliziotto indipendente e il cittadino solo»
Giuseppe Di Federico, associato (ed ex presidente) dell’Istituto di ricerca sui sistemi giudiziari del Cnr, docente all’università di Bologna di diritto giudiziario, ex membro del Csm, ex presidente dell’European Research Network on Judicial Systems è ritenuto una delle massime autorità in Italia in tema di diritto e giustizia. Oggi il sito Notizie radicali ha pubblicato un suo intervento all’assemblea dei Radicali a Chianciano (che si è tenuta lo scorso 30 ottobre-2 novembre), in cui Di Federico analizza le proposte del governo Renzi di riforma della giustizia e bacchetta severamente sia l’Anm, il sindacato delle toghe, sia il Consiglio superiore della magistratura. Tempi.it ne ripropone di seguito i passaggi più interessanti.
LE FERIE DEI GIUDICI. L’intervento parte con un attacco: «La ruvida dichiarazione di indipendenza di Renzi dall’Anm e dalla magistratura si è poi trasformata in una effettiva, incisiva, azione riformatrice della nostra claudicante giustizia? Considero per prima la proposta governativa di ridurre di 15 giorni le ferie dei magistrati (ora sono di un mese e mezzo). Conoscendo le modalità di svolgimento del lavoro dei magistrati e le modalità, a dir poco carenti, con cui viene esercitato il controllo su di esso, mi sembra si possa dire che questa iniziativa non contribuirà certo a rendere più efficiente la nostra giustizia».
«I PIÙ PRODUTTIVI? BALLE». Di Federico spiega che i magistrati nostrani «ritengono di poter provare di essere tra i più produttivi sulla base delle statistiche fornite nei rapporti dalla Cepej (European Commission for the Efficiency of Justice) e che riguardano i 47 paesi del Consiglio d’Europa», lo stesso rapporto che al contempo ha però denunciato che la nostra giustizia (penale e civile) sia la più lenta d’Europa. Inoltre, «L’Anm dimentica di dire per esempio che nel calcolo della produttività dei giudici italiani vengono considerati solo i magistrati di ruolo (8.417) e non anche quelli onorari, come se i circa 6mila giudici di pace o onorari in servizio non facessero assolutamente nulla. In quelle statistiche, il loro lavoro viene inglobato in quello svolto dai magistrati ordinari con la conseguenza che i livelli lavorativi di questi appaiono molto più elevati di quanto non siano in realtà. Più volte nel corso di vari convegni ho obiettato queste cose ai magistrati. Non mi hanno mai risposto. Hanno sempre fatto finta che non avessi parlato e hanno successivamente continuato a ripetere le stesse vanterie».
RESPONSABILITA’ CIVILE. Subito dopo Di Federico affronta il tema delle modifiche avanzate dal governo e dalla maggioranza sulla responsabilità civile dei magistrati: “Proposte che vengono fatte, occorre ricordarlo, non certo per porre rimedio al tradimento del volere dell’84 per cento dei cittadini italiani (oltre 22 milioni di votanti) che l’avevano richiesta col referendum radicale del 1987. Vengono invece fatte perché sono imposte dall’Ue”. Ricorda poi il giurista che il governo propone una responsabilità civile indiretta, per cui a rispondere in caso di condanna del giudice sarà prima lo Stato, che solo in un secondo momento si rivarrà sul giudice. Per Di Federico tra le più interessanti modifiche, “quella che elimina il giudizio di ammissibilità della richiesta di risarcimento, che finora ha escluso il 90 per cento delle richieste, prima ancora di essere valutate nel merito”. Finalmente un passo avanti, così come il fatto che “si amplia il concetto di dolo o colpa grave del giudice (violazione manifesta della legge, travisamento del fatto e delle prove)».
ALLARME. Tuttavia Di Federico ammonisce che è già in atto un indebolimento a catena di tutta questa riforma. Infatti dopo «la solita reazione dei magistrati a queste moderate innovazioni, che cioé secondo l’Anm e il Csm esse pregiudicano o violano l’autonomia e indipendenza della magistratura», sarebbe stato predisposto un emendamento del governo che «restringe il concetto di colpa grave» dei casi per cui si potrebbe avviare la richiesta di risarcimento civile ad un giudice. «Se, com’è da credere, dovesse essere approvato anche solo quest’emendamento, anche gli altri aspetti innovativi della riforma perderebbero buona parte della loro efficacia».
UNA STRUTTURA CHE VIGILI SULLE PROCURE. Per Di Federico inoltre non basta solo regolamentare la responsabilità civile per affrontare il tema della responsabilità dei magistrati. Tra le proposte, «La reintroduzione di effettive valutazioni della professionalità, mentre ad oggi le ricerche mostrano chiaramente che il Csm di regola promuove tuttei i magistrati in base all’anzianità, in violazione dell’articolo 105 della Costituzione che esplicitamente gli assegna il compito di effettuare le promozioni». Ricordando lo scontro in procura di Milano tra il capo Edmondo Bruti Liberati e l’aggiunto Robledo, su cui «in ben 5 mesi il Csm non è stato in grado di decidere. In nessun altro paese democratico sarebbe potuto accadere», il giurista quindi avanza anche la proposta di creare «una struttura gerarchica unitaria della magistratura inquirente posta, come in tutti gli altri paesi democratici, alle dipendenze di un soggetto che risponda politicamente del suo operato. Ciò avrebbe una pluralità di ricadute positive». Ad esempio, «consentirebbe di gestire con più efficacia e tempestività i numerosi conflitti che si verificano nelle procure e tra le procure e che spesso si trascinano senza soluzione per molti mesi, e di cui parlo per conoscenza diretta, data l’esperienza al Csm», ma anche «di ricondurre nell’alveo del processo democratico le scelte di politica criminale che ora sono di fatte in modo spesso difforme e irresponsabile dalle diverse procure».
«IL CITTADINO SOLO E IL PM POLIZIOTTO». Infine, secondo Di Federico «Per quanto concerne il processo penale non vi sono proposte innovative di rilievo sotto il profilo ordinamentale. Lo status quo da sempre difeso dai magistrati rimane intatto. Niente divisione delle carriere, niente regolazione e responsabilizzazione delle attività del pubblico ministero che sono tipiche degli altri paesi democratici. L’ultima ricerca da noi fatta l’anno scorso intervistando 1265 avvocati delle camere penali ha confermato le disfunzioni già emerse nelle precedenti ricerche del 1992, del 1995, del 2000. Ha tra l’altro confermato la capacità dei nostri pm di autodeterminarsi con ampia discrezionalità in tutte le fasi delle indagini, nelle scelte dei casi da perseguire e dei mezzi di indagine da utilizzare, nella ricerca delle prove a discarico e nella loro utilizzazione, nella utilizzazione delle intercettazioni telefoniche, nelle scelte sulla custodia cautelare, nella discrezionalità con cui gestire i tempi di durata delle indagini e loro proroga. Le disfunzioni di un tale assetto sono molteplici. A differenza di altri paesi democratici in Italia il pm non può mai essere chiamato a rispondere delle sue scelte discrezionali, neppure sotto il profilo delle valutazioni di professionalità. Egli può indagare su ciascuno di noi ed usare a tal fine ed a sua discrezione la polizia, svolgere anche direttamente le indagini, senza limiti di competenza territoriale: è di fatto un poliziotto indipendente. Se poi risulta che ha agito senza sufficienti indizi può sempre affermare, con immancabile successo, che non poteva non fare quanto ha fatto perché vi era obbligato dal principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale».
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