Giansanti (Confagricoltura): «Bruxelles non può pretendere l’impossibile»

Di Matteo Rigamonti
06 Marzo 2024
«Siamo noi agricoltori le prime vittime del cambiamento climatico. L’Europa ci supporti invece di caricarci di adempimenti burocratici e obiettivi ambientali insostenibili. Paradossale la richiesta di produrre di meno»
La protesta dei trattori a Torino, 5 febbraio 2024
La protesta dei trattori a Torino, 5 febbraio 2024 (foto Ansa)

«La protezione dell’ambiente, la tutela delle risorse naturali e della biodiversità devono coesistere con la salvaguardia dei livelli di produzione». È chiaro e semplice il messaggio con cui Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, commenta a Tempi la “protesta dei trattori” e le richieste rivolte ufficialmente alle istituzioni europee dall’associazione che guida e che rappresenta – la più antica – le aziende agricole e del settore primario. Ad essere meno chiara e comprensibile, invece, è la strada che l’Unione Europea intende seguire per tutelare il settore, tra una politica comunitaria che Giansanti reputa fallimentare, obiettivi di sostenibilità dai costi paradossalmente insostenibili – come paradossale è la richiesta di Bruxelles di produrre di meno – e complicazioni burocratiche. Positivo invece il giudizio sull’operato del governo italiano.

Facendo un passo indietro, quali sono le esigenze che accomunano il fenomeno delle manifestazioni che in Europa, e anche in Italia, sono state identificate dai media come “protesta dei trattori”?

Le proteste, in Italia e in Europa, hanno espresso un disagio che riguarda tutto il settore. L’attuale Politica agricola comune [Pac, ndr] ha fallito, caricando noi agricoltori di adempimenti burocratici sempre più numerosi e degli sforzi necessari per raggiungere obiettivi di sostenibilità ambientale insostenibili a livello economico. Questa Pac risulta slegata dal mercato, non tenendo conto di quanto accaduto negli ultimi anni, dalla pandemia alle guerre ancora in corso. Come Confagricoltura siamo stati da subito molto critici, ma abbiamo sempre scelto la via del confronto con le istituzioni. Anche il 26 febbraio, giornata in cui il mondo agricolo si attendeva decisioni più incisive da parte del Consiglio Ue per l’agricoltura e la pesca, ci siamo riuniti in assemblea a Bruxelles e abbiamo consegnato le nostre richieste in via ufficiale, sotto forma di un documento programmatico molto dettagliato.

Provando a giudicare in una prospettiva di più lungo periodo e nel contesto europeo, che cosa rende non più sostenibile l’attuale situazione e cosa chiedete all’Unione Europea?

I fattori che hanno scatenato le proteste nelle piazze d’Europa sono molteplici e diversi da un paese all’altro. Per quanto riguarda l’Italia, il nostro governo sta lavorando bene, ascoltando il settore e adoperandosi in modo concreto per salvaguardarlo. Dall’Unione Europea, invece, ci aspettiamo un cambio di passo. Serve un intervento radicale sulla Pac, affinché riporti al centro la tutela della produttività e della competitività delle imprese agricole. Al momento, infatti, ci viene richiesto di produrre meno: un paradosso per degli imprenditori.

Chiediamo, dunque, azioni immediate per aumentare il bilancio destinato all’agricoltura, per supportare gli agricoltori nella gestione dei rischi e dei danni legati al cambiamento climatico, per semplificare e ridurre la burocrazia e una serie di altri interventi, raccolti da Confagricoltura in un manifesto in dieci punti, volti a tutelare la sicurezza e l’indipendenza alimentare, che sono da sempre alla base della costruzione dell’Europa unita.

All’assemblea di Confagricoltura a Bruxelles hanno partecipato oltre 200 delegati da tutta Italia, numerosi parlamentari europei e italiani, i ministri Matteo Salvini e Francesco Lollobrigida, i presidenti del Copa, Christiane Lambert, e del Cogeca, Lennart Nilsson. La premier Giorgia Meloni, da remoto, ha inviato un messaggio molto significativo per il settore. Alle istituzioni europee abbiamo consegnato un documento programmatico di 60 pagine. Spetta a loro dare una risposta immediata ed efficace a un settore che chiede di poter produrre cibo di qualità e che venga rispettata la reciprocità degli standard qualitativi sui prodotti importati.

Il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti
Il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti (foto Confagricoltura)

C’è qualcosa che può fare il governo a prescindere dal quadro comunitario?

Il governo italiano sta facendo molto per il settore, in modo costante. Il 9 febbraio scorso il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha convocato le organizzazioni agricole per un vertice insieme al ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida: questo è stato per noi un segnale di attenzione importante. Anche la decisione del governo di rivedere il provvedimento sull’Irpef rappresenta un passo avanti significativo, per questo ringraziamo chi ha ascoltato le nostre richieste. Ora è importante convergere verso un piano strategico pluriennale per l’agricoltura. Senza una visione di lungo periodo, continueremo ad essere esposti alle emergenze.

L’agricoltura italiana è straordinaria, fatta di molteplici produzioni uniche al mondo. Molte di queste, però, stanno affrontando momenti critici. È prioritario consolidare modelli di filiera in grado di competere nei mercati globali. In questo senso, Unionfood e Confagricoltura hanno dato vita a Mediterranea, un’alleanza che unisce il mondo della trasformazione industriale e il settore primario, per creare valore da distribuire in modo equilibrato tra tutte le parti della filiera agroalimentare. Proseguendo nel lavoro sinergico già avviato, l’agricoltura italiana potrà crescere sempre di più.

L’obiettivo green della neutralità carbonica, così come la legge sul ripristino della natura, sono una risposta o parte del problema?

In Italia, l’agricoltura ha un ruolo di primo piano nella transizione green verso la neutralità climatica. Tuttavia, l’apporto potrebbe essere ancora più significativo, destinando il 5 per cento delle aree coltivate a fini energetici, tramite, ad esempio, l’agrivoltaico. Queste tecnologie possono aiutare a produrre energia pulita senza impatti sulla produzione alimentare. Un mix di approvvigionamento che includa fotovoltaico, biomasse, eolico e idroelettrico può contribuire al raggiungimento degli obiettivi “emissione zero” previsti per il 2050.

Le capacità finanziarie ci sono, ma serve semplificazione e una maggiore chiarezza normativa. Oggi, infatti, le pratiche nel settore delle energie verdi sono rallentate da norme complesse, incentivi altalenanti e percorsi autorizzativi elefantiaci. Nel Piano italiano per la transizione ecologica è stato messo in evidenza che, attraverso la fotosintesi, da sole le foreste assorbono ogni anno circa 40 milioni di tonnellate di CO2, pari al 10 per cento dei gas ad effetto serra emessi nel nostro paese. Un quantitativo che supera di circa 10 milioni di tonnellate le emissioni totali del settore agricolo.

Sul tema del ripristino della natura, noi agricoltori produciamo sotto il cielo: i fenomeni estremi danneggiano noi più di chiunque altro. La crisi climatica ha portato anche a nuove patologie delle piante e nuovi insetti alieni che invadono le campagne. Dopo il ritiro della proposta di regolamento sui fitofarmaci, ci attendevamo un esito diverso rispetto al voto sul regolamento riguardante il ripristino della Nature restoration law, espresso il 27 febbraio dal Parlamento europeo. La protezione dell’ambiente, la tutela delle risorse naturali e della biodiversità devono coesistere con la salvaguardia dei livelli di produzione. È stata persa un’occasione importante per segnare un punto di svolta nell’applicazione del Green Deal all’agricoltura. Con l’auspicio di un cambio di rotta, attendiamo gli esiti del dibattito sul futuro dell’agricoltura che si terrà in seno al prossimo Consiglio europeo.

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