Giancarlo Caselli va in pensione. Ha guidato la procura di Palermo negli anni del “concorso esterno”
Dal 28 dicembre il procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli, andrà in pensione. Lo ha comunicato lui stesso con una lettera ai suoi sostituti, in cui aggiunge «Ho formalizzato oggi una notizia che non avrei mai voluto comunicarvi. Mi dispiace lasciare il lavoro in Procura, ma ancora di più lasciare tanti amici, credetemi non è frase fatta, cioè voi tutti che avete contribuito a fare del nostro ufficio un sistema funzionante».
PROCESSI CONTROVERSI. La notizia segue di pochi giorni l’abbandono ufficiale anche di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe, di cui Caselli è stato storico militante e tra i più noti esponenti, a seguito della pubblicazione di Md (nell’Agemda 2014) di uno scritto in cui lo scrittore Erri De Luca difendeva l’operato della sinistra eversiva, attentati compresi, negli anni di Piombo. La reazione di Caselli ha suscitato per lui però una diffusa solidarietà tra altri magistrati di Md.
Caselli ha lavorato come magistrato (come giudice istruttore, poi come presidente della corte d’Assise) a Torino dagli anni di piombo fino alla fine del 1992, quando accettò l’incarico di procuratore capo di Palermo all’indomani delle stragi di Capaci e via d’Amelio dove morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sotto la sua guida, il cosiddetto “pool dei caselliani” (un gruppo di pm tra cui spiccano sicuramente i nomi di Antonio Ingroia e di Roberto Scarpinato) condusse alcuni controversi processi, il più celebre dei quali è quello a Giulio Andreotti. Dal 1999 al 2001 Caselli è stato quindi direttore generale al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Nel 2001 è poi tornato all’ombra della mole come procuratore capo. S
torico lo scontro per la poltrona di Procuratore nazionale antimafia con Piero Grasso nel 2005: il Csm scelse quest’ultimo alla guida della Dna, ma in quell’occasione si è manifestata in modo plastico la contrapposizione tra due “scuole di pensiero” nella magistratura che aveva dilaniato per anni (e tuttora divide) la procura palermitana, divisa tra magistrati più “attendisti”, alla Grasso, o quelli della scuola dei “caselliani”, ritenuti nel dibattito mediatico più “interventisti” e più favorevoli alle indagini per il concorso esterno per associazione mafiosa (un dispositivo per indagare i colletti bianchi sospettati di aver aiutato la mafia anche se non sono aderenti effettivi all’associazione mafiosa).
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