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Francia. Spendono 130 mila euro per l’utero in affitto, poi fanno causa

Dopo aver comprato illegalmente un figlio negli Usa Bruno e Romain si sentono «discriminati» perché, per ricevere il bonus nascita, devono produrre il certificato di gravidanza. «Siamo due uomini, come potremmo averlo?»

Leone Grotti
03/10/2021 - 6:30
Salute e bioetica
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Protesta contro l'utero in affitto in Francia

Bruno e Romain si sentono «discriminati» in Francia e denunciano le leggi «retrograde» del paese sull’utero in affitto. Ma la loro storia e quella del motivo per cui hanno fatto causa alla Caf francese, l’ente che eroga aiuti finanziari alle famiglie, è così grottesca che viene quasi da pensare a uno scherzo.

Utero in affitto da 130 mila euro

I due uomini, felicemente sposati e residenti nel dipartimento dell’Alto Reno, desiderando un figlio e non potendo per ovvie ragioni concepirlo naturalmente, sono ricorsi all’utero in affitto. Non essendo afflitti da problemi economici di sorta, dopo essere volati negli Stati Uniti e aver speso «una cifra intorno ai 130 mila euro», scrive il Figaro, per farsi partorire un figlio da una madre surrogata, sono tornati in Francia un anno e mezzo fa con in braccio un bel pargolo.

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La legge transalpina vieta di ricorrere alla maternità surrogata in virtù di una sentenza della Corte di Cassazione del 1991, che stabilisce l’indisponibilità del corpo umano, e dell’articolo 16 di una legge del 1994. Chi vi ricorre, in base all’articolo 227-12 del Codice penale, rischia un anno di carcere e 15 mila euro di ammenda.

Niente bonus senza certificato di gravidanza

Nonostante Bruno e Romain abbiano commesso un reato, nessuno li perseguirà in Francia. Infatti, l’evoluzione del diritto, operata negli anni dai magistrati con il consenso e la collaborazione dei governi Hollande e Macron, permette a chi ricorre all’utero in affitto all’estero di registrare regolarmente il neonato nel proprio libretto di famiglia. Sarebbe un reato, ma tutti chiudono un occhio.

La coppia omosessuale, insomma, sembra tutt’altro che «discriminata», semmai illegittimamente favorita ma non è questo il punto. Bruno e Romain, infatti, non contenti di aver potuto comprare un figlio negli Stati Uniti senza conseguenze civili o penali, hanno chiesto alla Caf dell’Alto Reno il contributo una tantum che viene corrisposto dallo Stato alla nascita di un nuovo figlio, pari a 948,27 euro.

I funzionari della Caf, totalmente avulsi da ogni ragionamento ideologico, hanno regolarmente chiesto alla coppia il certificato attestante la gravidanza. Ed è qui che entra in gioco la presunta «discriminazione». «Richiedere un certificato di gravidanza a due maschi è offensivo», hanno dichiarato Bruno e Romain. «Ci obbliga a parlare della nostra omosessualità, che è qualcosa che non vorremmo esporre».

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«Vogliamo solo essere come gli altri»

Per questo i due uomini hanno fatto causa alla Caf, la quale ha risposto semplicemente che, in base alle regole per ottenere il bonus, devono avere il certificato di gravidanza prodotto entro le prime 14 settimane. «La Caf rispetta ciascuna e ciascuno, in tutte le situazioni di famiglia e genitorialità», si legge in un comunicato dell’ente. «Ma le regole attuali che valgono per tutti ci impongono di richiedere il certificato».

La coppia omosessuale, invece che riconoscere il buon senso della Caf e la particolarità della situazione, ha rintuzzato: «Così si lede la nostra dignità: vogliamo soltanto essere una famiglia come le altre. Qui è in gioco l’interesse del bambino». Si potrebbe discutere a lungo se l’interesse del bambino sia essere strappato a sua madre a fronte di un lauto corrispettivo economico. Ma, in questo caso, non risiede qui il problema.

Una paradossale battaglia ideologica

La legale della coppia che si sta occupando della causa ha spiegato, rincarando la dose e aggiungendo assurdità ad assurdità: «La maternità surrogata è vietata in Francia, ma questo non significa che si debba privare dei genitori, che vi hanno legalmente (sic) fatto ricorso all’estero, di ottenere il bonus che permette al neonato di fruire delle migliori condizioni possibile».

La battaglia che Bruno e Romain stanno combattendo è ovviamente ideologica e non economica. Difficile credere che la coppia andrà in bancarotta per qualche centinaio di euro dopo averne spesi circa 130 mila per comprare il bambino con l’utero in affitto. La coppia vuole essere «come le altre famiglie», ma il ricorso alla pratica dell’utero in affitto non può che renderli diversi. La situazione infatti è paradossale: i genitori non possono evidentemente produrre il certificato di gravidanza, dal momento che la donna che ha partorito il “loro” bambino non ne è per contratto la madre. E del resto è la stessa lobby Lgbt che ha condotto la battaglia per cancellare la madre nel nome dei diritti delle coppie gay. Alla Caf e alla legislazione vigente però non può essere rimproverato nulla: come può esserci un bambino senza una madre che l’abbia partorito?

Sarà un giudice a decidere se i due uomini, dopo aver violato la legge francese sull’utero in affitto, sfruttato una donna all’estero e comprato un bambino spendendo una fortuna, hanno anche diritto al bonus nascita pur avendo cancellato la madre che di quella nascita è stata artefice. In Francia, a essere discriminato, sembra soltanto il senso della vergogna.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: FranciagaylgbtUSAUtero in affitto
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