Francia. Non basta dire «je suis prof» per «vincere la guerra»

Di Leone Grotti
21 Ottobre 2020
Dal New York Times al Guardian tornano i soliti tic politicamente corretti che seguono ogni attentato. Ma gli islamisti vogliono «prenderci tutto»
francia manifestazione paty

«Non è con i fiori e le candele che si vincono le guerre». Lo ribadisce oggi al Figaro François-Xavier Bellamy, parlamentare e professore di filosofia, parlando della decapitazione venerdì del professore di storia e geografia Samuel Paty. L’uomo è stato assassinato davanti a scuola a Conflans-Sainte-Honorine, dopo che alcuni genitori musulmani avevano aizzato gli estremisti contro di lui per aver mostrato in classe due vignette di Charlie Hebdo su Maometto durante una lezione sulla libertà di espressione.

«PATY HA OFFESO IL NOSTRO PROFETA»

Che si tratti proprio di una «guerra» lo hanno ribadito i terroristi dello Stato islamico, pubblicando ieri nella loro rivista The Voice of Hind una foto con la testa mozzata del professore in bella vista e la didascalia: «Se la vostra libertà di espressione non vi ferma dal criticare il profeta Maometto, allora le nostre spade non smetteranno di difendere il suo onore», riporta Gtsc (il link non contiene immagini).

La stessa cosa sembrano pensare anche alcuni studenti della scuola dove Paty insegnava. La sera stessa dell’attentato, riunendosi davanti al cancello dell’istituto, hanno dichiarato ai giornalisti: «Paty aveva la reputazione di razzista, ha offeso Maometto anche se morire per una vignetta è da pazzi, è troppo»; «però ha offeso il nostro profeta»; «volete vedere la testa mozzata? C’è la foto che circola su internet». Non hanno giustificato esplicitamente l’assassino, insomma, ma non ci sono andati molto lontano.

IL TITOLO DEL NEW YORK TIMES

Il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, ha reagito promettendo di espellere quanto prima centinaia di elementi radicalizzati di nazionalità straniera e di chiudere la moschea di Pantin perché l’imam «ha rilasciato un messaggio dicendo che il professore doveva essere intimidito».

Ma c’è ancora chi vuole «chiudere gli occhi davanti al nemico», afferma Bellamy, elencando alcuni esempi della consueta retorica che segue ad ogni attentato. Il New York Times, ad esempio, come notato dal Foglio, ha titolato così la cronaca dell’omicidio: «La polizia francese ha sparato e ha ucciso un uomo dopo un attacco mortale con un coltello in strada». Dopo essersi reso conto che si trattava di un attentato terroristico, ha corretto il titolo: «La polizia francese ha ucciso un uomo che ha decapitato un insegnante per strada».

L’EDITORIALE DEL GUARDIAN

Anche il Guardian minimizza la portata della minaccia terroristica in Francia in un editoriale che sa di già visto:

«Il rischio, come sempre dopo un attacco jihadista, è il circolo di reazioni distruttive che crea. Non è mai un solo uomo che le sette della morte cercano di uccidere. Il loro obiettivo è fomentare l’odio. Il governo francese ha già annunciato un piano per deportare 213 stranieri che si trovano dentro una lista nera. Il partito di Marine Le Pen e altri rivali di Macron vogliono spingerlo oltre, incoraggiando il pubblico a chiedere una punizione collettiva e facendo aumentare l’ostilità verso rifugiati e migranti. Macron non deve permettere che le sue politiche anti-estremiste vengano deragliate da una ideologia psicopatica».

«GLI ISLAMISTI VOGLIONO LA NOSTRA COSCIENZA»

L’obiettivo dei terroristi islamici in Francia non è appena «fomentare l’odio», anche se questo è l’inevitabile corollario di ogni attentato. Come spiega ancora Bellamy, «l’islamismo non è separatista, non vuole restare ai margini. Vuole tutto, le nostre libertà e la nostra coscienza. Esige il nostro silenzio e verrà a cercarci se noi lo rifiutiamo. Ci farà guerra fino a quando non avremo ceduto tutto, assolutamente tutto».

Dopo aver conquistato i cosiddetti “territori perduti” della Repubblica e aver messo più di un piede nelle scuole pubbliche francesi, dove gli ebrei faticano ormai a trovare cittadinanza, l’estremismo islamico fa paura agli insegnanti: il 40 per cento, secondo un sondaggio Ifop, già si autocensura quando si tratta di parlare di islam e Corano. Dopo l’attentato il numero aumenterà se lo Stato non farà niente.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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