«Si chiama politica, caro Matteo Renzi, non ho alcuna intenzione di farti tremare ma di invitarti a riflettere: spaccare l’Italia in due non conviene neanche a te». Roberto Formigoni risponde così al premier, intervenuto lo scorso 4 luglio alla Direzione del Pd dichiarando che «vorrei dire a Roberto Formigoni che certo non ci mettiamo a tremare». Oggetto della battuta, l’intervista rilasciata nei giorni scorsi al Corriere della sera in cui il senatore Ap proponeva al suo partito di uscire dal governo. «Ho detto che è finito il tempo di Ncd dentro il governo, non dentro la maggioranza: la mia proposta non è far cadere l’esecutivo, cosa che sarebbe da irresponsabili in un momento così grave di disgregazione dell’Europa, di sofferenza economica e terrorismo internazionale, ma di ritirare la nostra delegazione e garantire un appoggio esterno fino a fine legislatura. Non vedo la polemica: un progetto di alleanza politica col Pd non è mai esistito. Abbiamo deciso di partecipare al governo Letta prima e al governo Renzi sull’esempio della grosse koalition tedesca, in un contesto di gravissima emergenza del paese e lo abbiamo fatto con l’unico obiettivo di fare le riforme. Sono state fatte, molte di queste sono dipese da noi e le ritengo buone e opportune, ma il nostro compito ora è terminato. Per questo non c’è alcuna ragione di aspettare il referendum di ottobre: la parola ora spetta ai cittadini, decideranno loro, il compito politico è finito. Ed è su questo che invito Renzi a riflettere».
Il premier dice che lei annuncia sfaceli.
Io gliel’ho ripetuto più volte, in diverse sedi e occasioni, che il suo atteggiamento nei confronti del referendum, così bene alimentato dal ministro Boschi, è scorretto e dannoso perfino per lui. Renzi ha scatenato un’ordalia: mettersi a proclamare che gli uomini veri, i partigiani veri, gli imprenditori veri votano sì, come se tutto il resto dei votanti e contrari non godesse di pari dignità rende un cattivo servizio al paese. E alla politica stessa: è divisivo, e se continua a dichiarare guerra a una parte dell’Italia finirà per rafforzare gli obiettivi di chi vuole travolgerlo insieme al referendum. Sono contento che non si metta a tremare ma continui a farsi colpire, visto che ha avuto la necessità di rispondermi. Si renda conto che il Pd al 41 per cento non esiste più e che l’Italicum con il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione, e i deputati nominati e non eletti, non ha alcun senso.
Lasciare il governo è una posizione condivisa all’interno del suo partito? I giornali pubblicano retroscena e parlano di scissione e posizioni inconciliabili.
Nessuno punta alla scissione, bensì ad arrivare ad una posizione condivisa e unitaria. Sull’ipotesi di uscire dal governo e ricostruire un nuovo centrodestra sono intervenuti anche i senatori Esposito, Schifani e Sacconi. Ognuno ha una sua idea ed è pronto a confrontarsi, io dal canto mio mi sono già espresso in favore di una coalizione di centrodestra a guida moderata come quella che ha tenuto testa alla sinistra alle amministrative milanesi. Per questo torno a ripetere: il compito di Ncd dentro il governo è finito, dobbiamo lavorare ora alla stabilità del paese e, per capire come, chiedo che venga convocata presto una riunione del nostro gruppo al Senato per aprire un confronto e approdare a una soluzione condivisa.
Intanto una nuova bufera scuote il partito, Alfano è sotto i riflettori dei media, le opposizioni chiedono le dimissioni, Renzi al momento non si è espresso. Lei che idea si è fatto della vicenda?
Ancora una volta ci troviamo di fronte a una vile strumentalizzazione: le intercettazioni pubblicate dai giornali sono note alla Procura di Roma da almeno due anni che le ha già ritenute ininfluenti. Non c’è luogo a procedere, quindi, se non sulle pagine dei quotidiani in servizio permanente alla causa dell’attacco politico e dell’informazione scorretta. Solidarietà piena ad Alfano.
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