Firenze, avvocato denuncia «la deriva mediatica» dei processi condotti sui giornali. L’Ordine dei giornalisti insorge

Di Chiara Rizzo
30 Gennaio 2015
Intervista all'avvocato Sergio Paparo, la cui posizione ora viene valutata «attentamente» dall'Odg della Toscana

All’inaugurazione dell’anno giudiziario a Firenze, sabato 24 gennaio, il locale presidente dell’ordine degli avvocati, Sergio Paparo, ha denunciato i processi condotti a mezzo stampa e «la deriva mediatica che le questioni penali sembrano avere ormai irreversibilmente preso». Racconta Paparo a tempi.it che, per tutta risposta, «il giorno dopo, sui principali quotidiani locali, La Nazione e il Corriere fiorentino, ho appreso che l’ordine dei giornalisti della Toscana sta valutando attentamente la mia posizione».

Paparo, cos’ha detto di così scandaloso sul processo mediatico sabato scorso?
Il passo “incriminato” del mio intervento è quello in cui ho fatto mio, condividendolo integralmente, un passaggio di un recentissimo documento della Giunta dell’Unione camere penali italiane, nel quale, per l’ennesima volta, si è costretti a lamentare la deriva mediatica che le questioni penali sembrano avere oramai irreversibilmente preso. Processi celebrati in televisione e sui giornali, materiali ed atti di indagine divulgati al di fuori di ogni controllo di utilizzabilità, condanne profferite in diretta televisiva e sempre più frequenti e pesantissimi tentativi di condizionamento dell’autonomia decisionale del giudice. La Giunta delle camere penali denuncia, amaramente, come “lo strumento mediatico si è sostituito interamente alla realtà del processo, divenuta paradossalmente il solo ‘riflesso’ della sua stessa precedente rappresentazione”.

Tutto qui?
Io poi ho aggiunto che “confido che questo allarme sia da voi tutti percepito con il nostro stesso timore e che sia da voi tutti condivisa l’assoluta necessità ed urgenza che questa deriva sia fermata. Dobbiamo trovare, tutti insieme, il punto di equilibrio necessario fra il sacrosanto diritto all’informazione ed il rispetto rigoroso della funzione giurisdizionale e della sua autonomia, difendendo i principi, costituzionalmente garantiti, della presunzione di non colpevolezza e della centralità del dibattimento quale garanzia essenziale per l’attuazione del giusto processo”.

I colleghi avvocati e magistrati presenti all’inaugurazione come hanno reagito?
Non solo da parte dei colleghi c’è stato un assoluto consenso, dato che nell’avvocatura questo è un tema molto sentito. Il consenso mi è stato espresso pubblicamente anche dal presidente della Corte d’appello fiorentina, Fabio Massimo Drago, che al termine del mio intervento si è sentito in dovere di commentare dicendo testualmente: «Grazie Paparo, Lei ha trovato parole molto importanti per spiegare quelli che sono i problemi più gravi della giustizia che interessano in particolare l’avvocatura. Con i processi celebrati in televisione con me sfonda porte aperte e li abbinerei ai problemi che spero che le procure prendano in considerazione». Viviamo un momento in cui un difensore rischia che il suo lavoro non serva a nulla.

Perché ha questo timore?
Nasce soprattutto per quei processi dove c’è una giuria popolare, quelli penali celebrati in corte d’assise. Spesso tra gli avvocati c’è la paura e l’impressione che la giuria entri in camera di consiglio non tanto con l’idea di quanto è stato dimostrato dalle parti in aula durante il dibattimento, ma di quanto ricostruito in tv da trasmissioni come “Porta a Porta” o “Quarto grado”. La giurisdizione a mio avviso, come l’informazione, ha un valore assoluto. Invece assistiamo ad interventi molto pesanti dei media, a discapito della giurisdizione: per questo ho semplicemente detto che occorre trovare un equilibrio. A Firenze in particolare si vive una vicenda molto delicata, con un processo in cui l’opinione pubblica è molto sensibile.

Cos’è accaduto?
A margine di questo processo, trenta intellettuali sono intervenuti a mezzo stampa con una lettera aperta sull’istanza di ricusazione di un giudice presentata in aula dalle difese. Gli intellettuali hanno chiesto con questo appello pubblico all’Anm, il sindacato della magistratura, che intervenisse sul collegio della corte d’Appello perché venisse respinta quest’istanza di ricusazione della difesa. Il fatto è accaduto proprio la scorsa estate e l’ordine degli avvocati è dovuto intervenire, sottolineando che era anomalo che delle persone esterne ad un processo intervenissero tramite la stampa entrando a gamba tesa su ciò che avveniva in un’aula di tribunale. Penso che un conto sia informare attraverso i giornali, altro conto è usare i giornali per interpellare l’intervento dell’Anm. Questo non è più esercizio del diritto di cronaca, è una barbarie. È giusto che i giudici decidano autonomamente, ci sono tre gradi di giudizio apposta nel nostro sistema. E per me è indebito tirare per la giacchetta i giudici affinché decidano in un modo o nell’altro.

Sempre a Firenze ha fatto molto discutere un anno fa il caso del giudice della corte d’assise d’appello che ha presieduto il processo bis per il delitto di Perugia. E che il giorno dopo la sentenza di condanna avrebbe anticipato alcune considerazioni delle motivazioni della sentenza in un’intervista. C’entra qualcosa anche quel fatto?
Assolutamente sì, rientra nello stesso solco di casi mediatici di cui sto parlando. Nel caso specifico del delitto di Perugia, il giudice si è scusato dicendo che non aveva anticipato in realtà le sue valutazioni; e il Csm ha poi archiviato il procedimento che aveva aperto a suo carico, ricostruendo che il giorno dopo il giudice non aveva scelto di rilasciare interviste ma che era stato accerchiato dai giornalisti che non lo lasciavano camminare. Parlando più in generale, sostengo che tra le regole deontologiche della magistratura e degli avvocati ci dovrebbe essere l’assoluto divieto per avvocati e magistrati di intervenire a mezzo stampa su vicende giudiziarie in corso. Se da un lato è pacifico, infatti, che le informazioni processuali ai giornalisti arrivino direttamente dalle procure, anche se i pm non rilasciano dichiarazioni (un aspetto che a mio avviso va bloccato), dall’altro lato anche gli avvocati non dovrebbero assolutamente intervenire nei talk show dedicati alla cronaca giudiziaria. È anche questo che ho denunciato sabato.

E poi cos’è accaduto?
Sulla Nazione di Firenze, proprio nella pagina in cui si dava la cronaca dell’inaugurazione, il giorno dopo ho letto la notizia che l’Ordine dei giornalisti della Toscana sta valutando attentamente le mie parole. Sul Corriere Fiorentino ho trovato ulteriore conferma a questa notizia, con un commento molto piccato tra virgolette. Per il resto, posso solo aggiungere che non mi sono stati formalmente annunciati provvedimenti nei miei confronti, per ora.

Sul sito dell’Ordine dei giornalisti (Odg) della Toscana è riportato un comunicato in cui tra l’altro “Si esprime forte preoccupazione per le parole pronunciate dal Presidente del consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze, Sergio Paparo”. Non sono annunciate pubblicamente iniziative di alcun tipo nei suoi confronti a dire il vero. Anche se l’ordine difende i cronisti toscani.
Nel comunicato, leggo che l’Ordine dice: “Non sapevamo che fossero i giornalisti, secondo l’Avvocatura fiorentina, uno dei problemi della Giustizia. Non sapevamo che la mediaticità delle questioni penali, e quindi il pieno diritto di raccontarle e analizzarle come la nostra Costituzione sancisce, fosse un problema. Secondo l’Odg della Toscana non è tollerabile che il lavoro dei giornalisti della cronaca giudiziaria, per l’Avvocatura fiorentina che Paparo rappresenta, sia presentato come frequente e pesantissimo tentativo di condizionamento dell’autonomia decisionale del giudice cosicché, conclude Paparo, c’è assoluta necessità ed urgenza che questa deriva sia fermata. L’Odg della Toscana e i giornalisti che rappresenta sono i primi a rifiutare e condannare trasmissioni televisive affidate a persone che giornalisti non sono su argomenti delicati come la cronaca giudiziaria. Questa è deriva”. Per quanto mi riguarda, non voglio assolutamente commentare, per correttezza istituzionale.

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