La figlia di Aldo Moro: «Il perdono non è un sentimento, ma una decisione»

Di Elisabetta Longo
28 Marzo 2016
A Oristano, Agnese ha raccontato come è arrivata a perdonare gli assassini del padre: «Anche io necessitavo del perdono di Qualcun altro»

Il 9 maggio saranno passati 38 anni dall’omicidio di Aldo Moro. La figlia dello statista Dc non ha dimenticato: «La mia riflessione dura da 38 anni», ha spiegato durante un incontro organizzato dalla diocesi di Oristano e dedicato al tema del perdono. L’incontro era intitolato “Il coraggio del perdono” e si è tenuto il 16 marzo scorso, proprio nel giorno dell’anniversario dal rapimento. La testimonianza della figlia è stata preceduta dalla lettura dell’ultima lettera in cui l’esponente democristiano chiedeva alla moglie di ricordarsi di lui e di baciare i figli.

aldo-moro-ansa55 GIORNI. Agnese ha raccontato di essersi interrogata a lungo sull’angoscia del padre in quei 55 giorni di prigionia: «Se a un certo punto non avessi capito che anche io a mia volta necessitavo del perdono di Qualcun altro non sarei arrivata da nessuna parte».
Non è stato facile, ha più volte ripetuto, facendo capire che il perdono non è una merce a buon mercato: in un certo senso, va “sofferto”. «Quando penso al mio stato d’animo di quel periodo, alla mia predisposizione a perdonare gli assassini di mio padre, mi viene in mente un verso di San Paolo, tratto dalla Lettera ai Romani: “Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina”. Non esattamente uno stato di perdono pacifico, quindi».

[pubblicita_articolo]LA CATENA DEL MALE. Agnese ha ricordato il periodo buio degli anni successivi alla morte del padre. «Il male fatto a mio padre non si è fermato al suo omicidio. È ricaduto sulla nostra famiglia, anche su chi non era ancora nato. Questo i suoi assassini non potevano saperlo, ma così è accaduto. E io mi chiedevo: “Come si ferma la catena del male?”. Con il perdono. Che non è un sentimento, ma una decisione». Perdonare per Agnese è significato ricominciare: «Gesù ha anche detto: “Amate i vostri nemici”. E Martin Luther King diceva: “Non dire che lo hai perdonato se poi aggiungi che non lo vuoi vedere”. Così ho cercato un modo per tornare all’origine di quella catena del male. Grazie anche all’incontro con il gesuita padre Guido Bertagna (per tanti anni confessore del carcere di San Vittore, ndr), al quale di primo acchito avevo detto che non avrei voluto incontrare nessuno».

SENTIRSI VITTIMA. La giustizia, ha spiegato la figlia di Aldo Moro, non si deve occupare solo del reato, ma anche dei danni collaterali che derivano dal male. «All’inizio ho rifiutato categoricamente di incontrare gli assassini di mio padre. Di buttare via la mia “pelle da vittima” non volevo sentirne parlare. Come tutti quelli che vivono un dramma, mi ero affezionata al dolore, al fatto di poter guardare se stessi con pietà. Poi, però, ho deciso di incontrare quelle persone perché anche loro come me stavano cercando di finire il proprio percorso, una volta finito di scontare la loro condanna. L’ho fatto cercando di tenere fede a quel verso del profeta Isaia che dice: “Il lupo abiterà con l’agnello”».

Foto Ansa

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