
Matrimoni in crisi e comunione ai risposati. I dilemmi del Sinodo non si risolvono se non si coglie la «rilevanza totalizzante di Cristo»

Quando si tratta di prediche quei due sono sempre in mezzo. Due ostinati pezzi di ferro preposti a un destino inossidabile: l’uomo e la donna, e, va da sé, il matrimonio, l’amore con quell’oscena promessa di “amarti e onorarti tutti giorni della mia vita”. Lo stesso fiume di carta e parole spese per la tanto mondana difesa dell’unione “con chi e come mi pare” che “vale finché l’amore non finisce” non è che un ruscelletto ai piedi dei grandi argini che ogni discussione sull’indissolubilità del giuramento di quei due sembra minacciare.
Perché al netto di ogni promessa di amore eterno, due pezzi di ferro restano tali, costretti al passo di una processione, dove per dirla alla Chesterton, «tutti vanno nella stessa direzione e in gran parte sono obbligati a indossare la stessa uniforme», appena mettono un piede fuori casa. Convivenze, unioni di fatto, ragazze madri, unioni dello stesso sesso, non praticanti e non credenti che chiedono il matrimonio religioso, separati e divorziati risposati che chiedono i sacramenti. Insomma, di questi tempi la crisi di quei due sfida a una riflessione onesta chiunque abbia il coraggio della fede in un destino inossidabile. E una Chiesa decisa a non subire la tempesta del dubbio e dell’indecisione, ad intervenire.
Il Sinodo convocato da papa Francesco dal 5 al 19 ottobre in questo senso ha acceso molte speranze. In primis tra i divorziati risposati, proprio quei due che abiurando il “per sempre” sfidano la Chiesa sul piano della Grazia e Misericordia. «La sofferenza causata dal non ricevere i sacramenti», osserva l’Instrumentum laboris dell’Assemblea riportato con entusiasmo da tanta stampa «è presente con chiarezza nei battezzati che sono consapevoli della propria situazione (…) C’è chi si domanda perché gli altri peccati si perdonano e questo no». «La interrompo subito perché sulla “questione perdono” è facile equivocare. Intanto perché nel caso un fedele si sia sposato non disposto davvero a fare quel sincero dono di sé senza clausole che solo rende i due “una sola carne”, allora il matrimonio può venir dichiarato nullo e quindi passare a nuove nozze. Il fatto poi che il matrimonio sia indissolubile non è una regola posta dalla Chiesa bensì è un fatto legato alla “differenza sessuale” ossia all’originaria fisionomia dell’uomo. Tale dato fa parte della Rivelazione ma coincide con quanto dice l’esperienza. Se tale differenza fosse, come oggi si avanza, un mero fatto culturale, allora la parola “matrimonio” si svuoterebbe di significato, ogni tipo di legame potrebbe dirsi matrimonio. Ma il “per sempre” è pura sentimentalità, vuota chimera, o espressione del cuore dell’uomo, dice ciò per cui l’uomo è fatto?».
Per Giorgio Zannoni (foto a fianco), docente di Diritto Canonico all’Istituto San Pio X di Venezia e all’Issr di Rimini, giudice del Tribunale Ecclesiastico Flaminio, e autore, fra le altre pubblicazioni in materia, de Il matrimonio canonico nel crocevia tra Dogma e Diritto (Marietti, 2002), nella vulgata sul matrimonio, il peccato e il perdono è facile mettere in pericolo la verità stessa dell’uomo, una rivelazione di valore ontologico. Soprattutto, si finisce per «usare a sproposito la parola Misericordia. Il matrimonio, la comunione di vita che realizza reciprocamente lui e lei, in quanto uomo e donna, è un fatto che accade o meno, cioè una questione di fatto. Misericordia è opera di Dio che rigenera l’uomo, che la Chiesa offre in nome Suo. È abbraccio possibile anche a chi è reduce dal fallimento di un precedente valido vincolo coniugale, una novità di vita grazie alla quale il fedele, in forza della sua appartenenza ecclesiale, cioè alla comunità cristiana vissuta quale sua dimora, rifà l’esperienza della sua dignità battesimale. Un dono alla persona che non può riferirsi al matrimonio in modo da obliterare, in forza del pentimento del fedele, la questione della verità (o meno) del (primo) matrimonio. La “via della penitenza” non può pertanto di per sé cancellare l’inestricabile incontro tra amore e verità, tanto da essere in grado di creare un nuovo valido matrimonio».
Il tema della comunione ai risposati tuttavia tiene accesi i riflettori sul Sinodo quasi fosse un test di libertà per una Chiesa “al passo con i tempi”.
Il tema dell’accesso alla comunione eucaristica da parte dei divorziati risposati è una conseguenza della questione matrimonio, vero centro del Sinodo, che oggi chiede-impone una riflessione globale. È evidente il doversi rigenerare la fede come vita ecclesiale, il contesto in cui “respira” il fedele che si è sposato come chi è diventato ministro-sacerdote. Solo dentro il quadro d’insieme infatti si può comprendere come l’accesso alla comunione eucaristica si lega immediatamente all’essere la Chiesa, una realtà di vita di natura interpersonale. La fede è partecipazione alla comunione ecclesiale: Corpo di Cristo è la Chiesa. Di qui prende vigore l’indissolubilità, l’unicità del matrimonio-famiglia quale esperienza irripetibile nella vita dell’uomo. L’avvicinarsi all’Eucarestia indica, anche come gesto fisico, il partecipare di una Presenza condivisa, di Cristo evento comunitario e non un tête-à-tête intimo nel senso di privata pur sincera devozione. Si dimentica infatti che il precetto festivo non ha valore devozionale: è bensì l’ultimo fatto che afferma la natura della fede in quanto avvenimento non privato. In tal senso la questione della comunione ai “divorziati risposati” è connessa alla natura stessa del “cristianesimo”, in quanto Cristo è il Mistero che ha deciso di farsi obiettiva forma storica così da permanere tra i Suoi. Sia chiaro perciò: la questione del “fare la comunione” tocca oggi qualunque cristiano, non solo il fedele legato affettivamente non in forma matrimoniale. È facile ridurla ad un proprio atto devozionale.
Negli ultimi anni sono cresciute esponenzialmente, attestandosi intorno alle tremila all’anno, le richieste di annullamento presso la Sacra Rota. Perché il matrimonio è un sacramento, e perché è necessario un Tribunale per deciderlo?
Il fedele non è un individuo ma membro di un corpo – la Chiesa, ha ripetuto Benedetto XVI, non è «una organizzazione ma un organismo» – così come il matrimonio non è un fatto concluso al perimetro della coppia. Di per sé il matrimonio, cui si lega la famiglia, è vocazione, ossia compito necessario alla comunità/popolo e in tal senso rappresenta un bene ecclesiale. Ora, se effettivamente è accaduto quell’amalgama per cui lui e lei si ritrovano personalmente identificati nella differenza sessuale, allora tale legame costituisce una realtà sacramentale. Ne deriva come sia inevitabile non di rado oggi dover discernere se nel caso sia sorto o meno il legame che si chiama matrimonio, ossia se il consenso anche solo di lui o di lei sia mancato o meno dell’intenzione e della capacità di vivere il reciproco dono di sé. Il Tribunale è lo strumento cui da sempre la Chiesa delega tale compito del giudicare della validità ossia dell’essere sorto o meno, nel caso, la forma di “vita duale” che è il matrimonio. In ogni caso, anche se la Chiesa venisse a delegare tale giudizio ad altri soggetti, si tratterebbe sempre di un giudizio di merito. Per quanto detto non potrà, ultimamente, essere la coscienza a decidere di un “bene” non individuale o di coppia. Francesco lo ha ribadito, tramite la Dottrina della Fede, lo scorso ottobre. Infine si consideri che l’esistenza del fedele ha spessore sacramentale in quanto vita ecclesiale. Si è abituati a pensare ai sette sacramenti tra cui il matrimonio, ma la Chiesa è madre, è il grembo dei sacramenti e la comunità è l’ambito per poterne trarre frutto. E dall’abbraccio della Comunione ecclesiale, in cui si entra “gratis” col battesimo, non si è tagliati via da nessun peccato così come la comunione eucaristica non è un premio meritato dai buoni…
… allora si incontra una questione non solo disciplinare ma dottrinale?
Certamente va ripensata la prassi del Tribunale, sia in termini di tempi, sia in quanto al maturare una lettura più vicina al vero. Benedetto XVI ha auspicato una interpretazione “vivente” della norma. Ma il matrimonio resta un tema di natura dottrinale e chiede una ricomprensione in nome della logica della fede. Dalla “ragione allargata” va rilanciata la questione matrimoniale in se stessa. È evidente oggi come sia andato in crisi il matrimonio tout court, anche quello in forma civile, non solo il matrimonio dei fedeli. Ma è chiaro che nei suoi termini ultimi circa la disciplina dei sacramenti (il legame tra la confessione e l’Eucarestia o l’accedere alla Comunione eucaristica) non ha spazio la distinzione tra la dottrina e la disciplina. «Fede, culto ed ethos si compenetrano a vicenda come un’unica realtà» ricorda Benedetto XVI nella sua prima Enciclica.
Ma c’è confusione anche tra i cardinali.
Condivido il giudizio di persone più autorevoli di me, ossia che sorprendentemente accade che pure tra gli ecclesiastici non sia stato assimilato il Magistero post-Vaticano II. Da Paolo VI in poi, in primis con Giovanni Paolo II, ed oggi il pensiero della Chiesa circa l’umano e specificamente il tema dell’amore è stato rivisitato e di fatto rigenerato in termini di una preziosa fenomenologia grazie ad una dignitosa chiave antropologica. Nella storia della Chiesa forse come mai prima il Magistero – sopravanzando la teologia – aveva sospinto a nuova responsabilità chi ha il compito di educare il popolo cristiano.
E perché allora oggi su tanti matrimoni cattolici c’è la data di scadenza?
Direi per due ragioni di fondo convergenti tra loro. Al successo del pensiero “umanistico secolare” – che riduce il soggetto alle sue reazioni emozionali ed il matrimonio alla “questione coppia” così da ricondurre l’amore a pura dimensione di questo mondo – si è alleata, purtroppo, una riduzione della fede quale conoscenza. Quanti ad esempio, cattolici professionalmente dediti alle “scienze di secondo grado” (psicologi e non solo) non sono conniventi col ritenere di “guarire” in forza di un’analisi che prescinde dall’antropologia uni-dimensionale. Così la fede è vuota, tutto è ricondotto a un generico senso religioso e di fatto il soggetto alla sua dimensione socio-sessuale. Quasi lo sposarsi e il fare famiglia fosse la ragione adeguata e sufficiente a dar senso alla vita dell’uomo. La vita è vocazione a Cristo cui si è configurati col battesimo ed il matrimonio o il sacerdozio vengono dopo, compiti particolari seppur necessari a dare vita a nuove esistenze consapevoli circa il motivo del loro essere venute al mondo.
Il filosofo Fabrice Hadjadj dice che stiamo vivendo un’eresia dell’amore. Il primato dell’amore è un’invenzione cristiana, ma il diavolo distorce la cosa così: purché sia amore, tutto è legittimo. Cosa mette, o meglio, ri-mette in rapporto la fede cristiana con l’amore uomo-donna?
Francesco afferma che la fede è conoscenza capace di raggiungere «il reale nel suo significato più vero» per cui «l’amore è esperienza di verità… (che) apre i nostri occhi per vedere tutta la realtà». Nell’amore, l’imprevedibile iniziativa del Mistero che si dà nella forma di un incontro, la fede urge quale apertura della ragione dell’uomo in grado di rilevare la modalità personale per rispondervi. Ebbene, riconducendo la fede a morale – ossia a princìpi e valori cui interiormente ispirarsi ossia col confondere spiritualità con spiritualismo –, non si sarà in grado di cogliere il senso dell’incontro amoroso. Lo accennavo all’inizio: si tratta di ritrovare la natura della fede in quanto avvenimento di vita, senza ridurla a ispiratrice di princìpi-valori. È chiaro l’esito della pretesa, di origine non cattolica, di vivere la morale come posta “accanto” alla fede.
Tutto ciò, l’emergenza innanzitutto educativa in seno al matrimonio e alla famiglia, non interroga la pastorale?
Rispetto al matrimonio l’impasse della pastorale sta nella riduzione della “formazione” alla “in-formazione”, nella cura del “gruppo famiglie” che dà per scontata la vita comunitaria. Cristo si fa certezza che sostiene il compito del vivere solo se provoca ad un giudizio diverso sulla realtà. Basti indicare il cuore della pastorale con le parole di Benedetto XVI: «La missione antica e nuova che ci sta innanzi è quella di introdurre gli uomini e le donne del nostro tempo alla relazione con Dio, aiutarli ad aprire la mente e il cuore a quel Dio che li cerca e vuole farsi loro vicino, guidarli a comprendere che compiere la sua volontà non è un limite alla libertà, ma è essere veramente liberi, realizzare il vero bene della vita». L’“emergenza educativa” si affronta curando il formarsi della personalità di fede. Si tratta di far sì che il fedele colga la rilevanza totalizzante di Cristo che in forza dell’appartenere alla comunità viene a riflettersi anche nella vita matrimoniale.
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26 commenti
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sono cattolico credo nei sacramenti ma l’esclusione dei risposati , anche se pentiti, alla comunione mi
confonde. Si dice se non mangiate di questo pane non avrete in voi la vita. allora i risposati non avranno
più la vita, non avranno più Gesù , non potranno più aspirare alla misericordia infinita promessa.Sembra essere l’unico peccato che non può essere perdonato. Purtroppo tale condizione in ogni persona costringe alla rinuncia alla chiesa con la on partecipazione alla Messa e allontanandosi da ogni
attività pastorale. Credo nel matrimonio cristiano ma il rapporto con chi ha vissuto tali drammi andrebbe
aiutato e si dice che è accettato deve esserci però con queste condizioni finisce per allontanarsi se pesiamo poi ai supercristiani che evitano le persone ma non so proprio cosa sia giusto
Qui c’è molta confusione. Il matrimonio cattolico è una libera scelta, che comporta delle conseguenze. Non è una scatola di cioccolatini, per citare Forrest Gump. Chi si sposa sa o DOVREBBE sapere (qui la colpa è di corsi prematrimoniali buonisti, di parroci che non fanno colloqui seri ai nubendi e di fidanzati che non prendono sul serio quel che gli viene detto) che è una promessa di fedeltà indissolubile vita natural durante. Quindi mi sembra fuori luogo parlare, come Valentina ad esempio, di Chiesa crudele (per quanto la stessa Valentina affermi giustamente che se non ci si vuole assumere un impegno del genere non ci si dovrebbe sposare in Chiesa, e quando lo dice ha ragione da vendere!) che questa entità “chiesa” obbliga le persone a fare certe cose o a non poterle fare, che non si può chiedere alle persone di vivere in castità per tutta la vit,. Questa cosa gliel’hanno chiesta eccome, il giorno delle nozze, e queste persone hanno pure detto di sì! E hanno anche promesso a una persona amore e fedeltà INCONDIZIONATE (quindi anche nel caso di tradimento, abbandono, malattia, licenziamento, bancarotta, carcere, reati, suocera insopportabile, cognati invadenti e chi più ne ha più ne metta, sempre ovviamente nel limite del libero consenso: vedi l’intervento sopra sui motivi di nullità).
Ripeto, sono d’accordo con Valentina, non ci si deve sposare in Chiesa, ma perché coerentemente non si vuole compiere una scelta di vita così definitiva. Ma non è la Chiesa che è cattiva, sono le persone che, spesso e volentieri, non sono pienamente coscienti di quello che stanno promettendo nel matrimonio, e la colpa secondo me è anche di una vera preparazione al matrimonio che non c’è.
Invece chi giudica gli altri megere, streghe, stupratori ecc. è una anima buona aperta agli altri e che in fin dei conti esercita solo la sua libertà di insulto vero? Noi credimi non abbiamo intenzione di importi proprio nulla, semmai sei tu che vorresti che tutti seguissero il tuo comportamento.
Sicuramente il divorzio è argomento delicato per le famiglie e la chiesa cattolica;ma si deve considerare l’essenza dell’amore,sicuramente matrimoni che vivono nel tradimento continuo e nell’irresponsabilità,non hanno valore davanti a Dio, anche perchè gli stessi formano un sociale cattivo.Negare l’eucarestia a persone che si sono risposate e riassunto la responsabilità la situazione andrebbe riguardata anche per la misericordia di Dio che ha concesso.
Il peccatore e il malato è quello che Dio ricerca.
Sicuramente esistono persone che si sono separate e divorziate in giovane e età , e sicuramente non possono vivere una vita intera senza eucarestia, oppure obbligarLi a non avere piu’ rapporti di coppia per poter accedere a l’eucarestia.
Di più. In quei casi è perfino nullo, specialmente se lo si è contratto senza riflettere.
Meglio sposarsi solo civilmente. La Chiesa Cattolica è troppo crudele e disumana verso coloro che hanno sofferto per il fallimento di un matrimonio. Non tiene conto neppure della sofferenza di chi non ha voluto divorziare, ma ha subìto il divorzio a causa dell’abbandono da parte del coniuge: anche a queste persone la Chiesa nega il diritto di rifarsi una vita e una famiglia con una persona che possa veramente amarle, pretende invece che restino fedeli a chi nemmeno si ricorda più di loro e magari se la sta spassando con qualcun altro. Ho letto e sentito troppe storie di questo genere, storie di persone che soffrono per una colpa non commessa e nella quale sono ugualmente coinvolte. Per me si tratta di una crudeltà disumana e ingiustificabile. Sono ben felice di non essere cattolica.
ecco, in effetti a questo non avevo pensato. ci sono persone che “subiscono” il divorzio, e che quindi sono costrette ad accettare la fine del proprio matrimonio. Per loro, se sono credenti, l’unica scelta “corretta” sarebbe la castità … è un problema.
Ma sposarsi solo civilmente non è ugualmente contro i dettami del cattolicesimo? Lo dico da perfetto ignorante sia chiaro.
@Nino
Chi subisce il divorzio subisce certamente una disgrazia dolorosa, ma sa anche di avere liberamente promesso di restare fedele anche nel dolore. E’ innegabilmente difficile – e gli stessi vangeli raccontano delle proteste dei discepoli verso Gesù – tuttavia ci sono persone che lo fanno. E pensare che sia così raro e’ sbagliato, anche perché dopo il fallimento di una relazione e’ difficile ricominciare. In ogni caso l’indissolubilità del matrimonio e’ specifica del cattolicesimo, e lo differenzia da tutte le altre religioni. Il matrimonio civile e’ (quasi) come se non esistesse: dico “quasi” perché se una persona sposata civilmente si converte e vuole celebrare il sacramento del matrimonio con una persona diversa dal coniuge attuale, la stessa chiesa chiede (sembra paradossale) che tale persona divorzi civilmente.
Scusa, forse io non ho capito bene, correggimi se sbaglio, ma mi sembra ovvio che la Chiesa chieda alla persona che vorrebbe sposarsi nuovamente con un’altra persona questa volta con rito religioso, che prima deve divorziare, altrimenti il matrimonio non avrebbe effetti civili.
@Filomena
Si ma questo capita anche laddove lo stato non riconosce i matrimoni religiosi, per esempio in Francia.
@Filomena: anche tu sei caduta nella confusione che si fa tra matrimonio (sacramento) e matrimonio (unione civile). Sono due cose diverse. Una coppia può tranquillamente accedere al matrimonio sacramento, in Italia, senza che questo sacramento abbia una valenza civile. Anzi, conosco coppie estremamente credenti che , proprio per dare al matrimonio sacramento il giusto valore “religioso” hanno rifiutato di sposarsi con il rito concordatario, si sono sposate in chiesa e poi sono andate in comune per la cerimonia civile. E’ permesso, ma in genere non si fa per “comodità”.
@Cisco: mi sembra logico che nel momento in cui una coppia decide di sposarsi (sacramento) non abbia vincoli civili se non con se stessa. Una situazione diversa sarebbe illogica. Prendo atto che c’è chi una volta sposato e, non per sua scelta, separato e divorziato, pur di restare fedele alla sua promessa sceglie una vita di completa castità. Tu stesso ammetti che può essere doloroso, ma stiamo parlando di libere scelte.
Una cosa, però , è certa, che chiunque venga qui a proclamarsi fieramente non credente, si presenta in breve come una persona arida, spigolosa, poco malleabile, rigidissima , menefreghista e molto giudicante.
Non ci posso fare niente, quella è l’impressione.
Tutt’altra cosa dal divertimento e dalla mancanza di sofferenza teorizzati e sbandierati : persone molto chiuse in se stesse e freddissime, ferite dalla vita, senza averne piena coscienza.
Ovviamente non mi riferivo a Nino trallallero, ma d’altra parte il topo-nino lo metto tra i gay, o imbevuti di ideologia gay, non tra i cupi atei, semmai tra i superficialotti gay, per cui è tutto uguale, comprare un bambino, metterlo al mondo, venderlo, crescerlo o allevarlo..
Vabbè, si fa per dire, il fatto è che la fauna che popola il sito è talmente curiosa da incuriosirmi !
Alla faccia dei giudicanti atei, e questa tua personalissima impressione cosa sarebbe se non un tuo pesante giudizio?
Il paradosso è che chi si presenta come aperto e curioso e contento, alla vivi e lascia vivere, perché senza lacci e lacciuoli, si rivela gretto e chiuso e cupo all’ennesima potenza, vuole che tutti in riga vivano come dice lui, e guai a chi fiata, alla faccia della libertà .
Cfr l’intervento della cupissima Valentina sopra, una delle tante megere fotocopia che solo a leggerla ti viene da fare gli scongiuri, si fa per dire !
La domanda che mi pongo è: ma perché uno risposato vuole ricevere l’Eucarestia?
Hai ragione, è un desiderio incoerente con le proprie decisioni di vita
Perché anche una stampa “vicina” alla fede come Tempi, distribuisce ignoranza e confusione parlando di “annullamento” del matrimonio (quando invece si tratta di nullità)? Il matrimonio non “si annulla”, si dichiara essere mai realmente esistito per questioni serie che ne impediscono la reale attuazione.
Siete giornalisti, abbiate cura nell’uso delle parole.
Già, si tratta di nullità, ovvero matrimonio mai realmente avvenuto. 3000 richieste l’anno, sarebbe interessante sapere quante di queste vengono accolte
Considerata la generale superficialità con la quale le coppie si accostano a questo sacramento, tremila richieste di annullamento mi paiono pure poche.
Sig. Roncaglia, condivido la misura con cui riprende il giornalista. Il giornalista è, in genere, un onnisciente male informato. La domanda che mi pongo e che pongo pure a lei, è perché occorra un tribunale con tanto di sentenza per dichiarare nullo un matrimonio. E un giuridismo che mal si accorda, credo, con questioni di coscienza.
Certo che ci vuole un tribunale ecclesiastico, perchè bisogna accertarsi che ciò che Dio ha unito l’uomo non separi.
Si vada a leggere le motivazioni per cui si può accedere alla Sacra Rota e vedrà che per esempio l’aver ottenuto il consenso al matrimonio ingannando l’altro rende nullo il matrimonio.
Per esempio aver nascosto di essere sterili, pur sapendolo prima del matrimonio, o aver mentito su altre cose di sè è motivo valido per la dichiarazione di nullità.
Se invece si scopre di essere sterili dopo il matrimonio, questo non è motivo di nullità.
Escludere di accogliere una gravidanza, cioè di avere figli; non consumare il matrimonio … Anche riuscire a dimostrare che in realtà si era in quel periodo talmente immaturi che non si è capito un tubo di quello che si stava facendo può permettere di accedere alla Sacra Rota, certo non ci si può arrampicare sugli specchi….
Se credi in Dio, allora questo è un sacramento e lo prendi sul serio.
Altrimenti è solo saponata da togliere con in risciacquo.
l’unica vera obiezione che io ho, sulla nullità stabilita dalla sacra rota, è la sua valenza ai fini civili. Secondo me sono, e dovrebbero essere considerate, due cose distinte.
l’unico dubbio che ho, invece, è che pare che molto spesso (mi dicono in più del 70% dei casi ma non ho trovato dati ufficiali a supporto di questo valore, quindi non so se è vero) la motivazione che si adduce è la assenza della reale volontà di contrarre il matrimonio, che è a mio avviso la motivazione più soggettiva e più difficile da valutare
“Certo che ci vuole un tribunale ecclesiastico, perchè bisogna accertarsi che ciò che Dio ha unito l’uomo non separi”.
Sono stato frainteso. Conosco i motivi di nullità del matrimonio. Grazie comunque di avermeli ricordati. Se quei motivi sono ben presenti alla mia coscienza, che bisogno ho di una sentenza? Anzi: se ottengo una sentenza in modo fraudolento, alterando fatti e verità, aggiungo peccato a peccato. Tutto qui. Credo comunque che la mia domanda, mi scusi, resti intatta.
Domanda più che legittima. Il matrimonio è un atto pubblico, non è una faccenda intima della coscienza, per questo c’è un iter che comprende attestazione di frequenza alla catechesi, pubblicazioni in parrocchia e in comune, eventuali nulla osta e testimoni che firmano un documento pubblico. Quindi, di conseguenza, anche il riconoscimento della sua nullità deve essere una cosa pubblica e oggettiva, non contestabile da alcuno. Così come, se si vuole il risarcimento per un danno all’auto (primo esempio che viene a mente), ci vuole il perito e i rilievi della polizia stradale, non basta che io sia convinto che Tizio mi abbia fatto un danno da 5000 euro. Sulla sentenza fraudolenta: Lei ha ragione sacrosanta. In quel caso il fraudolento se la vedrà col Buon Dio dall’altra parte.