«Chi si avventura nel regno dell’eutanasia, si ritrova su un piano inclinato che conduce inevitabilmente all’uccisione di persone malate e indifese». Si possono porre limiti e paletti all’esercizio del diritto a morire, ma tutti sono destinati a «essere travalicati». E tutto questo è un bene per il professor Bert Keizer, filosofo e geriatra olandese, tra i grandi vecchi e sostenitori dell’eutanasia nei Paesi Bassi. Il medico, che ha compiuto 73 anni, lavora per quella che una volta si chiamava Clinica del fine vita e che ora è stata ribattezzata “Expertisecentrum Euthanasie”.
NIENTE PUÒ FERMARE L’EUTANASIA
All’interno di un articolo scritto per il Giornale dell’associazione medica olandese, Ntgv, Keizer spiega che niente può fermare il progresso in ambito bioetico. La stessa cosa, scrive, è avvenuta per l’aborto:
«Ogni limite che ci diamo può essere valicato. Un tempo l’aborto non era permesso, poi solo in rare circostanze, poi fino alla dodicesima settimana e ora anche fino alla ventesima. Quell'”anche” dice tutto. Qualcosa di simile sta avvenendo ora nel campo della ricerca sugli embrioni, dove stiamo per abbandonare la fase del “mai”».
SEMPRE UN PO’ PIÙ IN LÀ
È quello che sta avvenendo anche per l’eutanasia, che in Olanda è stata responsabile della morte di almeno 6.361 persone nel 2019, il 4,2 per cento di tutti i decessi nel paese. Una persona su 25, in sostanza, muore con l’eutanasia. Scrive ancora il dottor Keizer:
«Ogni volta che si traccia una linea, viene spinta un po’ più in là. Abbiamo cominciato con i malati terminali, poi con i malati cronici che provavano sofferenze insopportabili. Successivamente, è toccato alle persone affette da un principio di demenza, ai pazienti psichiatrici, alle persone con demenza avanzata, agli anziani con problemi dovuti all’età avanzata e infine agli anziani che, sebbene non siano affetti da malattie invalidanti, sentono che la loro vita non ha più senso».
UN PIANO INCLINATO “POSITIVO”
Questo processo può essere a ragione definito «piano inclinato», purché non si dia alla terminologia in questione un’accezione negativa:
«In retrospettiva, è vero che adesso pratichiamo l’eutanasia a persone alle quali abbiamo detto, con un certo sdegno, 20 anni fa: “Suvvia, questo è davvero impossibile”. E guardando al futuro, non c’è motivo di credere che questo processo si fermerà davanti a persone affette da demenza che rende incapaci [di intendere e volere]. E per quanto riguarda un prigioniero condannato all’ergastolo che voglia disperatamente morire? O bambini doppiamente disabili che soffrono in modo insopportabile e senza speranza, secondo i genitori, a causa di autolesionismo? Non credo che siamo su un piano inclinato, nel senso che andiamo verso il disastro».
Una volta approvata l’eutanasia dunque, a detta dei più fervidi sostenitori della pratica, non c’è modo di tornare indietro. Anzi, quello che viene concesso a un numero limitato di persone non può che essere reso disponibile nel tempo a una platea sempre più ampia. Il diritto a morire per mano dello Stato, infatti, o esiste o non esiste. Questo è uno degli argomenti cardine usato da chi si oppone all’iniezione letale per contrastare le piccole aperture alla “buona morte” che in ogni paese vengono proposte in principio. Anche il dottor Keizer è d’accordo, con la differenza che per lui, e tanti altri, più aumenta il numero delle vittime meglio è.