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Home Economia

L’Europa tra crescita e incertezze. Quadrio Curzio: «Italia e Francia possono fare la differenza»

Intervista all'economista della Cattolica sulle decisioni di Eurogruppo ed Ecofin. «Inflazione pericolosa e preoccupante, dipende da fattori su cui l'Ue non è dotata di capacità d’intervento»

Rodolfo Casadei
23/01/2022 - 6:30
Economia
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Il presidente francese, Emmanuel Macron, e il premier italiano, Mario Draghi (foto Ansa)

Il 17 e il 18 gennaio scorsi si sono incontrati a Bruxelles in successione prima l’Eurogruppo, che riunisce i ministri delle Finanze dei 19 paesi che hanno adottato l’euro, ed è presieduto dal ministro delle Finanze irlandese Paschal Donohoe, e l’indomani l’Ecofin, il Consiglio Economia e Finanza che riunisce i ministri dell’Economia e delle Finanze di tutti e 28 i paesi che fanno parte della Ue. Sugli argomenti trattati da questi due vertici abbiamo intervistato Alberto Quadrio Curzio, economista e professore emerito di Economia politica dell’Università Cattolica di Milano.

Professore, durante la conferenza stampa al termine dell’Ecofin il vice presidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, ha detto: «Ci aspettiamo che la crescita dell’Ue continuerà quest’anno e il prossimo. Quindi ci sono le condizioni per una progressiva riduzione delle politiche di sostegno». Cosa comporta questo per l’Italia?

L’Italia è probabilmente il paese della Ue che ha tratto i maggiori benefici dalla politica monetaria della Bce, che ci ha permesso di attraversare il periodo pandemico facendo ricorso a un forte deficit di spesa pubblica senza per questo incorrere nelle forche caudine dei mercati internazionali. Il futuro cambio di rotta della Bce implicherà per l’Italia l’adozione di una disciplina di bilancio coerente con gli impegni assunti in ambito europeo e relativi ai sottostanti principi ispiratori tanto di #NextGenerationEU che del EU Green Deal. Questo, quindi, dovrebbe tradursi in un impegno sostanziale negli investimenti pubblici in conto capitale nei settori della transizione digitale ed energetica, che almeno in linea teorica non dovrebbero rientrare nel computo dei futuri parametri del patto di stabilità la cui ridefinizione è in discussione.

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All’Ecofin si è detto che l’inflazione, che attualmente sta al 5 per cento su base annua nell’Eurozona, non si fermerà prima del secondo semestre del 2022, e il ministro francese Le Maire si è mostrato ancora più pessimista, anche in considerazione dell’andamento dei prezzi dell’energia. Quanto è pericolosa l’inflazione per l’economia e per i risparmiatori europei?

Il dato da cui partire, forse, potrebbe essere diverso, e cioè che le ragioni di questa inflazione sono strutturali e non dovute a oscillazioni dei tassi di cambio o a manovre monetarie delle banche centrali. Del resto, la tendenza inflattiva si poteva registrare già prima che la Fed (la Banca centrale degli Stati Uniti – ndr) modificasse i suoi orientamenti. Se questa affermazione è vera, fa bene Le Maire ad adottare prospettive più pessimiste, perché vorrebbe dire che il futuro dell’Eurozona sarà pesantemente condizionato da fattori legati all’economia reale (come catene di approvvigionamento, capacità produttiva in determinati settori strategici, reperimento di materie prime), un ambito che a livello Ue non è governato, fatta eccezione per una non ottimale politica della concorrenza che in certi casi ne ha anzi ostacolato lo sviluppo. L’inflazione è sempre pericolosa se non è governata, a partire dall’effetto erosivo progressivo sul potere d’acquisto e sui costi di produzione. Adesso c’è ragione di ritenere che possa essere anche più preoccupante dal momento che, come accennato prima, dipende da fattori su cui la Ue non è dotata di capacità d’intervento, ovvero l’approvvigionamento unificato soprattutto di materie prime e di energia.

La Commissione Ue ha addirittura indetto una consultazione pubblica sulla riforma del Patto di Stabilità e crescita, di cui all’Eurogruppo e all’Ecofin si è parlato in termini decisamente interlocutori. Che riforma bisogna augurarsi?

Certamente bisogna augurarsi che vada nella direzione prefigurata da Draghi e Macron in una intervista congiunta al Financial Times qualche settimana fa. Lì, i due Presidenti auspicano, seppur col dovuto garbo istituzionale e quindi privi di riferimenti eccessivi, una riforma che vada nella direzione di distinguere il debito “buono” da quello “cattivo” e, quindi, di un nuovo Patto di Stabilità che tratti la spesa pubblica in conto capitale degli Stati membri in funzione della qualità di quella spesa.

Il nuovo ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner ha detto: «Non sono un falco che mette paura; sono un falco amichevole aperto alla discussione». Che politica seguirà il nuovo governo tedesco? La divisione fra paesi frugali e paesi mediterranei proseguirà?

In questa fase post-merkeliana il governo tedesco sembra orientato a ridimensionare il ruolo di traino europeo svolto dalla Germania fino a questo momento, rivolgendo l’attenzione alla definizione delle sue politiche di investimento per la transizione digitale ed energetica. Ciò detto, è plausibile attendersi che nei prossimi cinque anni la tendenza tedesca sarà quella di occuparsi, più che mai, del proprio paese. Sul piano della negoziazione del nuovo Patto è presto per fare previsioni. È certo invece che senza la Cancelliera Merkel tutto diventa più complicato perché la credibilità interna e internazionale della stessa consentiva margini di manovra grandi sia alla Germania che alla Ue.

Quanto ai Paesi frugali, molto dipenderà dall’orientamento futuro della Germania, perché i “frugali” sono un’appendice di quel paese. Non va però dimenticato che l’Italia e la Francia, con la Germania, determinano più della metà del Pil dell’Eurozona. Italia e Francia assieme pesano più della Germania specie in politica estera. Il trattato del Quirinale tra Francia e Italia può fare la differenza su molte questioni. Molto, quindi, dipenderà da quanto Italia e Francia sapranno esprimere in termini di un comune orientamento a livello europeo.

Perché l’Italia è uno dei pochi paesi che non ha ratificato la riforma del Mes?

Anche la Francia non l’ha fatto. Per una serie di ragioni che afferiscono a molteplici piani: finanziario, legale, politico. Il Mes è certamente uno strumento potente, dotato di una importante capitalizzazione che lo renderebbe in grado di operare ad alti livelli. Non a caso è stato ipotizzato che potrebbe costituire il nuovo nucleo operativo di una Agenzia del Debito Europea. Il governo italiano ha approvato la riforma, che tuttavia non è stata ratificata dal Parlamento. Le perplessità che portano a una valutazione negativa riguardano sostanzialmente il fatto che una volta attivata la fase di assistenza, le nuove regole potrebbero mettere un paese assistito nelle condizioni di dovere, di fatto, avviare una procedura di ristrutturazione del debito, con tutte le conseguenze note e meno note. A mio avviso, ratifica o meno, il Mes va cambiato per utilizzarlo meglio.

Tags: inflazionemario draghiMespatto di stabilitàPnrrUnione Europea
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