La schizofrenia geopolitica di Erdogan
Che a causa della crisi economica e finanziaria che infuria in Turchia le cose per Erdogan si siano messe male per quanto riguarda il consenso interno e le possibilità di restare in sella dopo il 2023, si capisce da una cosa: i suoi frenetici e apparentemente schizofrenici tentativi di riallacciare i rapporti con gli stati vicini coi quali è entrato in conflitto e di avviare una fase di distensione regionale.
Una Turchia senza lira
Negli ultimi due mesi il presidente turco ha offerto il ramo d’ulivo ad Armenia, Egitto, Emirati Arabi Uniti (Eau), Israele e Libia di Haftar, paesi e forze con le quali Ankara è entrata in rotta di collisione in forza della politica neo-ottomana dei governi dell’Akp e del suo presidente. Fino ad oggi solo l’Armenia e in parte gli Emirati hanno risposto positivamente alle profferte del rais.
La situazione economico-finanziaria della Turchia si fa più critica mese dopo mese. Il miracolo economico delle politiche espansive di Erdogan iniziate nel 2002 quando il pil pro capite era di soli 3.688 dollari, è finito nel 2013 quando lo stesso ha toccato i 12.614 dollari; dopo di allora la flessione è stata costante fino a scendere a 8.538 dollari all’inizio del 2021. Nel frattempo l’inflazione si è impennata toccando alla fine del dicembre 2021 il livello più alto da quando l’Akp è salito al potere nel 2002: 36 per cento. Secondo analisti della banca HSBC arriverà al 42 per cento fra aprile e maggio. Nel solo 2021 la lira turca ha perso il 45 per cento del suo valore rispetto al dollaro.
L’accorato appello agli Emirati
In politica estera Erdogan ha lanciato il suo appello più accorato il 29 novembre scorso, cinque giorni dopo la visita del principe ereditario di Abu Dhabi Mohammed bin Zayed ad Ankara che aveva segnalato la ripresa di relazioni costruttive fra Eau e Turchia: in quell’occasione erano stati annunciati impegni di investimento per 10 miliardi di dollari, in parte già realizzati attraverso l’acquisizione della compagnia turca di servizi finanziari e di home banking Payguru da parte dell’emiratina Tpay. Sull’onda del riavvicinamento con gli Emirati, che in Libia e nel Corno d’Africa competono con la Turchia per l’egemonia regionale, Erdogan ha dichiarato che le relazioni sarebbero state normalizzate anche con Israele e l’Egitto, e si sarebbe tornati allo scambio di ambasciatori.
Il Cairo e Ankara infatti non hanno più relazioni diplomatiche dal 2013, da quando cioè il presidente Mohamed Morsi, espressione della Fratellanza Musulmana, è stato deposto e imprigionato a seguito del golpe militare che ha portato al potere il colonnello Abdel Fattah al-Sisi: da quel momento la Turchia ha ritirato il suo ambasciatore e i Fratelli Musulmani hanno trovato rifugio sul Bosforo. Tuttavia nel 2021, dopo che il Cairo ha stretto rapporti politici e militari più intensi con la Grecia e con Cipro, Ankara ha preso a corteggiare il governo di al-Sisi, che ha accettato di ospitare colloqui per la normalizzazione dei rapporti ai quali ha partecipato il ministro degli Esteri turco Cavosoglu fra agosto e settembre. In dicembre l’Egitto ha partecipato con il suo viceministro degli Esteri per gli affari africani al terzo summit del Partenariato Turchia-Africa, al quale hanno preso parte i capi di Stato di 16 paesi africani riuniti a Istanbul.
Alla “conquista” degli armeni
Le relazioni diplomatiche fra Gerusalemme e Ankara invece sono interrotte dal maggio 2018, data in cui le proteste palestinesi contro l’insediamento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme si erano concluse con morti e feriti dopo lanci di razzi da Gaza e bombardamenti israeliani. In un crescendo di accuse e ritorsioni, gli ambasciatori erano stati ritirati. Nel dicembre 2020 la Turchia ha nominato un nuovo ambasciatore in Israele, che però non si è mai insediato anche perché durante la crisi israelo-palestinese della primavera 2021 Ankara non ha fatto mancare il suo sostegno retorico ai palestinesi, chiedendo che Israele fosse incriminato presso la Corte penale internazionale per i bombardamenti su Gaza. Invece poco dopo l’elezione del nuovo presidente israeliano Isaac Herzog, avvenuta in giugno, Erdogan ha chiesto e ottenuto una telefonata di 14 minuti col nuovo capo di Stato il 13 luglio scorso.
Il paese con cui apparentemente la Turchia ha fatto più progressi è l’Armenia, con la quale le relazioni diplomatiche sono interrotte e i confini di terra sono sigillati dal 1993, data della guerra del Nagorno Karabakh che si concluse con il controllo armeno sul territorio conteso con l’Azerbaigian. Dopo gli scontri del settembre-novembre 2020, che hanno permesso all’Azerbaigian di occupare vaste aree dei territori contesi grazie al sostegno militare della Turchia, Yerevan aveva deliberato sanzioni commerciali contro alcuni prodotti turchi. Tali sanzioni sono state tolte il 1° gennaio di quest’anno, dopo che a metà dicembre la Turchia ha nominato il suo diplomatico Serdar Kilic, già ambasciatore negli Usa, come inviato speciale per la normalizzazione dei rapporti con l’Armenia, e quest’ultima ha risposto nominando pochi giorni dopo Ruben Rubinyan, vice ministro degli Affari esteri, come omologo di Kilic.
Erdogan e le «vitali relazioni con Israele»
La Turchia ha bisogno di normalizzare i rapporti con l’Armenia per attivare un corridoio commerciale di terra verso il petrolifero e alleato Azerbaigian e da lì verso la Russia, che le permetterebbe di estendere la sua area di influenza politico-economica a tutto il Caucaso meridionale; l’Armenia ha bisogno, secondo l’attuale presidente Nikol Pashinyan, di sbloccare la frontiera con la Turchia per avere maggior sbocchi commerciali ed aprirsi a maggiori rapporti economici col resto del mondo. Il riavvicinamento fra Ankara e Yerevan è incoraggiato dagli Usa, dall’Unione Europea e dalla stessa Russia, che il 10 dicembre scorso ha ospitato un summit multilaterale fra Armenia, Azerbaigian, Turchia, Iran e Russia a livello di vice ministri degli Esteri.
Più complicato appare il riavvicinamento a Israele, che chiede a Erdogan di interrompere completamente i suoi rapporti con Hamas, che in Turchia gode di sostegni di molti di tipi. In un incontro senza precedenti coi rappresentanti della comunità ebraica di Turchia e dell’Alleanza dei Rabbini negli Stati Islamici il 22 dicembre scorso Erdogan ha dichiarato: «Il più grande desiderio della Turchia è un Medio Oriente dove le società diverse per religione, lingua e origine etnica vivono insieme in pace. Un’attitudine sincera e costruttiva da parte di Israele nel contesto di sforzi per la pace contribuirà al processo di normalizzazione. Le relazioni fra Turchia e Israele sono vitali per la stabilità e la sicurezza nella nostra regione». Militari delle forze armate turche si trovano oggi in Azerbaigian, Siria, Iraq, Cipro e Libia.
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