
Erdogan bombarda la Siria: «Ecco perché i turchi non vogliono e non faranno guerra»
«Il 65 per cento dei turchi è contrario all’intervento in Siria», ma la tensione al confine tra i due paesi non è mai stata così alta da quando è cominciata la guerra civile nel paese governato dal regime di Assad. Un colpo di mortaio partito dalla Siria ha ucciso 5 persone il 3 ottobre nel villaggio di Akcakar, in Turchia. La risposta turca non si è fatta attendere tra bombardamenti e richiami alla Nato. «Ma è difficile che Erdogan vada più in là» spiega a tempi.it Marta Ottaviani, giornalista che vive in Turchia.
Che cosa è successo alla frontiera turco-siriana? L’obice che ha colpito il villaggio turco è stato sparato dalle forze governative di Assad?
Tutto farebbe pensare a un incidente finito nel peggiore dei modi. Alcuni colpi di mortaio esplosi in territorio siriano hanno raggiungo il territorio turco, abbattendosi su una casa privata. Il bilancio è stato di 5 morti di cui quattro bambini. Indubbiamente una grande tragedia, ma molto probabilmente si trattava di un attacco destinato a rimanere sul suolo siriano. Tuttavia è ancora presto per dire chi li abbia esplosi. La zona del nord della Siria in questo momento è un territorio conteso fra l’esercito ribelle e quello di Bashar al-Assad. Ma non dobbiamo dimenticare la presenza massiccia anche dei curdi, che controllano alcune città nella zona. Damasco ha fatto sapere di aver avviato un’indagine per fare luce sull’accaduto e si è scusata, vediamo a che risultati porterà. Di massima, però, il mortaio è un’arma molto “povera”, negli eserciti regolari si usano altri mezzi e dev’essere maneggiata da professionisti, altrimenti il margine di errore è quanto mai elevato.
La Grande assemblea di Ankara ha dato il via libera a operazioni militari oltre il confine nazionale turco. Si prevedono interventi militari a breve?
Non credo personalmente che vedremo interventi militari a breve, a meno che, ovviamente, non ci siano altri attacchi da parte siriana. L’approvazione da parte del Parlamento è un atto dovuto. Dopo la rappresaglia del 3 ottobre, l’esercito per muoversi fuori dal territorio nazionale, anche solo per ragioni difensive, deve avere un mandato politico, che dura un anno. È la stessa procedura che la Turchia adotta con il Nord Iraq. Tutti gli anni l’esercito viene autorizzato a intervenire oltre confine per rintuzzare gli attacchi del Pkk che vengono da quella regione.
È stato tirato in ballo l’articolo 4 dello statuto Nato. Gli scontri tra Siria e Turchia sono il preludio di un intervento Nato in Siria?
L’articolo 4 della Carta Atlantica di per sé prevede solo consultazioni nel caso in cui uno dei Paesi membri dell’Alleanza veda messi in pericolo i suoi confini. All’inizio di questa crisi si era, molto brevemente, parlato di Articolo 5, ben più sostanziale, perché riguarda l’ipotesi di reazione a un attacco, ma questa ipotesi è stata subito abbandonata. I colpi di mortaio che hanno colpito il suolo turco infatti sono una grande tragedia ma non possono essere interpretati come un atto deliberatamente e strutturalmente offensivo, tale da richiedere l’adozione dell’articolo 5.
Qual è lo stato d’animo dell’opinione pubblica turca?
L’opinione pubblica è radicalmente contraria a qualsiasi tipo di intervento armato e da mesi critica il governo islamico-moderato guidato da Recep Tayyip Erdogan per come ha gestito la crisi siriana. I contrari all’intervento sono circa il 63-65%. Sono molte le motivazioni che determinano questo tipo di atteggiamento. I più contrari sono le popolazioni che vivono nelle zone limitrofe al confine siriano, lungo ben 900 chilometri. In molti poi temono un’ulteriore destabilizzazione causata dall’aumento dell’attività del Pkk che, con una frontiera più debole e una situazione più confusa, sta approfittando anche del territorio siriano, e non più solo di quello nord-iracheno per sferrare i suoi attacchi.
Erdogan vuole appena mantenere in sicurezza i confini o ha mire espansionistiche ed egemoniche nella regione?
Credo che il premier, sicuramente suo malgrado, abbia almeno momentaneamente abbandonato le mire egemoniche sulla regione che nutriva qualche mese fa. Questo essenzialmente per 3 motivi. Il primo è che la politica estera da lui intrapresa non ha portato i risultati sperati e, al contrario, ora la Turchia si trova nell’occhio di un ciclone che mette a repentaglio la sua sicurezza interna. Il secondo è che nella regione c’è l’Egitto di Morsi e l’Arabia Saudita, che non intendono cedere ad Ankara alcuno scettro. Terzo, il premier sta iniziando la sua corsa verso la presidenza della Repubblica, obiettivo che gli interessa più di qualsiasi altra cosa. E al popolo turco, più che il prestigio internazionale, sta a cuore la sicurezza e la prosperità interna. In questo senso, una posizione troppo esposta nella questione siriana rischia di diventare un boomerang per il primo ministro di Ankara.
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“Damasco ha fatto sapere di aver avviato un’indagine per fare luce sull’accaduto e si è scusata, vediamo a che risultati porterà. ”
Qual’era la gittata massima del mortaio che ha sparato?
Erano le unità dell’Esercito Siriano in zona in grado di colpire, con quell’arma, la cittadina di Akcakar?
Perché non erano sul confine? C’erano dei contras armati ad impedire loro di stare sul confine?
Se sul confine, dal lato siriano, vi erano i contras, come si potrebbe negare che siano stati loro a spararlo?
E magari, pure, con la condiscendenza del Governo Erdogan, che smania di trovare un casus belli per invadere militarmente la Siria, visto che senza tale intervento diretto i contras devono chiudere la partita senza aver cavato un ragno dal buco?