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L’enciclica sulla missione di Giovanni Paolo II spiegata dal missionario che l’ha scritta. Tre volte

Il 3 ottobre 1989 mi dice a pranzo: «Scrivimi tu l’enciclica. Tu sei missionario e giornalista e io voglio un documento scritto in modo giornalistico, per i giovani e le giovani Chiese»

Piero Gheddo
13/10/2017 - 14:18
Chiesa
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Quello che segue è il quarto e ultimo di una serie di articoli sulla “Missione alle Genti”, cioè ai popoli non cristiani, che sono i tre quarti dell’umanità. La metà dei quali (circa due miliardi) non hanno ancora ricevuto il primo annunzio della nascita di Gesù Cristo, Salvatore dell’uomo e dell’umanità. Questi Blog preparano il “Festival della Missione”, che avrà luogo a Brescia dal 12 al 15 ottobre 2017. (P. Gheddo)

Leggi anche la prima, la seconda e la terza puntata della serie: “Così al Concilio Vaticano II lo Spirito Santo salvò la missione Ad Gentes” | “Il Sessantotto e la crisi dell’ideale missionario dell’Occidente dopo il Vaticano II” | “I viaggi missionari di Giovanni Paolo II”

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* * *

Il 7 dicembre 1990, 25 anni dopo la fine del Concilio Vaticano II, San Giovanni Paolo II pubblica l’enciclica Redemptoris Missio, per confermare e aggiornare il decreto conciliare Ad Gentes. Molti nella curia romana erano contrari ad una enciclica, bastava una “lettera apostolica”. Chi l’ha voluta fortemente, d’accordo col Papa, è stato il cardinale Joseph Tomko, prefetto di Propaganda Fide, che ha coordinato il lavoro di preparazione.

Sono stato chiamato dal Papa a scrivere l’enciclica, secondo le sue indicazioni. Il 3 ottobre 1989 mi dice a pranzo: «Scrivimi tu l’enciclica. Tu sei missionario e giornalista e io voglio un documento scritto in modo giornalistico, per i giovani e le giovani Chiese». Dall’ottobre 1989 al luglio 1990 l’ho scritta e riscritta tre volte, come voleva il Papa, che aveva i suoi consulenti, il primo dei quali era il cardinale Joseph Tomko e poi padre Marcello Zago, allora superiore generale degli O.M.I. (e ne ho scritto la biografia edita dagli O.M.I. nel 2006), che mi aveva ospitato in tre periodi nella sua casa generalizia. Ha contribuito alla stesura del testo padre Domenico Colombo del Pime, missiologo ed esperto di ecumenismo e di religioni non cristiane.

L’unica enciclica su un documento del Vaticano II
Cosa dice la Redemptoris Missio? Mi limito ad enucleare i punti più attuali e decisivi del testo papale, per rilanciare nella Chiesa la Missione alle Genti:

«In questa nuova primavera del cristianesimo non si può nascondere una tendenza negativa che questo documento vuol contribuire a superare: la missione specifica ad gentes sembra in fase di rallentamento, non certo in linea con le indicazioni del Concilio e del magistero successivo. Difficoltà interne ed esterne hanno indebolito lo slancio missionario della Chiesa verso i non cristiani ed è un fatto questo che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo» (n. 2).

«La Chiesa è missionaria per natura sua, poiché il mandato di Cristo non è qualcosa di contingente ed esteriore, ma raggiunge il cuore stesso della Chiesa. Ne deriva che tutta la Chiesa e ciascuna Chiesa (particolare) è inviata alle genti» (n. 62).

La missione viene dalle due dottrine che caratterizzano il cristianesimo: la Trinità e l’Incarnazione di Gesù Cristo. Dio dona se stesso a tutti gli uomini, attraverso Cristo e la Chiesa da lui fondata. La lettura dei primi tre capitoli della Redemptoris Missio serve anche al semplice fedele per tornare alle fonti della fede e capire a fondo perché la Chiesa è missionaria.

Ecco in estrema sintesi:

I punti fondamentali della Redemptoris Missio
1) Gesù Cristo unico Salvatore. Risponde a quei teologi che in vari modi esprimono l’idea che Gesù è una delle vie che conducono a Dio. La missione comunica alle genti la salvezza in Cristo, la fede e l’amore a Cristo, unico Salvatore dell’uomo: «Cristo è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini… Gli uomini quindi non possono entrare in comunione con Dio se non per mezzo di Cristo, sotto l’azione dello Spirito» (n. 5). L’enciclica riafferma la centralità di Cristo nella missione alle genti, per condannare chi sostiene che esistono molte vie parallele e complementari per andare a Dio, secondo la concezione indù, che paragona le religioni a fiumi che confluiscono tutti nel mare dell’Assoluto, teoria assunta in qualche modo anche da una tendenza teologica del nostro tempo.

2) Il Regno di Dio. Gesù è venuto ad annunziare il Regno di Dio, che dà il senso messianico del cristianesimo, perché si realizzerà pienamente al di là della storia, nella vita eterna del Paradiso. È un Regno escatologico, che «esiste già e non ancora». La missione della Chiesa annunzia il Regno di Dio e lavora per la sua progressiva realizzazione nei singoli uomini, nella vita dei popoli e nella società umana. L’enciclica nota un modo errato di concepire il Regno: separare il Regno da Cristo e dalla Chiesa, come se fosse una realtà diversa. Quindi si parla dei “valori del Regno” (amore, giustizia, pace, fraternità) che sono accettati da tutti, ma Cristo fa problema, è la “pietra d’inciampo” che fa difficoltà. L’enciclica dice con chiarezza: «Se si distacca il Regno da Gesù, non si ha più il Regno di Dio da lui rivelato, ma si finisce per distorcere il senso del Regno che rischia di trasformarsi in un obiettivo puramente umano e ideologico» (n. 17). I contenuti del Regno sono soprattutto spirituali: fede, vita nuova in Cristo, conversione, amore, perdono, eccetera. Questi valori spirituali, con la grazia di Dio, a poco a poco trasformano le società umane: sono la vera rivoluzione portata da Cristo.

3) Lo Spirito Santo protagonista della missione. Questa verità, che è anche una novità teologica, dà alla missione una dimensione contemplativa. Se è lo Spirito che fa la missione, il missionario deve pregare molto per poter essere obbediente alla voce dello Spirito Santo. La missione non è del missionario, ma dello Spirito che guida e illumina la Chiesa; quindi è fondamentale obbedire alla Chiesa, non costruire Chiese e gruppi paralleli. E poi, lo Spirito Santo dà una dimensione di ottimismo e di speranza. Il missionario non deve mai scoraggiarsi perché spesso non vede i frutti del suo lavoro, ma se ha seminato bene lo Spirito porterà a compimento la sua opera e farà fruttificare i suoi sacrifici, il suo martirio.

4) La Redemptoris Missio dedica il capitolo IV per spiegare che «la Missione alle Genti conserva tutto il suo valore» (n. 33) ed è «ancora agli inizi» (n. 40). Tre criteri per giudicare cos’è e dov’è la Missione alle Genti:

a) Criterio territoriale-geografico, cioè i paesi e i popoli non cristiani, un criterio che «anche se non molto preciso e sempre provvisorio, vale sempre» (n. 37). Soprattutto il Papa mette tre volte l’accento sulla missione ad gentes in Asia, dove i cristiani, tutti assieme, raggiungono a mala pena il 3 per cento degli asiatici (il 62 per cento dell’umanità!).

b) Fenomeni sociali nuovi da evangelizzare: le metropoli, gli emigrati, i rifugiati politici, gli extracomunitari, i giovani che sono la maggioranza della popolazione nei paesi non cristiani.

c) Gli “aeropaghi” moderni, mass media, cultura e scienza, enti ed organismi internazionali (Onu), pace e sviluppo, diritti dell’uomo e della donna, giustizia sociale, i giovani, la cultura moderna creata dalla comunicazione, nuove tecniche e nuovi modi di comunicare un messaggio, eccetera. Campi immensi!

5) Per la prima volta la Redemptoris Missio parla in modo articolato del dialogo con le altre religioni, mentre l’Ad Gentes vi accenna in modo generico e la Evangelii Nuntiandi non nomina nemmeno. L’enciclica dedica tre paragrafi a questo tema (nn. 55-57) e altri tre alle culture dei popoli e a come incarnare il Vangelo in esse (52-54). Giovanni Paolo II ha inventato gli incontri con le altre religioni a partire da quello di Assisi nel 1986. E prima ancora, nel febbraio 1986, visitando l’India, si inginocchiò dinanzi alla tomba e mausoleo di Gandhi e vi rimase per 4-5 minuti e poi affermò: «Gandhi mi ha insegnato molto».

6) Le vie della missione, in che modo si esercita oggi la missione: formazione della Chiesa locale, inculturazione, dialogo interreligioso, promozione umana e dello sviluppo dei popoli. L’enciclica lega strettamente la missione di annunziare Cristo all’umanizzazione. Nei numeri 58 e 59 Giovanni Paolo II arricchisce questo concetto, citando la Populorum Progressio di Paolo VI (1967): con la missione alle genti la Chiesa aiuta i popoli a svilupparsi. Certo anche con gli aiuti economici e materiali, con le opere sanitarie e di educazione, ma soprattutto annunziando Cristo, perché «lo sviluppo dell’uomo viene da Dio e dal modello di Gesù uomo-Dio e deve portare a Dio. Ecco perché tra annunzio evangelico e promozione dell’uomo c’è una stretta connessione» (n. 59). E aggiunge che «il contributo della Chiesa e della sua opera evangelizzatrice per lo sviluppo dei popoli riguarda non soltanto il sud del mondo, per combatterli la miseria materiale e il sottosviluppo, ma anche il nord, che è esposto alla miseria morale e spirituale causata dal supersviluppo».

Questo messaggio è fondamentale per capire i meccanismi dello sviluppo di un popolo:

«Lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi» (n. 58).

Queste parole sono rivoluzionarie per capire lo sviluppo e il sottosviluppo dei popoli, che non è solo o quasi solo problema di soldi, di macchine, di tecniche, di commerci, ma di formazione col Vangelo, che rende l’uomo più uomo e lo sviluppa in tutti i sensi.

«La missione alle genti è solo agli inizi» (RM 30)
Il cardinal Daneels, arcivescovo di Bruxelles, ha detto che la Redemptoris Missio «è la magna charta della Chiesa alla fine del secondo millennio». Infatti Giovanni Paolo II riafferma con forza la perenne validità della missione alle genti (oggi molti dubitano di questo), invitando «la Chiesa ad un rinnovato impegno missionario… La fede si rafforza donandola! La nuova evangelizzazione troverà ispirazione e sostegno nell’impegno per la missione universale» (n. 2).

Giovanni Paolo II ha gestito il passaggio «dalle missioni estere alla Chiesa locale», valorizzando le forze locali anche per la missione alle genti. La Chiesa universale, specie con papa Francesco, sta cambiando proprio per l’influsso delle giovani Chiese. Non ho lo spazio per illustrare questi temi: la varietà e genialità dei ministeri laicali (penso alle parrocchie in Corea e nel Vietnam); la “teologia della liberazione” che, con tutti i suoi limiti ed errori, è estremamente positiva per la Chiesa universale; le teologie locali e l’inculturazione del messaggio cristiano nelle varie culture, anche questi fatti molto positivi nonostante i contrasti e i problemi che creano; il dialogo interreligioso che il Papa ha promosso orientato a scendere da un livello di vertice e di dibattito teologico, al “dialogo della vita”, cioè la collaborazione fra i membri delle varie religioni per la pace e i diritti dell’uomo. Quanti esempi interessanti potrei raccontare che dimostrano la spinta data dal Papa: ma lo spazio è tiranno.

Fra i giovani battezzati, l’entusiasmo della fede è il motore della vita cristiana che sta nascendo. Il Papa è stato geniale quando ha scritto che vuole impegnare «le Chiese particolari, specie quelle giovani, a mandare e ricevere missionari» (n. 2); e ha dato piena fiducia alle giovani Chiese stimolandole con queste parole: «Siete voi oggi la speranza di questa nostra Chiesa che ha duemila anni; essendo giovani nella fede, dovete essere come i primi cristiani e irradiare entusiasmo e coraggio, in generosa dedizione a Dio e al prossimo… e sarete anche fermento di spirito missionario per le Chiese più antiche» (n. 91).

Giovanni Paolo II ha lottato con forza per far riconoscere all’Europa le radici cristiane nella sua Costituzione. Ma capiva che la civiltà di radici cristiane che si è sviluppata nel nostro continente nell’ultimo mezzo millennio, non ha più la forza e la gioia della fede per portare Cristo ai miliardi di uomini e donne che ancora non lo conoscono. Ma aveva una visione profetica della missione (che si è realizzata in papa Francesco!) e viaggiava il più possibile nelle giovani Chiese, proprio per promuovere il primo annunzio e il dialogo interreligioso, chiamando i giovani e le giovani Chiese ad esserne protagonisti.

Ecco perché gli istituti esclusivamente missionari sono ancora «assolutamente necessari» (n. 66) e i vescovi delle giovani Chiese li chiedono proprio per rendere missionarie le loro Chiese, il loro clero. La Redemptoris Missio dice:

«La vocazione dei missionari ad vitam conserva tutta la sua validità: essa rappresenta il paradigma dell’impegno missionario della Chiesa, che ha sempre bisogno di donazioni radicali, di impulsi nuovi e arditi» (n. 66).

Gli istituti missionari, le pontificie opere missionarie e i centri diocesani missionari, le ong missionarie laicali invitano al Festival della Missione, “Mission is possible”, a Brescia dal 12 al 15 ottobre 2017. Spettacoli, concerti, conferenze, incontri con i missionari, mostre fotografiche, momenti di preghiera e molto altro. Per la prima volta il mondo missionario italiano unisce le forze per raccontarsi a tutti con i linguaggi nuovi e testimoniare nelle piazze la gioia del Vangelo. Perché la Missione alle Genti è possibile.

Foto Ansa

Tags: Concilio Vaticano IIGiovanni Paolo IImissionaripiero gheddopimeRedemptoris Missio
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