Chi ha paura di Elon Musk

Di Piero Vietti
20 Aprile 2022
Barricate dei pensatori liberal contro il miliardario fondatore di Tesla che vuole il 100 per cento di Twitter e viene paragonato a Hitler. I confini del dibattito pubblico, la libertà di parola e una strana idea di libertà
Elon Musk Tesla Twitter
Elon Musk durante l'inaugurazione della "Gigafactory" di Telsa a Gruenheide in Germania (foto Ansa)

Probabilmente l’offerta di acquisto di Twitter avanzata da Elon Musk nei giorni scorsi, dopo esserne diventato il primo azionista, non avrà successo, ma le reazioni isteriche degli esperti di media in giro per il mondo dicono molto dell’idea di libertà che difende chi non vuole che il fondatore di Tesla compri il social network fondato da Jack Dorsey.

Musk sta a Twitter come il nazismo alla Germania, dicono

Robert Reich, l’ex segretario del lavoro di Bill Clinton, ha inveito contro la «visione libertaria» di internet che ha Musk definendola «spazzatura pericolosa» che sarebbe «il sogno di ogni dittatore, uomo forte e demagogo». Il professore di giornalismo presso l’Università di New York Jeff Jarvis è invece andato sulla più classica delle reductio ad hitlerum, paragonando i giorni prima dell’acquisizione di Musk «all’ultima sera in un nightclub di Berlino al crepuscolo della Repubblica di Weimar».

Per il sito di tecnologia TechCrunch, più modestamente, Musk è «un uomo meschino animato da un’idea sbagliata di libertà di parola che per lo più significa pubblicare qualsiasi cosa tu voglia su un social network di proprietà privata indipendentemente dal potenziale danno che potrebbe causare». Se diventasse il proprietario di Twitter, invertirebbe i progressi fatti dalla piattaforma contro l’odio e le molestie. In altre parole, con lui ci sarebbe il rischio che Donald Trump torni a twittare, e che ciò che è considerato fake news non venga più censurato.

Potremo ancora cacciare chi non la pensa come noi?

Che non siano l’amore per il dibattito e per la verità a muovere le critiche per la mossa di Elon Musk lo ha sintetizzato la giornalista americana Nellie Bowles su Common Sense: ciò che li fa impazzire di rabbia è sapere che sarà più difficile cacciare da Twitter chi non la pensa come loro. In nome della “moderazione” e della difesa della “verità” su Twitter è diventata pratica accettata la censura delle opinioni che tendenzialmente vanno contro le idee della sinistra progressista. Seppur con meno utenti di altri social network, e in crisi da diversi anni, Twitter è riuscito a diventare una bolla che di fatto determina il discorso pubblico, quasi sempre in un verso solo.

Twitter è stato colonizzato da giornalisti che se la cantano e se la suona tra di loro, si fanno i complimenti, decidono chi è la vittima del giorno, della settimana o del mese e la attaccano retwittandosi a vicenda, fanno la parte delle vittime quando sono a loro volta attaccati (sempre da troll salviniani/putiniani/grillini), dicono la loro su qualunque argomento e sempre con toni definitivi.

La situazione è da tempo finita fuori dal controllo delle redazioni, tanto che recentemente il direttore del New York Times ha chiesto ai propri redattori di passare più tempo a cercare notizie e verificare le fonti e meno a twittare. È infine curioso che giornalisti che lavorano per giornali posseduti da proprietari ricchissimi vedano come un attentato alla democrazia l’arrivo di un proprietario ricchissimo.

Twitter ha una linea e fa politica

Elon Musk non è un conservatore, è un libertario con idee estreme, certo non un modello di virtù negli affari, ma quando tra i critici della sua scalata c’è il governo dell’Arabia Saudita, proprietario di una quota significativa di Twitter, è lecito chiedersi se il punto allora sia la libertà di espressione e la ricerca della verità oppure qualcos’altro. Con Musk al comando di Twitter «quel mondo sarebbe dominato dalle persone più ricche e potenti del mondo, che non risponderebbero a nessuno su fatti, verità, scienza o bene comune», ha detto Robert Reich.

Il fatto è che Twitter è già dominato da persone ricche e potenti: ciò che preoccupa i Reich, i Jarvis, e qui da noi i Gianni Riotta, i Beppe Severgnini e i Riccardo Luna, sono i ricchi e potenti che non sono d’accordo con loro. Twitter ha una linea editoriale e fa politica, e la fa da sinistra: censura Trump, tutela Biden sospendendo l’account di un giornale che ha uno scoop che potrebbe fargli perdere voti, di fatto guida il cartello di Big Tech sulle persone da bannare, permette le shitstorm purché contro chi si discosta da un certo tipo di discorso politicamente corretto.

Libertà e verità

Se hai opinioni forti conservatrici, è probabile che alla lunga il tuo account venga sospeso, così come se sul sesso hai opinioni che la vulgata definisce transfobiche. Se insulti Marine Le Pen e Boris Johnson sei un difensore della democrazia, se attacchi Biden e Mattarella sei un fascista. Come ha spiegato David Sacks, Twitter agisce così su pressione della politica e della cultura dominante progressista.

Ecco perché il problema di Musk non sono i suoi affari, le sue imprese, i suoi investimenti, né tantomeno il mondo in cui tratta i propri dipendenti. Cose del genere, ha scritto Stephen Daisley sullo Spectator, sono solitamente ignorate dai sedicenti difensori della verità, a patto che «la persona in questione abbia le idee politiche corrette, cosa che Musk non ha». Il fondatore di Tesla e SpaceX è un tecno-utopista libertario che si è detto preoccupato dall’eccesso di censura a senso unico su Twitter, non dai potenziali abusi.

Chi lo critica ha capito che con lui il progetto in atto da diversi anni di «ridisegnare i confini del dibattito pubblico a colpi di fiat corporativi sovranazionali e non attraverso la democrazia nazionale verrebbe interrotto». Per Musk la libertà è più importante della verità, ha scritto allarmata Wired. E chi ha paura della libertà se non chi in fondo tenta di imporre una sua verità?

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