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L’ecclesiologia di Ratzinger

L'intervento di monsignor Massimo Camisasca al convegno "L'eredità di Benedetto XVI" a Cesena. «Ha esercitato un’assoluta libertà e apertura della ragione, ma di una ragione credente»

Massimo Camisasca
29/03/2023 - 5:35
Chiesa
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Da sinistra: Monsignor Massimo Camisasca, Leonardo Lugaresi e Sergio Belardinelli (Facebook)

Pubblichiamo l’intervento di monsignor Massimo Camisasca al convegno “L’eredità di Benedetto XVI” tenutosi il 24 marzo 2023 a Cesena in occasione del quarantennale del Centro culturale Campo della Stella. Intervistati da Leonardo Lugaresi, sono intervenuti il vescovo emerito di Reggio Emilia, che ha condotto una puntuale riflessione sull’ecclesiologia di Ratzinger, ed il sociologo Sergio Belardinelli, che si è soffermato sulla laicità del pensiero del Pontefice tedesco.

L’ecclesiologia di Ratzinger

Accostarsi alla riflessione di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI sulla Chiesa è come accostarsi ad un oceano. Sia per l’estensione che per la profondità. Occorre dunque fare delle scelte. Dichiaro perciò, innanzitutto, il criterio a cui mi sono attenuto per questa conferenza: ho scelto tre testi, che ho ritenuto particolarmente significativi scritti dal nostro autore in tre periodi differenti della sua vita e della sua riflessione teologica.

Il primo, pubblicato nel 1958 quando Ratzinger aveva 31 anni, riguarda il rapporto fra la Chiesa e la liturgia.

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Il secondo, intitolato Comunione-comunità-missione, è del 1983 quando Ratzinger aveva da poco assunto il compito di Prefetto della Congregazione per la Fede.

Il terzo, intitolato l’Ecclesiologia della Costituzione Lumen Gentium, è una relazione tenuta nel 2000 al Congresso dedicato al Concilio Vaticano II, 35 anni dopo la sua conclusione.

Prima di addentrarmi nella riflessione di Ratzinger sulla Chiesa quale emerge da questi tre contributi, mi permetto sottolineare alcune semplici annotazioni metodologiche.

Prima: se si leggono con pazienza e attenzione i suoi testi si può notare, con verità, una continuità essenziale nella sua riflessione teologica. Non ha nessun significato parlare di lui come di un teologo “progressista, conciliare” che sarebbe diventato, in ragione dei nuovi compiti assunti nella Chiesa, un “conservatore, sostenitore del centralismo romano, difensore dell’Istituzione anche a scapito della libertà dei fedeli”. In realtà, ciò che si nota è esattamente il contrario. Ratzinger ha vissuto il suo compito di teologo esercitando un’assoluta libertà e apertura della ragione, ma di una ragione credente. Egli si è posto sempre all’interno della fede della Chiesa, in particolare scrutando la fede apostolica e dei Padri, in riferimento costante alla Sacra Scrittura e alla Tradizione della Chiesa. Ha cercato strade nuove per rispondere alle domande sempre differenti che l’uomo andava ponendo alla Chiesa, al suo magistero, ai suoi teologi.

Ratzinger ha amato la storia, in particolare la storia della Chiesa e la storia dei dogmi, inserita sempre all’interno della storia dei popoli e delle nazioni, cioè delle culture. Non ha avuto paura di essa, neppure quando sembrava porre dei problemi radicali allo spirito del credente. Ha amato anche le scienze fisiche, giuridiche, politiche, la letteratura, l’arte. Ha amato l’uomo. In questo modo, ha inteso rispondere indirettamente ai problemi posti all’inizio del secolo dalla crisi modernista, secondo la quale i dati della fede dovevano essere sottoposti ai giudizi delle scienze umane. Se ne è fatto carico, anche nei campi dell’esegesi e della critica biblica, per operare una riconciliazione tra modernità e cristianesimo.

La sua concezione del rapporto ragione-fede potrebbe essere espressa così: deve esserci una risposta a questo problema, anche se ancora non la conosciamo. Cerchiamola. Illuminati dalla fede della Chiesa la troveremo come nuova illuminazione che sorge da una fede antica e sempre nuova.

Seconda: a partire già dai primi scritti degli anni Cinquanta si può notare come egli abbia anticipato la rivoluzione operata dal Concilio a riguardo della ricerca e dell’insegnamento teologico. I trattati di teologia, ancora fino agli anni 60, si basavano su un’esposizione sistematica di taglio prevalentemente filosofico. In Ratzinger si avverte subito un nuovo clima. I suoi fondamenti sono la Scrittura, la vita della Chiesa con al centro la coscienza orante del popolo, gli scritti dei santi a partire dai Padri, fino ai grandi maestri spirituali di tutti i tempi. In questo modo egli ha aperto le finestre dello studio teologico, non per farvi entrare lo spirito del mondo, ma per permettere allo Spirito di Dio di rinnovare la sua Chiesa.

Chiesa e liturgia

Non è assolutamente casuale che uno dei primi testi di Ecclesiologia presenti nell’Opera Omnia del nostro autore parli del rapporto fra Chiesa e liturgia. Anche se il Concilio si aprirà dopo cinque anni, l’attenzione di Ratzinger è già rivolta alla Chiesa come mistero. Rispetto alla visione della Chiesa come società perfetta, prevalsa nel tardo Medioevo e nell’epoca moderna, l’ottica è completamente nuova. Nulla viene negato di ciò che è sostanziale nella riflessione del passato. Nessuna condiscendenza a una visione della Chiesa come pura comunità spirituale.

Anzi, Ratzinger parlerà sempre di una interconnessione fra Chiesa visibile e Chiesa invisibile. L’accento è subito sacramentale: la Chiesa è opera di Dio nella storia degli uomini. Perciò al centro di essa vi è la liturgia. Cerchiamo di entrare ora in alcune sottolineature. Questa lezione inizia da una sua rilettura dei testi evangelici che riferiscono la purificazione del Tempio di Gerusalemme operata da Gesù, all’inizio o alla fine della sua missione. Il teologo vede in questo fatto non semplicemente la rivolta contro “degenerazioni marginali”, ma la profezia della fine di ciò che è provvisorio rispetto a ciò che è definitivo: «Gesù, al precedente culto del Tempio sostituisce un culto il cui centro è il suo corpo trasfigurato» [1] . Si avverte già subito il nesso tra Chiesa e liturgia.

Il culto vero non può essere mai ridotto a un insieme di riti o di osservanze. Esso è «la presenza di Dio fra gli uomini e la glorificazione di Dio da parte degli uomini» [2]. (Tutto questo è meravigliosamente sviluppato del volume Introduzione allo spirito della liturgia).

La Chiesa è, dunque, il luogo di culto dell’umanità, il vero tempio nel mondo, «il luogo di culto vivente dell’eternità nel tempo» [3].

Per spiegarci che cosa sia la Chiesa, Ratzinger sviluppa qui una storia della parola che non possiamo in questo contesto ripercorrere. Nell’Antico Testamento la parola ecclesia designa l’assemblea cultuale, venata anche di un significato politico. Nel Nuovo Testamento significa propriamente la comunità. Sia la comunità locale, sia la totalità dell’unica Chiesa, anche se per Ratzinger l’elemento primario è l’idea di Chiesa universale. Ma quest’unica Chiesa si realizza nell’assemblea del culto. Tutte le comunità eucaristiche sono tali perché espressione dell’unica Chiesa: «le comunità dei credenti sono una cosa sola a partire dal corpo del Signore, a partire dall’unico e identico pane che tutte insieme mangiano, quali che siano i luoghi nei quali esse sono sparse nel mondo» [4] .

Attraverso l’eucaristia, presenza della morte e resurrezione di Cristo, si comprende come la Chiesa viva della liturgia. In essa incontriamo la sua persona, in essa i misteri della sua vita divengono realmente presenti.
Se ci fermassimo qui potremmo forse pensare a una visione ridotta della vita cristiana. Ratzinger prosegue: occorre che il culto si realizzi nella vita. La liturgia ci permette di entrare nella dimensione dell’agape, nel dono che Dio fa di se stesso attraverso il Figlio e nel dono che noi siamo chiamati a compiere della nostra vita a Dio. «La natura più profonda del culto in senso cristiano non consiste nel dono di cose materiali, ma nell’amore fino alla fine… Non consiste in determinate azioni rituali, ma nel dono totale del proprio io a Dio» [5].

Ratzinger spiega questo attraverso un profondo commento al libro X de La Città di Dio di Agostino. Come si può aderire a Dio? «Con l’entrare nell’amore eterno, iniziando ad amare. Se aderire a Dio rappresenta l’unico culto di cui ha bisogno l’uomo, si può dire ancor più chiaramente che l’amore è l’unico culto legittimo» [6]. Vivere secondo Dio è offrire se stessi in sacrificio. Ma come può l’uomo corrotto trovare questa strada per aderire a Dio? Cristo «assume per misericordia la nostra miseria» [7]. Quando sulla croce apre le braccia, Egli nello stesso tempo, secondo la profonda riflessione di Ratzinger, adora il Padre e accoglie gli uomini. L’adorazione e l’abbraccio sono una cosa sola.

Comunione-comunità-missione

Venticinque anni sono passati dal primo intervento che abbiamo commentato a questo. Soprattutto c’è stato il Concilio, ai cui lavori Ratzinger ha contribuito attivamente e che gli ha permesso un’esperienza che sarà per lui di grande importanza, ma non rivoluzionaria.

Troviamo in questa relazione tenuta a dei preti a Collevalenza l’intreccio di fonti che abbiamo già considerato.
Innanzitutto la Scrittura, con l’insegnamento degli Apostoli. Poi la storia della Chiesa delle origini, con qualche riflessione all’indietro sul mondo giudaico e, in avanti, sulla ellenizzazione del cristianesimo. Sullo sfondo appare sempre Agostino, il grande maestro che ha segnato la forma mentis teologica di Ratzinger.

La parola chiave è comunione, koinonia, che sottende e unifica le quattro caratteristiche fondamentali della Chiesa, raccolte in Atti 2,42: il concorde ascolto dell’insegnamento degli Apostoli, la comunione fraterna, la frazione del pane e le preghiere. Appare subito come caratteristica fondamentale della Chiesa l’unità. Poi la santità, che viene dalla preghiera e dal rapporto con Dio. L’apostolicità, che custodisce nel tempo l’insegnamento degli Apostoli. La Pentecoste completerà questa immagine con l’esperienza delle lingue parlate e comprese, cioè dell’universalità. Ratzinger sottolinea «la parola koinonia… sarà il vero termine chiave delle nostre riflessioni; infatti, oltre ad avere il significato di eucaristia, può anche voler dire “comunione, comunità”. In essa sono riunite le due realtà di eucarestia e di comunità, di comunione come sacramento e di comunione come realtà sociale e istituzionale» [8].

La comunione sta tra l’insegnamento degli Apostoli e la frazione del pane. È come un ponte fra loro, dice Ratzinger. Analoga analisi Ratzinger compie su Galati 2,9-10: Paolo dà a Giacomo, Pietro e Giovanni la mano in segno di comunione. L’apostolo delle genti, per la sua missione così radicalmente nuova, non poteva fare a meno di quell’attestazione piena. Proprio le discrasie che si manifestano già a quei tempi tra Pietro e Paolo indicano l’urgenza della comunione, che Ratzinger vede espressa magnificamente nella colletta per i poveri di Gerusalemme organizzata da Paolo, «riconoscimento dell’importanza di Gerusalemme a livello storico-salvifico, come centro dell’unità e punto focale della storia della salvezza» [9].

L’intervento del cardinale prosegue attraverso un’analisi approfondita della parola koinonia. Nella lingua greca essa esprime un lavoro comune (come nel caso dei quattro pescatori del Vangelo, una cooperativa), ma anche valori comuni che ne nascono. Da quell’esperienza la grazia trarrà la nuova comunità della Chiesa, con al centro il pesce misterioso, il Signore risorto «che è sceso nelle profondità del mare, nella notte della morte lasciandosi afferrare da noi e per noi, per diventare nostro alimento per la vita eterna» [10].

Dalla Bibbia ai Padri. La comunione viene ora studiata attraverso il pensiero di Agostino, per mostrare come essa sia una trasformazione totale della vita. Nella comunione tra gli uomini realizzata dalla grazia si realizza in modo analogo la comunione tra la natura umana e quella divina che si è compiuta in modo reale nella persona di Cristo. In questo senso, per il nostro teologo, la comunione è la partecipazione comune all’obbedienza del Figlio, cioè al mistero pasquale.

L’Ecclesiologia della Lumen Gentium

Passano altri anni. Nel 2000, a trentacinque anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, si svolge a Roma un convegno organizzato dalla Santa Sede per una riflessione sulle quattro Costituzioni dogmatiche di tale assise. A Ratzinger viene affidata la Lumen Gentium. Si scorge, leggendo con attenzione questo discorso, una critica profonda alle diverse riduzioni sociologiche operate in Ecclesiologia. Soprattutto l’espressione “popolo di Dio” indubbiamente fondamentale nella comprensione della Chiesa è stata strumentalizzata in vista di una democratizzazione di essa [11].

«La Chiesa non esiste per se stessa, ma dovrebbe essere lo strumento di Dio per radunare gli uomini intorno a Lui, per preparare il momento in cui Dio sarà tutto in tutti… La crisi della Chiesa, come si rispecchia nella crisi del concetto di “popolo di Dio” è “crisi di Dio”; essa risulta dall’abbandono dell’essenziale. Ciò che resta è solo una lotta per il potere» [12]. Descrive in questo modo, in anticipo, ciò che sarebbe accaduto negli anni successivi. Ritorna perciò all’ecclesiologia di comunione. Anche se tale parola non ha un posto importante nei testi conciliari, essa «può servire come sintesi per gli elementi essenziali dell’ecclesiologia conciliare» [13]. Si torna in questo modo agli inizi della riflessione di Ratzinger, all’eucarestia che edifica la Chiesa come corpo e «attraverso il suo Corpo risorto ci unisce al Dio uno e trino e fra di noi» [14].

Amaramente, però, Ratzinger deve notare che nessuna parola è al riparo da malintesi, neppure la migliore e la più profonda. Così non solo l’espressione “popolo di Dio”, ma anche la stessa espressione “comunione” fu progressivamente ridotta in chiave orizzontale ai rapporti fra Chiesa locale e universale, in termini di competenze e potere. Ancora, annota drammaticamente Ratzinger, la discussione fra i discepoli su chi fosse il più grande. Nella Chiesa non c’è più Dio. Non è più vista come la sposa di Cristo, il suo Corpo: «non si è abbandonata solamente l’ecclesiologia dei Padri, bensì anche quella del Nuovo Testamento e perfino quella di Israele nell’Antico Testamento» [15].

Il Concilio, secondo Ratzinger, ha avuto una visione cristologica della Chiesa, anzi teologica. Si può parlare della Chiesa solo per parlare di Dio, essa trascende sempre se stessa. Per questo fin dall’inizio essa è Chiesa universale, che poi necessariamente si determina nelle chiese locali. Per questo annota Ratzinger «l’eucaristia non nasce dalla chiesa locale e non finisce in essa» [16]. Allo stesso modo i vescovi non sono tali in quanto singoli, ma per l’appartenenza al collegio, continuità storica del collegio degli Apostoli.

Il Concilio ci dice che la Chiesa di Cristo, soggetto concreto in questo mondo, può essere incontrata nella Chiesa cattolica. Essa è lo spazio per Dio nel mondo, «la Chiesa esiste perché ci sia dimora di Dio nel mondo e ci sia santità: per questo si dovrebbe competere nella Chiesa non per maggiori o minori privilegi, non per occupare i primi posti» [17]. Questo grido finale di Ratzinger, espresso ormai più di vent’anni fa rimane il più acuto avvertimento verso la riscoperta di una autentica ecclesiologia, rivelazione di Cristo e di Dio, senza della quale ogni discorso sulla Chiesa perde il suo significato.

***

[1] J. Ratzinger, Opera omnia. Chiesa: segno tra i popoli, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2021, 154.

[2] Ivi, 156.

[3] Ibidem.

[4] Ivi, 162.

[5] Ivi, 169.

[6] Ivi, 171.

[7] Ivi, 171.

[8] Ivi, 337.

[9] Ivi, 342.

[10] Ivi, 345.

[11] Ivi, 650.

[12] Ivi, 651

[13] Ivi, 652.

[14] Ivi, 654.

[15] Ivi, 657.

[16] Ivi, 664

Tags: Benedetto XVIChiesaConcilio Vaticano IIJoseph RatzingerMassimo Camisasca
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