
La preghiera del mattino
È allarmante che non si senta più parlare di negoziati tra Russia e Ucraina

Su Fanpage si scrive: «Mentre continuano i combattimenti sul campo, sembrano ancora in stallo le trattative tra Russia e Ucraina per la risoluzione pacifica della guerra in corso. Da giorni non si sente parlare di round di negoziati. Dopo gli incontri in Bielorussia e in Turchia e quelli in videoconferenza, le delegazioni dei due paesi non hanno fatto nessun passo in avanti. Ma nelle ultime ore, ad aprire uno spiraglio nelle difficili trattative è stato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky: intervenuto in videoconferenza alla Chatham House di Londra, ha dichiarato che Kiev sarebbe disposta ad accettare un accordo di compromesso con la Russia se le forze militari di Mosca si ritirassero “sulle posizioni del 23 febbraio”, seppur rinunciando alla restituzione della penisola di Crimea, annessa dai russi nel 2014».
A Zelensky è dovuta, per la sua guida della resistenza ucraina, un’ammirazione “senza se e senza ma”. Questo non significa non cogliere i suoi errori: a una settimana dall’invasione russa doveva accettare il suggerimento di Olaf Scholz e dire che Kiev non avrebbe aderito alla Nato, a marzo doveva approvare il compromesso raggiunto con i russi (niente Nato, Donbass autonomo e Crimea a Mosca), oggi dovrebbe calmare Joe Biden e guidare una de-escalation.
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Sul sito del Tgcom si scrive: «“I membri della Nato non accetteranno mai l’annessione illegale della Crimea. Ci siamo sempre opposti al controllo russo su parti del Donbass nell’Ucraina orientale”, ha detto infatti il segretario generale della Nato. Jens Stoltenberg in un’intervista al giornale tedesco Welt. Stoltenberg ha quindi sottolineato che “l’Ucraina deve vincere questa guerra perché difende il suo paese”».
La Nato gioca sul termine “illegale” per spiegare che non tradisce le proposte di pace di Zelensky. Certo che gli Stoltenberg, le Von der Leyen, i Michel, i Borrell dimostrano quanto sia difficile avere persone di qualità alla guida di istituzioni sovranazionali.
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Su Leggo si scrive: «Il capo della Cia William Burns, parlando ad un evento a Washington sponsorizzato dal Financial Times, ha illustrato la posizione degli Usa riguardo la guerra in Ucraina e le intenzioni future del presidente russo Vladimir Putin. Quest’ultimo, ha detto Burns, “è in uno stato d’animo in cui crede di non poter permettersi di perdere, penso che sia convinto che raddoppiare gli sforzi gli consentirà di fare progressi”. Non c’è comunque “alcuna evidenza” che la Russia intenda usare armi nucleari tattiche, ha specificato il capo della Cia. Putin “ha scommesso un sacco” sulla seconda fase della sua brutale offensiva in Ucraina».
Quando Mike Pompeo andò alla segreteria di Stato la diplomazia dell’amministrazione Trump fece un enorme passo in avanti. Magari se Burns sostituisse l’inconsistente Antony Blinken, lo stesso avverrebbe oggi. Pare che solo gli uomini dell’intelligence riescano ad avere negli Stati Uniti una visione realistica della scena internazionale.
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Su Dagospia si riporta un articolo di Lucio Caracciolo per la Stampa nel quale si scrive di Vladimir Putin: «Perché non può perdere. E perché oggi la maggioranza dei russi, persino della borghesia relativamente agiata, vuole andare fino in fondo. Quale sia questo fondo nessuno sa».
Caracciolo andrebbe ascoltato: a Mosca il problema non è Putin, ma il popolo russo. Se non ci si sforza di comprendere questa realtà, il mondo correrà dei seri rischi.
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Su Affaritaliani si scrive riprendendo Askanews: «“Presidente Putin, abbiamo bisogno del suo aiuto. Prevenire le carestie globali è nelle sue mani. Per favore, consenta ai porti di operare e alle navi di consegnare cibo salvavita in tutto il mondo”: questo l’appello lanciato su Twitter da David Beasley, direttore del Programma alimentare mondiale (Pam)».
Dopo aver scelto la via dell’escalation nelle armi e nelle sanzioni, lanciare appelli umanitari appare talvolta quasi un esercizio di ipocrisia.
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Su Formiche Carlo Fusi scrive: «Nel centrosinistra, il progressivo allontanamento di Giuseppe Conte da Mario Draghi fa scattare vistosi segnali di allarme nel Pd che invece con Enrico Letta sulla guerra ha preso una posizione assai forte e intende rimanere a fianco del presidente del Consiglio. Vero è che entrambi gli schieramenti tendono a minimizzare, com’è ovvio, le divaricazioni perché l’attuale sistema di voto spinge alle coalizioni al fine di conquistare i seggi uninominali, fondamentali per vincere».
Enrico Letta, come molte persone intelligenti ma che non capiscono niente di politica, tende ad affrontare sempre un problema alla volta, quando i guai oggi appaiono essere sistemici.
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Su Affaritaliani si riporta una frase di Graziano Delrio in un’intervista alla Stampa: «Draghi dovrebbe dire a Biden di non esasperare i toni».
Draghi non creerà problemi alla Casa Bianca: se fa mosse troppo autonome, lo fanno sgridare dal Wall Street Journal o dal primo Bremmer che passa.
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Su Dagospia si scrive: «“Non prenderemo alcuna decisione che porti la Nato in guerra. Questo resta”. Lo dice il cancelliere tedesco Olaf Scholz, nel discorso alla nazione che sarà trasmesso stasera in tv, secondo il testo diramato dalla cancelleria. “Il fatto che non ci debba essere più una guerra mondiale, e certamente non una guerra fra potenze nucleari, anche questo è un insegnamento dell’8 maggio”, ha aggiunto con riferimento alla commemorazione della capitolazione tedesca nella Secondo Guerra mondiale».
Scholz di fronte all’invasione russa dell’Ucraina ha dovuto ragionevolmente aumentare le spese militari di Berlino, ma che la socialdemocrazia tedesca non sia disponibile – questa volta – a votare i crediti per una vera guerra, consola.
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Su Startmag Marta Dassù scrive: «Richard Haass, su Foreign Affairs, sostiene che in realtà gli obiettivi degli Stati Uniti in Ucraina non sono chiari, rispetto a una gestione della crisi dove spesso è stato l’andamento della guerra a guidare la strategia e non viceversa; e dove non si capisce in che modo l’Occidente definisca la sua nozione di “successo” rispetto ai possibili esiti finali».
I dubbi di Haas su come Joe Biden pensi di finire la guerra in Ucraina, sono anche i miei.
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Su Strisciarossa Andrea Pisauro e Aurelio Miracolo scrivono: «Per la prima volta nella storia del Nord Irlanda infatti, il partito che fu di Gerry Adams è risultato primo per numero di voti (29 per cento) e seggi (27), davanti al Partito democratico unionista (Dup) che si è fermato al 21 per cento (24 seggi)».
Partito per disgregare la Russia, Boris Johnson prima ha creato crepe nella sfera dell’antico impero britannico, sia con l’India, sia in Africa. Ora pare mettere a rischio la stessa coesione del Regno Unito.
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